Economia

Food social club, la festa del cibo giusto

Immaginatevi una mappa dell’Italia, una mappa di esperienze che tengono insieme cibo buono, persone in condizione di fragilità, etica e rispetto dell’ambiente. Il Paese ne è pieno: basta solo saper guardare. Questa mattina al Refettorio Ambrosiano di Milano ne abbiamo conosciute dieci attraverso un racconto per immagini, oggetti e parole

di Anna Spena

A Greco, un quartiere periferico a nord est di Milano, un teatro abbandonato è diventato un refettorio. Il vecchio palco ha lasciato spazio a una cucina a vista, la platea a lunghi tavoli di legno. Ogni tavolo ha un suo nome “Convivium”, o “Tino” o ancora “Desco”. E ogni sera la sala si riempie di 100 ospiti. Il Refettorio Ambrosiano è un progetto che riunisce per la prima volta i mondi dell’alta cucina, dell’arte e del design e soprattuto è un luogo di bellezza e solidarietà. «Gli ospiti arrivano dai centri d’ascolto», ha raccontato Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana, intervenendo all'evento proposto da Vita e Coop, condotto da Diletta Grella e Riccardo Bonacina, che ha raccontato dieci best practices italiane (qui potete rivedere l'evento) che coniugano cibo con “Buono, gusto e pulito”. Continua il racconto di Gualzetti: «Ogni mattina riceviamo le eccedenze di cibo. Una cuoca esperta e i tanti volontari che gravitano attorno a questo luogo inventando il menù che poi sarà servito la sera stessa». Ecco il cibo non si racconta da solo, perciò servono le persone. E questa mattina, al Refettorio Ambrosiano, in tanti si sono seduti attorno agli stessi tavoli e hanno condiviso, non solo il cibo. Ma anche il racconto di dieci esperienze – tra cui quella del Refettorio appunto – per dimostrare concretamente che esistono “esperienze straordinarie per capacità di impattare sulla propria comunità di riferimento, straordinarie ma al tempo stesso tutt’altro che rare”, come scrive il direttore di Vita Stefano Arduini nell’editoriale del focus book “Food Social Club” (che potete scaricare gratuitamente a questo link). Immaginatevi una mappa dell’Italia, non lo diremmo ma di esperienze che tengono insieme cibo, persone in condizione di fragilità, etica e rispetto dell’ambiente ne è pieno il Paese: basta solo saper guardare.

Il book “Food Social Club” ne racchiude dieci, quelle ascoltate questa mattina dalla voce degli stessi protagonisti. E l’evento, insieme al libro, sono nati dalla collaborazione di Vita con Coop. «Sono qui, nella sala del refettorio», ha spiegato Maura Latini, ad di Coop Italia, «eppure mi sembra invece di essere all’aperto. In un prato». Quella di questa mattina è stata, infatti, una ventata di aria buona. Gli ultimi indicatori economici parlano chiaro, il nostro Paese sta vivendo una situazione di disagio. «Ma noi», ha continuato l’ad, «dobbiamo continuare a perseguire l’ambizione di mettere a disposizione delle persone, dei nostri clienti, non solo cibo buono. Ma anche cibo etico, attento all’ambiente, attento agli animali. É in questi momenti che bisogna mantenere il presidio di alcune scelte. Scelte che anche sul mercato hanno un consto maggiore non sono negoziabili».

Se il sociale diventa il "mercato normale"

Rimaniamo per un attimo a Milano, ma ci spostiamo al Parco Sud della città. Qui in un terreno che era abbandonato è nata “Agrivis”,una cooperativa sociale. «Produciamo prodotti orticoli biologici certificati, soprattutto verdure di stagione», ha raccontato questa mattina, Andrea Foschi, responsabile comunicazione del gruppo L’Impronta, il network di cinque cooperative di cui Agrivis fa parte. Nella cascina c’è anche un progetto di housing sociale con tre appartamenti dove vivono persone fragili. All'evento è intervenuta anche la deputata Maria Chiara Gadda, prima firmataria della legge antispreco e della legge per le produzioni con metodo biologico. «Le leggi», ha commentato, «non camminano mai sulle gambe di chi le fa, ma di chi le attua. La legge antispreco incontra molte delle esperienze raccontate oggi e il cibo non è solo un bene da recuperare, la legge antispreco non è stata scritta per recuperare delle cose, ma è stata scritta per recuperare delle relazioni, un senso di comunità. E la storia di Agrivis aggiunge un tassello: la legge funziona soprattutto se la si riconosce e se si fanno dei progetti di rete». Ma come si costruiscono le reti? E qual è il vero valore aggiunto del cibo? Più di tutto le persone che lo producono… È una giornata tipo e sono poco dopo le sette del mattino. Shu serve il primo caffè delle mattina, questo lavoro gli piace. Va d’accordo con i sui colleghi. Soprattutto va d’accordo con Luca che gli sta insegnando tutti i segreti del mestiere: come funziona la macchinetta del caffè, come far partire la lavastoviglie, come servire un calice di vino e lavorare al banco. Shu ha 30 anni e una disabilità spichica. Siamo a Milano, in via Tiziano 13, zona Buonarroti, quartiere centrale e trafficato della città. Qui lo scorso settembre ha aperto “Alimenta Cafè”, ma non fatevi confondere dal nome. Alimenta non è solo un bar, Alimenta è un nodo, un nodo di un movimento di coesione sociale che sta attraversando l’Italia. Alimenta Cafè, che è anche una bottega dove è possibile acquistare i prodotti che nascono dell’agricoltura coesiva, è stato pensato come un locale diurno dedicato alla colazione, a un pranzo leggero o a un aperitivo; è uno dei nodi della Rete di Economia Civile Sale della Terra, un Consorzio di Cooperative Sociali, formato da strutture ricettive e ristorative – pasticceria, alberghi diffusi, bistrot – in diverse città italiane, e una rete di Fattorie e Orti sociali, dove lavorano persone destinatarie di percorsi di riabilitazione sociale e lavorativa, persone in progetti terapeutici riabilitativi individualizzati con budget di salute, persone con disabilità, e ancora in misure alternative alla detenzione, migranti usciti dal circuito di accoglienza SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione). I prodotti venduti – dal vino alle passate di pomodoro, dalla pasta ai dolci, dall’olio evo ai legumi, «devono essere buoni e giusti», da detto Angelo Moretti, presidente del Consorzio Sale della Terra, «nel segno della condivisione prima che del consumo e rispettoso della filosofia del welcome social food, per la quale il cibo è inteso non come merce, ma come valore di scambio culturale per costruire un legame tra le persone, tra le persone e i territori abitati dalle persone e tra diversi territori. Il sociale deve diventare il mercato normale». Gli altri due l locali di Alimenta si trovano a Lecce e Benevento.

Come “scovare” i prodotti giusti?

Tra le esperienze raccontate quella di Gioosto, un vero proprio Maket-place dal volto umano. La prima piattaforma di e-commerce sostenibile in Italia, dove si possono acquistare prodotti gastronomici, e non solo, con la certezza che le fasi di lavorazione e produzione rispettino gli standard della produttività. «Le aziende che partecipano», spiega Luca Raffaele ceo di Next Social Commerce, la realtà che ha fatto nascere la piattaforma, «si sottopongono ad un rating esg. L’obiettivo dell’iniziativa è anche usare l'innovazione tecnologica, tutte le potenzialità del digitale, per connettere le buone pratiche imprenditoriali incontrate nei territori. Questa piattaforma, nata nel 2019, era ed è una scommessa vera. Siamo nati perchè volevamo contrastare la logica del massimo ribasso, siamo nati davvero con l'idea di aggregare, in Italia esistono buone pratiche, ma tra di loro non sono connesse e la rete non si fa solo a un livello di prossimità, ma anche in digitale». Ma non solo acquisti online. Negli ultimi anni abbiamo visto il boom del delivery, spesso però sulle spalle dei rider. Ecco un modello alternativo è possibile. Ce lo insegna l’esperienza di Firenze dove è nato il primo food delivery sociale, si chiama “Robin food”, ed è una cooperativa fondata da sei amici, tra loro Nadim Hammani: «Il progetto è nato dalla mia passione per il ciclismo», ha raccontato Hammani. «Anch’io facevo il rider da studente e lavorare in bici mi piaceva». Ma il lavoro non deve mai diventare sfruttamento, come spesso accade nel settore delivery. «Assumiamo tutti i rider con un contratto da dipendente e teniamo corsi si formazione sul codice stradale. La nostra scelta è stata quella di lavorare solo su Firenze, e diversi ristornati ci hanno scelto come unico referente per le consegne a domicilio». «In qualche modo mi state facendo cambaire idea», ha commentato lo scrittore Gianni Biondillo, ora in libreria con "I cani del Barrio" (Guanda Noir), tra gli ospiti dell'evento, «non ho mai ordinato niente ad un delivery, sono un vero integralista. Ma le realtà che state raccontando oggi dimostrano come, ogni volta, davanti ai momenti di stress sociale che la logica del capitalimo avanzato imprime su di noi, c'è un mondo che si riorganizza e che dal basso costruice un modo alternativo di pensare».



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Lavorare nel mondo e guardare sempre all’Italia

Tra le esperienze raccontate oggi, due in particolare, fanno capo a delle organizzazioni umanitarie non governative. Pensate a Torino c’è un frigo sempre aperto per chi ha bisogno. L’iniziativa “Frigo di quartiere”, realizzata con NovaCoop, l’ha pensata la Rete di ong di Torino all’interno del progetto “AgroBarriera” che dal 2015 utilizza l’agricoltura urbana come strumento di inclusione sociale. Come funziona? I volontari di rete recuperano le eccedenze alimentari dalla Coop in piazza Respighi e le distribuiscono alle persone che ne hanno bisogno. «Abbiamo anche tre orti urbani curati dalla persone in condizione di fragilità», spiega Giuseppe Deplano, responsabile del progetto. E a Bologna il Cefa, storica ong della città, ogni anno, in occasione della giornata mondiale dell’alimentazione raccoglie fondi per le popolazioni del Corno d’Africa e generi alimentari per le mense sociali del capoluogo emiliano. L’iniziativa si chiama “riempi il piatto vuoto”. Ogni 16 ottobre quindi l’ong e i volontari “invadono” Piazza Maggiore con una istallazione di pixart utilizzando migliaia di piatti ordinati. Il piatto gigante viene costruito sul pavimento della piazza, ha un diametro di 30 metri, e poi viene riempito con i prodotti portati da centinaia di carrelli prestati dalla Coop che il Cefa distribuisce nei giorni precedenti all’evento. Quella del cibo è una delle partite decisive su cui oggi ci giochiamo il futuro. «Certo», ha spiegato questa mattina Alice Fanti, direttrice dell’ong, «i drammi non si “possono risolvere domani”. Ma da qualche parte biosgna pur iniziare». La produzione mondiale oggi sarebbe in grado di sfamare 12 miliardi di persone, a fronte di una popolazione di 8 miliardi e circa un terzo del cibo prodotto viene buttato via. Ma al mondo si contano quasi 900 milioni di persone malnutrite a cui non è garantita la sicurezza alimentare e 200 milioni di persone che letteralmente soffrono la fame. «Quando parliamo del tema della fame», ha agginto Fanti, «non possiamo pensare che i mondi siano scollegati tra loro».

Ti invito al ristorante

Non tutti i ristoranti sono uguali. Oggi ne abbiamo conosciuti due davvero speciali. Proprio a metà strada tra le montagne dell’Appennino e il mare di San Benedetto del Tronto, a Spinetoli, in provincia di Ascoli Piceno, c’è la Locanda Centimetro Zero. «Tutto ciò che mangerete da Centimetro Zero», ha raccontato Roberta D’Emidio, è stata lei insieme a due soci ad avviare l’esperienza, «proviene dal nostro orto o dalla nostra rete di cooperative sociali e aziende locali. Le sedie o le lampade che sono state restaurate e dipinte a mano dal nostro staff, che comprende un gran numero di giovani con disabilità fisica e mentale. Oggi sono 20 i ragazzi assunti. «Sono bravissimi, a volte i clienti ci chiedono “Ma sono persone con disabilità?”». La locanda è sempre piena e c’è un altro posto dove per mangiare le file d’attesa sono lunghe due mesi: «Ma ne vale la pena!», ha raccontato Nico Acampora, il fondatore di Pizzaut. «Io ho un bambino autistico. E pensando di voler costruire un futuro per lui ho capito che dovevo prima costruire il presente per i ragazzi autistici». In Italia un bimbo ogni 77 nati è autistico. «Perciò», ha continuato, «io dico che non basta una pizzeria ma bisogna fare un franchising». Pizzaut ha sfornato 200mila pizze, il locale si trova a Cassina de’ Pecchi, in provincia di Milano. «In pizzeria lavorano 19 ragazzi, tutti assunti con regolare contratto. Ho iniziato con ragazzi che avevano il mutismo selettivo e ora stanno tutto il tempo a prendere ordinazioni». A presenziare all'evento e portare la sua testimonianza anche Mimmo Pesce, che conduce l'unica trasmissione dedicata ai ragazzi autistici e alle loro famiglie, e ha da poco debuttato con il libro indirizzato ai ragazzi “Mio figlio è uno sgusciato” (De Agostini). «Più si allarga il giro», ha detto riferendosi all'idea di PizzAut di aprire un franchising, «meglio è». E ancora Marzia Buzzanca, unica donna nella top dei 100 pizzaioli italiani, la sua pizza ha ottenuto il ‘Premio Pizza dell’anno 2023’ del Gambero Rosso, e sulla proposta di una collaborazione cin PizzAut: «assolutamente! Io sono pronta».

Il cibo, un ponte tra dentro e fuori

La tappa finale del viaggio di questa mattina alla scoperta del cibo “buono e giusto” finisce in Toscana, nel carcere di Volterra. Qui 16 anni fa sono nate le “cene galetotte”. In collaborazione con Slowfood e Unicoop il carcere si è aperto ed hanno iniziato ad entrare chef stellati e sommelier per preparare cene con i detenuti. «Questa è un’esperienza straordinaria», così l’ha raccontata la direttrice del carcere Maria Grazia Giampiccolo. «Per i detenuti è un’esperienza lavorativa vera e propria, vengono assunti». In 16 anni sono stati oltre 40 le persone che poi hanno trovato lavoro nei ristoranti della zona. A testimoniare la straordinarietà e il successo di questa iniziativa la chef, volto televisivo e autrice di libri, Luisanna Messeri: «L'esperienza che ho fatto nel carcere insieme a Unicoop», ha raccontato Messeri, «sinceramente mi ha cambiata… perché entrare in quella situazione, io sono mamma, i miei figli hanno l'età di quei ragazzi…». Non trattiene l'emozione Messeri, poi riprende: «sono stati incredibili, con una voglia pazzesca di imparare. Io faccio una "cucina di casa", una cucina toscana, e molti di loro, che vengono da diverse zone d'Italia, non l'avevano mai assaggiata. Vederli "impadronirsi" delle ricette, sentirli dire "questa cosa poi me la rifaccio", è stato proprio bello. La cucina è una metafora della loro vita, io ho cercato di fargli capire che l'attenzione, che i piccoli gesti che potevano utilizzare per creare le ricette, loro la devono applicare anche all'idea del loro fututo, che deve essere costruito con pazienza e rigore, ma anche piacere».

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