Non profit

Fondazioni, quale futuro 30 anni dopo?

Nel dicembre del 1991 grazie alla legge Amato nascevano le Fondazioni di origine bancaria. Assi portanti del nostro welfare e infrastrutture delle libertà sociali. Fra riscoperta delle loro radici e innovazione come cambia il loro ruolo nell'Italia post Covid? Quali i nuovi meccanismi di attivazione delle comunità e del Terzo settore? On line la versione digitale del numero di dicembre di VITA magazine nelle edicole da sabato 11 dicembre

di Riccardo Bonacina

Nel dicembre del 1991 grazie alla legge Amato nascevano le Fondazioni di origine bancaria. Assi portanti del nostro welfare e infrastrutture delle libertà sociali. Fra riscoperta delle loro radici e innovazione come cambia il loro ruolo nell'Italia post Covid? Quali i nuovi meccanismi di attivazione delle comunità e del Terzo settore? On line la versione digitale del numero di dicembre di VITA magazine nelle edicole da sabato 11 dicembre. Qui in anteprima l'articolo di Riccardo Bonacina che ripercorre la genesi e l'evoluzione delle Fob in questi 30 anni. In più i lettori troveranno un dialogo del direttore Stefano Arduini con Giuseppe Guzzetti ("La mia vita da militante dei corpi intermedi"), tutti i numeri delle Fob, il racconto dei progetti di sistema e delle alleanze col Terzo settore e cinque interviste a cinque importanti Presidenti sulle rotte future dell'attività delle fondazioni: Francesco Profumo (Acri e Compagnia di San Paolo; Giovanni Fosti (Fondazione Cariplo); Giusella Finocchiaro (Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna); Angelo Galeati (Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno) e Antonello Cabras (Fondazione di Sardegna).


La storia di uno dei sistemi più socialmente generativi degli ultimi decenni, quello delle fondazioni di origine bancaria, 86 in tutto, è una bella storia da raccontare perché in essa si incontrano, come veri e propri nodi, tutti i temi della faticosa costruzione di un’Italia della vera sussidiarietà e della promozione di un nuovo welfare. È la storia di un sistema che nel 1990 semplicemente non esisteva e che oggi, invece pare così necessario con la sua capacità di erogazione (circa 1 miliardo l’anno) e la sua capacità di aggregazione della domanda e di lettura dei bisogni sociali. La genealogia di questa storia ha inizio con la Legge del 30/07/1990 n. 218 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 06/08/1990, titolo: “Disposizioni in materia di ristrutturazione e integrazione patrimoniale degli istituti di credito di diritto pubblico”.

Una legge denominata anche con il nome dell’allora ministro del Tesoro Giuliano Amato. Che ricorda: «Avevamo istituzioni che non avevano strutture per stare sul mercato, come le Casse di risparmio con quote nei monti di pegno: si trattava di trasformare quel segmento in una parte del settore creditizio europeo, evitando che ogni suo singolo albero venisse preso da imprese bancarie di altri Paesi. La riforma non nasce quindi per caso come qualcuno ha detto, ma su una precisa e reiterata richiesta dell’Unione europea al governo italiano. Ciò che da lì si è sviluppato non era certo nelle nostre intenzioni, anche se sapevamo (penso a Nino Andreatta) che in quelle che avevamo definito “enti conferenti”, le fondazioni, si sarebbero trasferiti gli scopi — ovvero le radici — sociali e culturali delle casse di risparmio originarie».
Anche Giuseppe Guzzetti, già presidente di Fondazione Cariplo e di Acri e assoluto protagonista di questa storia, sottolinea: «Le fondazioni nascono dalle casse di risparmio che avevano già un Dna del tutto particolare rispetto alle altre banche. Erano banche che non avendo azionisti non dovevano remunerare il capitale e negli statuti fondativi, che si perdono nei secoli, quello di Monte Paschi per fare un esempio fu scritto prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America, c’era la prevalenza dell’attività filantropica. La mancanza di azioni esponeva queste banche, casse di risparmio e monte dei pegni, a un rischio, in caso di aumento di capitale non c’era l’azionista che avrebbe dovuto sottoscriverlo. L’Ue chiedeva di inventare gli azionisti delle casse di risparmio. La legge Amato del 1990 compie questa operazione: inventa un soggetto che chiama ente conferente (fondazione) al quale attribuisce l’intero pacchetto azionario nel quale era stato diviso il patrimonio di ciascuna cassa di risparmio e trasforma la banca in una società per azioni (società conferitaria). Per fare un esempio alla neonata Fondazione Cariplo la legge attribuiva l’intero pacchetto azionario nel quale era stato ripartito il patrimonio della banca. Inizialmente le fondazioni dovevano mantenere la maggioranza delle azioni, successivamente è stato imposto alle fondazioni di cedere la maggioranza delle azioni in modo totale o parziale. Questa legge non risolveva problemi fondamentali a partire dalla natura dell’ente — pubblico o privato? — gestione del patrimonio, governance del nuovo ente, settori di attività dell’ente e tante altre questioni, ma indubbiamente è il calcio di inizio».



Da quell’estate 1990 ci vorranno alcuni mesi per i decreti attuativi e le prime fondazioni nasceranno a fine 1991. Sino al 1998 questi enti si devono inventare tutto, dalla governance alla gestione degli utili, ai criteri per erogare fondi in beneficenza, poi nel 1998 arriva la Legge delega n. 461, la cosiddetta Legge Ciampi-Pinza che sarà seguita nel 1999 dal decreto applicativo n. 153. Atti legislativi che definiscono la natura privata delle fondazioni, anche se il termine non compare mai perché si parla sempre di enti conferenti. L’articolo 2 dice: «Sono persone giuridiche private senza fine di lucro dotate di piena autonomia statutaria e gestionale; perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico».
Roberto Pinza, era in quegli anni il sottosegretario al Tesoro a cui Ciampi affida il compito di scrivere le norme coadiuvato da un pool di giuristi. Ricorda così quel frangente: «Mentre la definizione dell’attività bancaria era chiara e dal 1993, con il Testo unico bancario, aveva una sua regolazione, il mondo dei soggetti conferenti era un mondo indefinito pur essendo un mondo estremamente importante anche economicamente perché era un mondo che deteneva in grandissima parte le azioni delle banche. Quindi cosa emerse?
Emerse la necessità di dare un assetto normativo a questi soggetti. La cosa più semplice sarebbe stata o collocarli nel settore pubblico come qualcuno spingeva a fare a destra e a sinistra, oppure, come fortunatamente è avvenuto, collocarle nel settore privato, in particolare nel privato sociale. Quando Ciampi mi incaricò di lavorare al provvedimento del 1999, fu perentorio su due punti: il primo è che bisognava dare una disciplina a questi enti e il secondo era quella di collocarli nel privato sociale».

​Non fu facile ci racconta Pinza che dal 2013 al luglio di quest’anno è stato anche presidente di una fondazione di origine bancaria a Forlì: «C’erano molte difficoltà, soprattutto culturali. Si oscillava tra due estremi, chi diceva che essendo i capitali degli enti conferenti accumulati da generazioni che in buona parte non ci sono più era giusto lasciarli alle comunità locali dando il controllo agli enti pubblici, dall’altra c’era la visione opposta di chi sosteneva che non fosse necessaria nessuna regolamentazione. Venne scelta l’opzione del privato ma con le connotazioni altruistiche e sociali che dovevano avere queste fondazioni. La scelta fu quella di creare fondazioni di diritto privato con connotazioni che in prospettiva fossero in grado di innervare patrimonialmente il mondo dell’associazionismo. Le fondazioni erano in grado di mettere capacità finanziarie in un mondo con grandi capacità umane, la somma, si pensò, poteva essere quella classica del settore non profit, quella del 1+1=3. Ed è stato così. Le fondazioni così inquadrate si sono poi trovate a un colloquio diretto con il mondo dell’associazionismo e del Terzo settore dalle conseguenze virtuose e importanti per il Paese».

Ma le norme del 1998/99 non fermarono il pendolo che a fine 2001 tornò a muoversi nella direzione di una pubblicizzazione delle fondazioni: il governo con la finanziaria 2002 apportò profonde modifiche alla riforma Ciampi, all’articolo 11, intaccandone l’essenza. Il provvedimento legislativo era firmato da Giulio Tremonti. Seguì il ricorso alla Corte Costituzionale che si pronunciò con due sentenze, le n. 300 e n. 301 del 29 settembre 2003 con le quali fu fatta definitiva chiarezza sul ruolo e l’identità delle fondazioni di origine bancaria che furono definitivamente consacrate come “persone giuridiche private e dotate di una autonomia statutaria e gestionale” collocate a pieno titolo “tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”. In particolare la sentenza numero 301 indicava come si dovevano costituire gli organi rigettando il tentativo di rendere pubbliche le fondazioni attraverso la composizione di organi di governance con una preminente presenza di enti pubblici e specificando, invece, “la prevalenza della società civile”. La sentenza 300 nello stabilire che le fondazioni fanno parte dell’organizzazione della libertà sociali dà ulteriore confermava alla natura privata delle fondazioni: dice infatti che questi sono soggetti intermedi che non sono né dello Stato né del privato ma sono soggetti privati che svolgono una funzione di carattere pubblico collettivo e di utilità sociale

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