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Flop dello svuotacarceri

I detenuti che scontano l'ultimo anno ai domiciliari sono solo l'1%. Lo dice il Garante dei detenuti del Lazio

di Redazione

Sono solo 693 su circa 68 mila i detenuti che hanno beneficiato della possibilità, prevista dalla L. 199/2010 (“legge svuota-carceri”), di scontare agli arresti domiciliari l’ultimo anno di pena.

Un duro colpo ai sostenitori della Legge. Che con il varo della norma alla fine del 2010 intendevano affrontare lo straordinario sovraffollamento dei penitenziari.

I dati sono stati diffusi dal Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, secondo cui «le difficoltà della legge erano largamente prevedibili. Nonostante le previsioni del governo, che stimava in circa otto mila i beneficiari della legge su base annua, la norma presentava delle criticità che tutti noi avevamo segnalato e che, inevitabilmente, sono venute a galla in fase di attuazione. Ad esempio, non si è tenuto in debito conto che gran parte dei detenuti è composta da stranieri che non hanno un luogo dove scontare la detenzione domiciliare e da tossicodipendenti per i quali non ci sono strutture adeguate per accoglierli».

Secondo i dati diffusi dal Garante coloro che hanno beneficiato della detenzione domiciliare sono stati dunque solo 693 reclusi, di cui cento extracomunitari. La Regione con il maggior numero di concessioni ai domiciliari è la Sicilia (100 su 7.800 detenuti), seguita dal Lazio (80 su 6400 reclusi) e dalla Puglia (60 su 4.584). Nei primi posti non figura, invece, la Lombardia, nonostante abbia il maggior numero di reclusi in Italia (61 domiciliari su circa 9.400 reclusi).

«La realtà – ha concluso il Garante – dimostra che ogni decisione sul tema del sovraffollamento è poco più di un palliativo. Fin quando non si deciderà di rivedere la legislazione, fatta apposta per reprimere con il carcere ogni condotta contraria alla legge, ci sarà sempre emergenza nelle carceri. La soluzione cui la politica dovrebbe pensare è la decarcerizzazione del sistema, con un ampio ricorso a misure alternative, ma non meno severe e dissuasive, al carcere. Ma credo che in questo momento non ci siano le condizioni per farlo; le priorità dell’agenda politica sono altre».

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