Non profit
Fondazioni e 5 x mille: perchè escluderle?
Quali sarebbero le ragioni che hanno determinato la decisione di escludere le fondazioni culturali dai beneficiari del 5 per mille? Risponde Carlo Mazzini
Sono direttore di una fondazione culturale non onlus. Ho letto che le fondazioni come la nostra non sono state inserite tra i beneficiari del 5 per mille di quest?anno. È vero? Quali sarebbero le ragioni che hanno determinato questa decisione, per noi grave? Ma soprattutto: c?è qualcosa che si può fare? Vi prego di non pubblicare il mio nome.
Strano, ma vero. Iniziamo con una correzione semantica del suo quesito. Non è che non sono state inserite; in realtà sono state eliminate! Infatti, nel disegno di legge della Finanziaria (quello, per intenderci, approvato in prima istanza dalla Camera dei Deputati) le fondazioni erano state inserite a fianco delle associazioni (entrambe «riconosciute», cioè con personalità giuridica) tra i soggetti opzionabili dai contribuenti. Ciò perché queste due tipologie di enti sono sempre andate in coppia nell?abbondante legislazione del non profit, o in maniera esplicita, o implicitamente con l?espressione «persone giuridiche senza scopo di lucro».
Questa volta non è stato così, e quindi, tra le fondazioni, solo quelle che hanno acquisito la qualifica di onlus, o in alternativa sono enti di ricerca scientifica (crediamo «riconosciuti» come tali dai ministeri competenti) possono accedere al 5 per mille.
È evidente a tutti che il pasticcio è grosso, e sarebbe opportuno farlo notare in tempo al legislatore.
Lei chiede come mai si è verificata questa circostanza. Le ragioni dell?esclusione delle fondazioni sono solo supponibili e qui le espongo come congetture, col valore che possono avere le congetture.
Prima ipotesi: si è voluto non far iscrivere le fondazioni di origine bancaria. Non diciamo che il proposito è buono; affermiamo che le si poteva estromettere in modo esplicito, inserendo un?espressione del tipo «con esclusione delle fondazioni di cui al dlgs 153/99 e successive modificazioni».
Seconda ipotesi: il legislatore si è convinto che le fondazioni sono ricche per natura. Affermazione da bar, che ci auguriamo che non sia stata neppure sussurrata alla Buvette; perché se è vero che le fondazioni sono storicamente gli enti che per loro natura (universitas bonorum) si costituiscono già con una dote – peraltro variabile tra regioni e prefetture -, è però innegabile che nessuna (tranne quelle d?origine bancaria) vive più dei frutti del patrimonio. Ne sia prova il dato (Istat 99) che vede ben il 63,5% delle fondazioni sopravvivere con entrate annue inferiori ai 500 milioni di lire.
Cosa fare, si chiede il direttore. Bisognerebbe spiegare le proprie ragioni e iniziare una campagna stampa (attraverso Vita?) per affermare che anche i ?cugini ricchi? delle fondazioni sono enti senza scopo di lucro che contribuiscono al miglioramento della qualità della vita; ricordare che molte persone facoltose hanno costituito fondazioni (con lasciti ad hoc) per intervenire nei settori più diversi del sociale, e che non si capisce perché debba elevarsi una discriminazione così palese. Si pensi a chi agisce nel settore sanitario, o in quello culturale, in particolare nella promozione dell?arte e dei beni architettonici; oppure a chi usa lo sport come strumento di recupero sociale, o semplicemente promuove la beneficenza verso persone svantaggiate o verso enti più operativi.
Quali sono le ragioni per escludere questi soggetti? Chiedere è lecito ?
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