Fino al 23 settembre andrà in scena a Milano il Social Media Week. Cinque giorni all’insegna della cultura digitale e del suo sviluppo nel’ambito sociale. Per l’occasione sul numero di Vita in edicola uno speciale sul rapporto tra Terzo Settore e social network
Che bisogno ha il non profit dei social network? Non è gia abbastanza “social” di suo? Nel resto del mondo la questione non si pone: associazioni e ong sono giganti del settore, e tra Facebook, Twitter e altri network di settore hanno dimostrato in più occasioni di saper elaborare soluzioni all’avanguardia. E in Italia? Nel nostro Paese la situazione ha richiesto un periodo di incubazione un po’ più lungo.
«Tra gli esperti del settore non è nota nessuna case history di successo che riguardi non profit italiane», ammette senza scrupoli Marco Montemagno, storico “guru” del mondo 2.0 e tra gli organizzatori del Social Media Week di Milano, «ma qualcosa di buono sta cominciando a vedersi anche da noi». Certo, sono ancora tanti gli assenti, o le associazioni che utilizzano i social network secondo logiche eccessivamente “istituzionali”.
Per cominciare, però, sarebbe utile avere chiaro quali sono le potenzialità di un profilo Facebook o Twitter per un’associazione: «Riducendo il discorso al minimo, si possono fare due cose», spiega Montemagno, «la prima è fare promozione delle campagne in corso. Se fino a qualche anno fa l’unico mezzo per raggiungere il grande pubblico era la tv, oggi con questi strumenti si possono raggiungere direttamente milioni di persone, senza mediazioni. La seconda attività riguarda il fundraising. Le raccolte fondi possono essere più efficaci se effettuare donazioni è più facile, con transazioni online e via mobile».
Il non profit “serve” alla rete
Due buone ragioni, di convenienza, che da sole dovrebbero essere sufficienti a convincere chiunque operi nel non profit ad attivarsi sul web 2.0. «Bisogna però ricordare che i social network vanno affrontati con grande professionalità. Il fatto che alcune iniziative siano più economiche rispetto a operazioni sui media tradizionali non significa che internet sia economico: bisogna fare un investimento». A quel punto, a chi affidare la gestione di uno strumento così delicato? «Ci sono due strade», spiega il fondatore di Augmendy, «si può creare
una task force interna o dare il servizio in outsourcing. Non è detto che un sistema sia meglio dell’altro. L’importante è valutare le competenze prima di partire». Nel corso della settimana milanese le non profit avranno diverse opportunità per farsi un’idea…
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