Non profit

Fondazioni universitarie? diffidenza e timidezza

Bologna. Una ricerca per capire.

di Carmen Morrone

Fondazioni universitarie. Origini storiche e percorsi istituzionali (Ed. Baskerville, 2005) è un libro che ha fatto discutere. A scriverlo Giuliana Gemelli, direttrice del master Internazionale sulla filantropia e l?imprenditorialità socialmente responsabile dell?università di Bologna. Dalla ricerca, infatti, le fondazioni non ne escono bene. «Abbiamo analizzato l?attività delle fondazioni europee ed extraeuropee. Emblematico il caso della fondazione universitaria dell?Indiana, che da anni ha in corso un programma di un raccolta fondi e ha intessuto un legame molto forte con la comunità e con i donors. In particolare con la Lilly Company Foundation che sostiene tutti i settori dell?ateneo e non solo quelli scientifici e farmaceutici di suo immediato interesse». Vita: In Italia ci sono questi donors? Giuliana Gemelli: Qualcuno, ma di dimensioni più piccole Vita: Qualche nome? Gemelli: Non è il caso, c?è ancora diffidenza. In Italia il mondo accademico e l?impresa non si parlano: gli uni perché nella torre d?avorio, gli altri perché vittime dei pregiudizi. Vita: Ma allora chi sono gli interlocutori delle fondazioni universitarie italiane? Gemelli: Piccole e medie imprese. Al momento non tutte le fondazioni italianesono di partecipazione, hanno un sistema organizzativo che di fatto si rivelapoco adatto a fare fund raising. Vita: Mancano fund raiser preparati? Gemelli: Anche. Ma c?è chi sta colmando questa lacuna. Ad esempio nel master di Bologna due studenti hanno svolto i sei mesi di stage all?University of Kwa- Zulu-Natal Foundation di Durban e in quella di Indianapolis.


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