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Fondi europei. In arrivo i colossali stanziamenti 2007/2013. Sud, un rischio da 100 miliardi

I 51 stanziati negli anni passati hanno avuto ben pochi risultati. Come non ripetere gli errori? Evitando la frammentazione. Con il contributo - essenziale - del non profit.

di Maurizio Regosa

Cento miliardi di euro stanno per piovere sul Mezzogiorno, grazie al Quadro strategico nazionale che detta le strategie e le priorità delle politiche regionali di sviluppo, da attuarsi nel periodo 2007-2013, mediante fondi nazionali ed europei. Un fiume di risorse, cui però molti osservatori guardano con grande e comprensibile preoccupazione.

Come l?acqua che scorre
In effetti c?è un precedente molto allarmante: stando a una ricerca commissionata dal governo e condotta dalla London School of Economics e da Vision&Value, gli oltre 51 miliardi di fondi europei destinati, fra 2000 e 2006, allo sviluppo del Sud hanno avuto risultati pressoché nulli. Il Pil è cresciuto meno che nella restante parte del Paese (un risicato +1,23%). Analogamente il tasso di occupazione è migliorato in minor proporzione; sono rimaste al palo l?innovazione e la ricerca; il turismo ha arrancato (le presenze sono aumentate pochissimo, ennesima occasione mancata a dispetto dei 4 miliardi investiti). In compenso, si fa per dire, il lavoro nero, sempre secondo la London School, è salito dal 23,1 al 23,7%. Giudizi condivisi dallo Svimez che, nel Rapporto 2007 sull?economia del Mezzogiorno, riferisce di una «sostanziale inefficacia» e sottolinea come altri Paesi abbiano «saputo sfruttare al meglio le ingenti risorse dei fondi comunitari».

Mille rivoli?
Perché da noi le risorse non abbiano creato alcuna onda d?urto, è faccenda su cui gli analisti hanno fatto varie ipotesi. Potrebbe aver avuto un grande peso la diminuzione delle risorse ordinarie: man mano che aumentavano i fondi europei, si riduceva la spesa nazionale.E così i fondi comunitari – da aggiuntivi e straordinari – sono diventati, di fatto, compensativi e sono stati usati per obiettivi di piccolo cabotaggio: quante amministrazioni li hanno usati per riparare i marciapiedi? Non propriamente sprechi, ma scelte dettate dall?affanno, non illegali ma nemmeno strategiche e che di sicuro non portano sviluppo.Potrebbe anche aver negativamente influito la tendenza a imputare all?Europa talune spese già intraprese su finanziamenti nazionali: in tal modo si sono risparmiati i fondi nostrani ma si è detto addio a nuove iniziative. Quel che sembra aver soprattutto pesato è l?eccessiva frammentazione. Ciascuno ha tirato l?acqua al suo mulino ed è così riuscito a innaffiare il suo orticello. Nel frattempo il fiume si scioglieva in mille rivoli

….e nessuna diga
Qualcuno avrebbe dovuto arginare questa tendenza, mettendo un freno alla frammentazione. Ma né lo Stato ha svolto una funzione di regia, né i dirigenti locali hanno voluto dire dei ?no? scomodi e impopolari: hanno dato spazio alle esigenze territoriali, sapendo che tanto il controllo europeo – decisamente attento alle procedure più che ai risultati – non sarebbe entrato nel merito. «La frammentazione è senza dubbio legata», conferma Sergio D?Angelo della direzione di Legacoop sociali, «a un eccesso di localismo, accompagnato da scarsa qualità nella progettazione. Il partenariato sociale non è riuscito a esprimersi al meglio né a garantire un?efficace concertazione. Senza dubbio la vocazione di un territorio andrebbe considerata entro una strategia più complessiva».

La grande ondata
Strategia e responsabilità sono quindi le parole chiave. Non lo sono forse state in passato. Speriamo lo siano per il futuro: la grande ondata di 100 miliardi, come si diceva, sta per arrivare. E l?importante è non farsi cogliere impreparati. Il Qsn, approntato dal governo uscente e che ha avuto il via libera da Bruxelles, fissa quattro macro-obiettivi con relativi assi e sollecita una discontinuità rispetto al passato. «Alcune novità positive ci sono»; spiega Vilma Mazzocco, presidente di Federsolidarietà, «mi riferisco al fatto che il Qsn si presenta come una sorta di Dpef che orienta le politiche per lo sviluppo regionale e sollecita la responsabilità dei singoli Stati nazionali». Novità che richiedono un diverso approccio anche da parte dei soggetti di terzo settore: «È importante», prosegue la presidente, «che il non profit sappia privilegiare azioni concertative, sinergiche, attente alle necessità dei territori».

Nuotare insieme
«Siamo un Paese che ha risorse per fare investimenti ma rischia di non avere fondi per la spesa corrente», avverte Gianfranco Viesti. Tradotto vuol dire che se si decidesse, per esempio, di creare nel Mezzogiorno mille asili nido, i Comuni avrebbero i soldi per costruirli ma non per gestirli: «Qui c?è uno spazio colossale per il terzo settore che deve garantire che i beni pubblici diano poi vita a servizi pubblici. Collegare l?investimento, realizzato anche con fondi comunitari, e la gestione non pubblica potrebbe essere la strada vincente». Come a dire: in mezzo a un fiume in piena mai andare controcorrente e se si è in tanti nuotare nella stessa direzione….

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