Messaggini col cellulare e donazioni fatte al telefono di casa con la carta di credito. La solidarietà hi-tech, stimolata dalla tv: sincera ma un po’ impersonale. E solitaria. Saremo nostalgici, ma preferiamo la vecchia colletta. I soldi estratti dal portafoglio e deposti in quel cestino che, all’offertorio, passa di banco in banco. Fisicità, faccia familiare della solidarietà. Per ben due volte nell’arco di un mese la Chiesa italiana ha promosso una colletta nazionale. Fatto più unico che raro nella storia della carità nel nostro Paese. La prima, il 19 aprile, per i terremotati d’Abruzzo. La seconda il 31 maggio, per il Fondo di garanzia in favore delle famiglie più colpite dalla crisi. Dalle 26mila parrocchie le offerte per i terremotati sono state prima raccolte nelle casse di ogni diocesi, poi trasferite alla Caritas. Quanto è stato raccolto, dunque? «Il conto non è ancora definitivo», ci dice don Vittorio Nozza, direttore della Caritas nazionale, «su 220 diocesi circa una metà, un centinaio, devono ancora trasferire i fondi raccolti. Ma siamo già oltre i 15 milioni di euro e mancano all’appello diocesi importanti». La previsione più speranzosa dice che si arriverà a 30 milioni di euro. Ai quali vanno aggiunti i 5 milioni stanziati dalla Cei con fondi dell’8 per mille. Una cifra ragguardevole. «Anche perché noi», commenta don Nozza, «non abbiamo potuto contare su una campagna martellante nei media».
(testimonianza di monsignor Magee, dal libro di Andrea Tornielli, Paolo VI, l’audacia di un Papa, Mondadori)
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