Economia

Fondazione Vodafone, i conti della Csr

Se n'è discusso al seminario della Fondazione del gestore telefonico. Dal 2002 finanziati 236 progetti per 38 milioni

di Maurizio Regosa

Una nuova relazione tra profit e non profit. In nome della responsabilità sociale e soprattutto del bene comune. È questo, in estrema sintesi, l’argomento affrontato nel corso della mattinata al 3 workshop della fondazione Vodafone Italia, svoltosi a Roma presso la Luiss. Un appuntamento denso per la qualità dei contributi e il peso specifico delle questioni affrontate.

Per una buona Csr

A cominciare dalla responsabilità sociale d’impresa. Un tema che il presidente della fondazione, Antonio Bernardi, ha in qualche misura preso di petto: l’incrocio di legittimi interessi – imprenditoriali, solidaristici – può generare ambiguità. Talvolta per risolverla, si opta per una netta separazione fra l’azienda e il settore Csr. Ma non è una scelta utile. “Se si decide di dare risorse al sociale, si fa della beneficenza, ma talvolta, è il caso nostro, si ha la consapevolezza che si fa bene impresa quando si agisce in un mercato di regole e di legalità e quindi, nella tradizione di Olivetti, ci si rapporta con il territorio volendo contribuire al suo sviluppo”. Un impegno che la fondazione Vodafone (giovane, sì, ma molto determinata e che ha avuto la capacità di usare un metodo trasparente e fondato sulla fiducia e la condivisione, e il merito di importare anche nel Belpaese una sensibilità molto “british”) intende rinnovare (il segretario generale, Ida Linzalone, ha presentato la mission dei prossimi anni. Parole chiave: prevenzione e reti).

Tra la cupidigia e la paura

Ma fare una buona Csr è un impegno e al tempo stesso un obiettivo. Se è vero, come ha detto Sebastiano Maffettone (docente della Luiss), che “tutta l’economia contemporanea si muove tra la cupidigia e la paura” e che la Csr normalizza questa dialettica, è altrettanto vero che declinare la propria responsabilità sociale è un punto d’arrivo. Tante sono le variabili di cui tener conto. Ad esempio il rapporto fra sviluppo locale e innovazione sociale, come ha sottolineato Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per le onlus. La tesi del professore è chiara (“occorre partire dall’innovazione per far decollare lo sviluppo, perché la vera questione è migliorare la capacità di vita delle persone”) e ha tre corollari. Che si traducono in altrettanti capitoli dell’agenda prossima ventura: individuare criteri per la valutazione dell’efficacia degli interventi sociali; creare una Borsa sociale (perché tutti possano investire nel sociale); modificare il libro primo del Codice Civile (in altri termini riprendere il percorso avviato nella scorsa legislatura dalla Commissione Pinza. E qui la notizia – data da Alessandra Servidori, che è una sua consulente – è che il ministro Sacconi intende procedere a questa riforma).

Lavorare per le comunità

Sicuramente di incertezza, in questa fase economica ce n’è tanta. In attesa delle risposte del governo (e Servidori ha riferito che Sacconi sta scrivendo il Libro bianco, evoluzione di quello Verde, condiviso e discusso fino all’ottobre scorso) in termini di ammortizzatori sociali e di iniziative concrete ed efficaci, è utile individuare nuove sinergie fra profit e non profit (sinergie che non possono essere sostitutive, ha ricordato Bernardi, dell’indirizzo e dell’apporto statale). Un percorso ben illustrato dalla seconda parte della mattinata. Dopo l’intervento di Linzalone (che come si diceva ha presentato i risultati – dal 2002, la fondazione ha finanziato 236 progetti con 38milioni e mezzo – e presentato la mission del futuro), i contributi di alcune strategie di sviluppo locale in corso di sperimentazione nel Belpaese in alcune “periferie” di varia natura. A Scampia, dove opera il gesuita Fabrizio Valletti. A Torino, con Andrea Bocco, direttore dell’Agenzia per lo sviluppo locale che opera in un quartiere (centrale, ma difficile) come San Salvario. A Firenze, con l’assessore al Welfare della Regione Toscana, Gianni Salvadori. In Puglia con Michele Cirillo (che ha presentato alcuni aspetti problematici dei piani strategici locali).

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