Non profit
Fondazioni, fatti in bilancio
Si chiama bilancio di missione, allestero è un obbligo di legge. Non è fatto di cifre, ma racconta ai cittadini i progetti sociali sui quali listituto si impegna e investe i capitali.
Il 30 settembre si sono chiusi gran parte degli esercizi sociali delle fondazioni bancarie italiane. È stato, quello appena trascorso, un anno per certi versi spartiacque per queste organizzazioni non profit ancora prive di identità ben definita (il loro stesso ?inventore? – l?allora ministro del Tesoro Giuliano Amato – ebbe a soprannominarle in seguito «mostri senza padrone»).
Nonostante, infatti, permanga un diffuso clima di incertezza circa il loro futuro a causa dei continui rinvii subiti dal cosiddetto disegno di legge Ciampi-Pinza (n. 3194/97) che dovrebbe riformare profondamente il settore (riconoscendo alle fondazioni una personalità giuridica di diritto privato con autonomia statutaria e gestionale e prescrivendo gli scopi di utilità sociale che esse potranno perseguire), nell?arco degli ultimi dodici mesi le fondazioni si sono dimostrate particolarmente dinamiche sotto molteplici aspetti. Quali ad esempio: la quantità e la qualità delle privatizzazioni delle attività bancarie effettuate (le fondazioni che detengono il controllo delle rispettive banche sono diminuite da più di settanta a meno di trenta; i proventi ricavati dalle dismissioni eseguite da sole quattro di esse – Cariplo, Compagnia S. Paolo, Crt, Cariverona – si aggirano intorno ai 20.000 miliardi, quasi 2/3 dell?intero patrimonio stimato delle fondazioni bancarie italiane); il completamento del processo di revisione statutaria avviato dopo l?emanazione della ?Direttiva Dini? del 18 novembre 1994 e l?adozione di regolamenti interni che consentono di individuare meglio le finalità, l?assetto organizzativo e l?operatività delle fondazioni in linea con le loro differenti origini e dimensioni; il progressivo incremento del numero di fondazioni che hanno deciso di rendicontare la propria attività istituzionale non solo con il tradizionale bilancio contabile ma anche attraverso un ulteriore canale informativo , il bilancio di missione, che mira ad illustrare i fatti oltre che le cifre (all?estero, non a caso, il documento analogo si chiama ?Fatti e cifre?).
Proprio in merito a quest?ultimo aspetto si sono registrati passi in avanti impensabili fino a poco tempo fa, se si considera che in Italia è piuttosto recente la prassi, seguita peraltro da poche imprese (sia profit che non profit), di rappresentare l?attività economica svolta non solo secondo i consueti parametri quantitativi di efficacia ed efficienza ma anche secondo una logica di qualità.
«Se ancora nell?esercizio ?95-?96», sottolineano in Acri , l?Associazione Casse di risparmio italiane che cura annualmente un rapporto sulle fondazioni bancarie, «erano solamente due le fondazioni che compilavano un bilancio di missione vero e proprio – Fondazione Cassa di risparmio di Vignola e Fondazione Cassa di Risparmio di Venezia – oggi esse superano abbondantemente la decina e non escludiamo che possano sensibilmente aumentare».
Tale tendenza risulta particolarmente importante poiché il bilancio di missione è uno strumento di comunicazione etica più esaustivo dello stesso bilancio sociale, del quale pure costituisce una diretta emanazione ed è nota la significatività. «La differenza sul piano formale tra i due tipi di rendicontazione sociale è netta e precisa», afferma il professor Luciano Hinna dell?Università Tor Vergata in Roma, autore di pubblicazioni sull?argomento, «anche se nella sostanza può essere considerata la stessa cosa. Il bilancio sociale è tipico della azienda profit oriented che racconta ai suoi stakeholders (letteralmente, detentori di interesse) qualche cosa in più e di diverso rispetto al bilancio tradizionale, un qualcosa in più che ha valenza sociale prescindendo dal settore di appartenenza. Nel caso delle organizzazioni non profit le cose stanno diversamente perché esse hanno per missione proprio il sociale e la missione è diversa a seconda del sociale dove sono impegnate. Nell?azienda non profit quindi è richiesta una trasparenza maggiore verso i suoi stakeholders perchè è lì che si concentra la creazione di valore aggiunto della sua mission. Da qui la necessità di una tipologia di rendicontazione almeno diversa nel nome oltre che nei contenuti e nella struttura. Va da sè che nel caso delle fondazioni bancarie che solitamente hanno missioni ?a cono d?ombra?, prevedono cioè interventi in più settori contemporaneamente, spesso assai lontani l?uno dall?altro, dovrebbero teoricamente essere predisposti tanti bilanci di missione quante sono le missioni perseguite».
Probabilmente, entro breve sarà difficile raggiungere un simile grado di analiticità nel livello di rendicontazione. È da considerarsi tuttavia già un buon risultato il fatto che presso un discreto numero di fondazioni bancarie stia crescendo la consapevolezza che la ?pioggia? (i finanziamenti spot erogati a sostegno di piccole iniziative) non è sufficiente per connotarle quali soggetti che aspirano a svolgere un ruolo da protagonisti nel non profit bensì devono dotarsi di una autentica missione. E, comunque,?raccontarla?.
Nasce la mutua firmata Terzo settore
Idealità e concretezza: sembrerebbe un binomio improponibile in Italia quando c?è di mezzo la tutela della salute. Di diverso avviso sono invece alcune delle più grandi associazioni italiane aderenti al Forum permanente del Terzo settore (Acli, Anpas, Anspi volontariato, ArciI, Auser, Avis, Legambiente, UsacliI e Uisp) le quali hanno promosso la nascita di ?Unaterra?, una società nazionale di mutuo soccorso aperta a tutti i cittadini affinché nessuno si ritrovi solo davanti ai problemi della salute, della malattia, della cura. Partendo dalla considerazione che è necessario trasformare il rapporto dei cittadini con la sanità da problema individuale a impegno collettivo, ?Unaterra? si è ispirata per la sua costituzione al modello solidaristico delle società di mutuo soccorso di fine ?800 conferendole tuttavia una nuova attualità. Essa è impegnata principalmente su tre fronti: la sicurezza (la mutualità non esclude nessuno dei suoi soci, indipendentemente dalla loro età e condizioni fisiche); l?efficienza del servizio (sarà gestito dalla Fimiv, Federazione della mutualità volontaria con oltre cento anni di esperienza al riguardo); la rappresentanza (grazie alla forza dei suoi associati). Una parte della quota associativa viene inoltre destinata non solo alla tutela della salute dei soci ma anche a quella di un amico sconosciuto, di un bene naturale o culturale.
Per informazioni: telelefono e fax 06-6798452.
A chi i fondi
QUANTE SONO 88 di cui: 82 Casse Risparmio e 6 di diritto pubblico PATRIMONIO 53.809 miliardi EROGAZIONI (?96) 376 miliardi così divise: Arte e cultura: 32,4%; Assistenza: 15%; Istruzione: 13,4%; Volontariato: 11,4%; Sanità: 10,2%; Ricerca scientifica: 6,4%; Altre: 11,2%. RENDICONTI SOCIALI 46% delle Fondazioni Casse Risparmio
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