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Fondazioni: l’innovazione può diventare cambiamento?

«Realizzare cambiamento, farsi carico dell’estensione stabile dei servizi innovativi, è un compito possibile solo se queste sono in grado di mobilitare in modo congiunto i cittadini, il Terzo settore e la pubblica amministrazione». L'intervento del direttore generale della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo

di Andrea Silvestri

Il Convegno nazionale “Orizzonte Vela – L’inclusione possibile”, tenutosi a Cuneo a inizio dicembre, è stato un momento davvero significativo: ha dimostrato a cittadini, famiglie, operatori sociali e sanitari e alla Fondazione CRC, promotrice dell’iniziativa, che anche oggi è possibile fare salti di qualità su processi fondamentali per la nostra società, come la vita autonoma, piena e degna delle persone con disabilità intellettiva. I risultati del convegno offrono anche l’occasione per fare un punto sul ruolo e l’”atteggiamento” che le Fondazioni dovrebbero adottare, per essere efficaci, quando affrontano i mari aperti dell’innovazione e del cambiamento sociale.

Ho già avuto modo di ricordare, in un mio precedente intervento, il serio percorso di riflessione e presa di coscienza che le Fondazioni hanno affrontato negli ultimi 15 anni, alla ricerca di un “valore aggiunto” della propria azione, che moltiplicasse il beneficio per le proprie comunità di riferimento, oltre la sommatoria dei contributi erogati: valore aggiunto identificato nella capacità di realizzare innovazione sociale, declinata nelle fasi di ideazione, sperimentazione in piccola scala, valutazione rigorosa dei risultati, e, infine, proposta di estensione delle soluzioni sperimentate agli enti pubblici preposti. La crisi del 2008 ha reso ardua l’attuazione dell’ultimo passo di questo modello: gli enti pubblici responsabili dei servizi, nei diversi settori di intervento, hanno una oggettiva difficoltà ad adottare su larga scala innovazioni che portino efficienza ed efficacia nel medio periodo, ma che comportino azioni e costi aggiuntivi nel breve. Le Fondazioni hanno dunque capito l’importanza, da parte loro, di fare un passo in più, di lavorare attivamente perché l’innovazione diventi cambiamento, cioè metta radici e migliori i processi e i servizi ai cittadini, facendosi carico anche della fase di estensione e diffusione delle innovazioni. Detto così, il compito può apparire titanico, non alla portata di Fondazioni di media o piccola dimensione, e neppure di tante grandi Fondazioni. Molti staranno anche pensando, non senza qualche ragione, che non è neppure il compito di enti privati, quali le Fondazioni, quello di farsi carico del cambiamento in processi ”pubblici”. Nelle righe che seguono vorrei suggerire alcune strade lungo le quali questa sfida acquista senso, e gli atteggiamenti con i quali può essere affrontata.

Pubblico vs P.A.

Partiamo dall’osservazione sull’appropriatezza di questo compito rispetto alla natura privata delle Fondazioni. Per prima cosa occorre rifare tutti insieme un esercizio, antico ma sempre utile, di distinzione tra il bene pubblico, nel senso dei servizi a favore dei cittadini, rispetto a quelli erogati “dal pubblico”, cioè dalla Pubblica Amministrazione in tutte le sue declinazioni. E’ la stessa Costituzione che spinge ad una virtuosa collaborazione, chiamata Sussidiarietà, tra lo Stato ed i cittadini, singoli o associati, favorendo l’iniziativa di questi ultimi per la realizzazione del bene comune. E’ dunque lecito, nonché fattore costitutivo delle Fondazioni, che enti privati si occupino del bene pubblico.
Allo stesso tempo, però, va riconosciuto il ruolo fondamentale dello Stato nella regia e nell’erogazione dei servizi. Le democrazie occidentali mantengono, soprattutto in alcuni settori, tra cui la spesso vituperata scuola pubblica, risorse di intelligenza, cultura, passione, che vanno sostenute e valorizzate. Lo stesso sistema del welfare sociale italiano ha visto negli ultimi anni una contrazione delle dotazioni in alcuni capitoli di spesa, a fronte di bisogni in crescita, ma è ancora ampio e dotato di risorse consistenti, paragonabili a quelle dei grandi Paesi europei.


Realizzare cambiamento: un compito “possibile”?

Un prima risposta al quesito è dunque questa: realizzare cambiamento, farsi carico dell’estensione stabile dei servizi innovativi, è un compito possibile per le Fondazioni, solo se queste sono in grado di mobilitare in modo congiunto i cittadini, il Terzo settore e la pubblica amministrazione: dai primi riceveranno la spinta propulsiva di idee, di energie, ed anche di rivendicazione di diritti, che solo gli individui e le associazioni possono offrire; con gli enti pubblici, invece, troveranno la strada per la fattibilità e la sostenibilità delle innovazioni su scala ampia.
​Per contro, ogni iniziativa autonoma delle Fondazioni, o che coinvolga esclusivamente uno degli interlocutori fondamentali ora citati, può essere splendida, innovativa, utile, ma non avrà in sé la forza di mettere radici e diventare cambiamento duraturo. La seconda risposta riguarda le risorse necessarie: certo, questo è un problema, soprattutto nelle fasi iniziali di sperimentazione. Tornerò più avanti sulle strade possibili per il reperimento di risorse aggiuntive. Ma se si riconosce la presenza importante delle risorse pubbliche come base di partenza, si può spostare il focus dell’azione sulle esigenze di innovazione e trasformazione delle modalità di spesa, a parità di budget: si pensi, a titolo di esempio, al dibattito in corso da anni nel settore del welfare, a proposito della necessità di un incremento dei servizi di accompagnamento e di una personalizzazione dei servizi, a fronte di risorse notevoli erogate sotto forma di trasferimenti monetari, che non fanno leva sulle energie dei beneficiari.

Quale volto per le Fondazioni nei prossimi anni?

Le poche righe precedenti tratteggiano quello che, a mio parere, è il ruolo principale che le Fondazioni devono giocare: la mobilitazione dei cittadini, delle associazioni, del privato sociale e degli enti pubblici interessati, in processi di innovazione e cambiamento sostenibili. Un simile ruolo, però, richiede alle Fondazioni di impegnarsi a fondo in alcune azioni specifiche, di assumere “atteggiamenti” talvolta inusuali per istituzioni percepite come stabili e compassate, almeno nell’immaginario collettivo. Provo a descriverli nel seguito, giocando un po’ con le parole.

“Radicalità”

L’atteggiamento “radicale” significa puntare al cuore dei problemi, cioè alle loro cause. Significa impegnarsi a fondo in quei settori o quei processi dove oggi si giocano le sfide dello sviluppo sociale ed economico, o dove si annidano le inefficienze che rischiamo di frenare quello stesso sviluppo. Penso ad esempio all’innovazione nella scuola, al rafforzamento dei processi di trasferimento tecnologico, alla nascita o al consolidamento delle imprese sociali, alla coesione sociale. Peraltro, una strategia esplicita di questo tipo può anche costituire una difesa dalle richieste più “sostitutive” di responsabilità altrui. Ciò non significa che non si possa intervenire sulle emergenze: se la lentezza dell’intervento pubblico è considerato un fattore cruciale di inefficienza, ha senso farlo, con una strategia chiara in mente, e con qualche criterio distintivo.

“Secchioneria”

Per intervenire sulle cause dei problemi bisogna conoscere a fondo i propri territori e le proprie comunità. Bisogna studiare, analizzare i dati, anticipare i trend, approfondire le migliori pratiche italiane ed internazionali. Quanto forte è il rischio per chi lavora nelle Fondazioni (incluso chi scrive!), di replicare progetti e approcci ideati e avviati anni fa, che hanno dato buoni risultati, ma necessiterebbero di una forte revisione, o di essere fermati per concentrarsi su nuove esigenze! Non bisogna smettere di imparare e confrontarsi: le associazioni delle Fondazioni italiane ed europee sono luoghi in cui si capisce quanto l’apertura nazionale e internazionale siano fonte di arricchimento continuo. Forse chi oggi dipinge l’Europa come un’organizzazione di avidi burocrati, anziché come un campo aperto dove muoversi e confrontarsi con cittadini di tanti Paesi, ha perso la voglia di mettersi in discussione e di crescere.

“Sfrontatezza”

La “sfrontatezza” è indispensabile per mobilitare nuove risorse economiche, necessarie, come detto, per attivare in particolare le fasi di avvio delle sperimentazioni innovative. Bisogna avere la voglia di mettersi in gioco e di metterci la faccia. Penso al coinvolgimento delle imprese del territorio, interlocutori che spesso non vengono considerati come partner delle iniziative delle Fondazioni, mentre possono giocare, e già giocano in tanti casi, un ruolo importante: non solo nel cofinanziamento di progetti nell’ambito della corporate social responsibility (che presenta vincoli crescenti anche per le imprese stesse), ma anche dal punto di vista della diffusione delle pratiche di welfare aziendale (oggetto di una recente ricerca di Fondazione CRC), che possono incrociarsi in modo virtuoso con iniziative delle Fondazioni, ad esempio quelle di sostegno allo startup di imprese sociali. Cito poi due altre strade, di grande attualità, senza avere il tempo di dilungarmi su di esse: gli investimenti ad impatto sociale, con i quali si può sperimentare anche il mix di fonti di finanziamento diverse, e la progettazione per contributi europei, nella quale, in misura crescente, le Fondazioni sono chiamate a giocare non solo il ruolo di sostenitori, ma anche di protagonisti e promotori di ampie cordate.

“Cocciutaggine”

“Questo progetto è stato reso possibile dalla “cocciutaggine”, così la definirei, con cui la Fondazione ha insistito nel farci lavorare insieme, a dispetto dei tanti ostacoli emersi”: questo, detto da un’operatrice sociale, è il miglior complimento ricevuto dalla Fondazione CRC nel corso del Convegno “Orizzonte Vela”. Il cambiamento, sociale, culturale, educativo, dei processi di trasferimento tecnologico, è una strada in salita e piena di curve e saliscendi, che richiede pazienza, perseveranza, motivazione. E tempi lunghi. L’iniziativa celebrata nel convegno è partita 5 anni fa, con una prima ricerca sui servizi per il “dopo di noi”; ha visto i primi anni di lavoro caratterizzati da contrasti e ripensamenti, prima di arrivare a trovare la giusta direzione ed il giusto passo sincronizzato. Il cambiamento assomiglia al lavoro di un coltivatore. Molte iniziative non trovano terreno abbastanza fertile, altre vengono fermate dalle gelate, nonostante gli sforzi di chi le cura. Quello che è certo è che, se le Fondazioni giocheranno appieno e insieme il loro ruolo, le piante della coesione sociale e dello sviluppo cresceranno numerose. E poiché ogni iniziativa che coinvolge attivamente i cittadini ha un grande valore intrinseco, di mobilitazione di energie e di coscienze, anche a prescindere dai risultati concreti che porta, da queste piante altre ne germoglieranno. Cosa di cui l’Italia ha molto bisogno.

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