Sostenibilità

Fiumi di petrolio, nessun divieto Mari a rischio Prestige

Coste italiane esposte al disastro ecologico. Un terzo del greggio europeo, 210mila tonnellate, arriva o parte ogni anno nei nostri porti. Ma solo la metà delle navi è italiana.

di Ida Cappiello

“In Italia corriamo sicuramente meno rischi di disastri con le petroliere, perché il mare è molto più calmo”. Questa frase, detta forse senza pensarci da un broker genovese (un intermediario del noleggio di navi) che ha voluto rimanere anonimo, fa quantomeno sorgere una domanda: non sarebbe meglio stare tranquilli perché sulle nostre acque abbiamo navi moderne e controlli efficaci? Tanto più che, fa notare Giovanni Montanari, presidente di Confitarma, l?associazione degli armatori italiani, “anche senza grandi tempeste, i fondali dell?Adriatico sono pericolosi lo stesso perché, essendo bassi, generano un?onda tagliente, che può avere sullo scafo effetti più devastanti di quelle oceaniche”. Senza contare i rischi di incendio e di esplosione, presenti anche quando la petroliera è ferma.

Traffico fittissimo
Le notizie che destano preoccupazione non mancano, dall?approdo a Genova della nave turca Pazar, in cima alla lista nera Ue stilata dopo il naufragio della Prestige, alla nave fantasma delle coste pugliesi. Tuttavia, la flotta nazionale ha fatto passi da gigante quanto a sicurezza, e il sistema di controllo della guardia costiera italiana sta diventando più sofisticato e penetrante.
Il traffico di navi cisterna nei porti italiani è intensissimo: in tutto, tra sbarchi e imbarchi (gli imbarchi sono ritrasporti di petrolio verso porti secondari) si è sui 210 milioni di tonnellate, circa un terzo del fabbisogno petrolifero europeo. La geografia dei porti ricalca da vicino la distribuzione sul territorio degli impianti di cracking, termine tecnico che indica la prima lavorazione del greggio, base per produrre combustibile ma anche tutte le materie prime sintetiche che servono a fabbricare gli oggetti di uso comune, dai paraurti delle automobili ai collant da donna.
Senza questo mare nero tutta l?economia si fermerebbe. Nella tabella seguente sono riportate le statistiche aggiornate al 2002 relative ai siti più importanti, fornite dalla Capitaneria di porto presso il ministero dell?Ambiente.

Ecoincentivi per navi
Circa la metà delle navi trasportatrici battono bandiera italiana, anche se non è stato possibile avere dati ufficiali.
Gli armatori italiani, terzi in Europa per dimensioni della flotta, si possono considerare ?responsabili?, almeno sotto il profilo della sicurezza. Infatti, mentre le norme internazionali ed europee prevedono la dismissione delle petroliere a scafo singolo più vecchie tra il 2003 e il 2007, una legge italiana del 2001, pochissimo conosciuta, ha incentivato la demolizione delle navi a scafo singolo più anziane con un finanziamento di oltre 100 milioni di euro (erano 200 miliardi di vecchie lire) e ha vietato di iscrivere nei registri italiani navi similari.
“In due anni sono state demolite 40 navi e costruite 60 nuove imbarcazioni”, dice Montanari, “oggi la flotta italiana è la più moderna d?Europa, le navi vecchie rimaste sono poche decine su 290 petroliere, e sono tutte di piccole dimensioni. Oltre 100 navi, inoltre, sono ritornate a battere bandiera italiana”.
La legge però non è stata rifinanziata e il processo di ammodernamento si è interrotto.
Rimane poi il problema delle navi straniere, almeno la metà di quelle che approdano nei nostri porti. Chi le controlla? Il compito è affidato alla guardia costiera, strutturata in un reparto speciale presso il ministero dell?Ambiente, il Reparto ambientale marino della Capitaneria di porto. “Il nostro lavoro è focalizzato sugli interventi in caso di emergenze ambientali, ma stiamo potenziando l?attività di controllo preventivo con un sistema radar che permette di seguire tutti i movimenti delle imbarcazioni”, spiega il capitano di vascello Sergio Tamantini, in forza al Reparto ambientale marino.
“Il sistema”, dice, “è già attivo nello Stretto di Messina, una zona particolarmente delicata per il traffico marittimo, e sarà implementato su tutte le coste italiane”. Si tratta comunque solo di un monitoraggio, senza poteri di divieto: “In ossequio alle convenzioni internazionali, che sanciscono il diritto alla libertà di navigazione, in Italia non ci possono essere divieti particolari rivolti contro specifiche navi”, prosegue Tamantini, “e poi, anche se si volesse respingere una nave pericolosa, bisogna prima aspettare che arrivi in porto, non si può certo fermarla al largo”.

Bocche off-limits
Uniche eccezioni, il divieto di transito per le navi italiane e francesi nelle Bocche di Bonifacio, stabilito da un accordo intergovernativo del ?92, e il divieto di entrare nella Laguna di Venezia per le petroliere a scafo singolo. “In quest?ultimo caso, però”, puntualizza Montanari, “si tratta di un accordo su base volontaria, siglato da noi con Confindustria, petrolieri, ambientalisti e governo, e che non è soggetto a controlli dell?autorità marittima”.
A livello mondiale, in ogni caso, gli sversamenti di petrolio in mare sono diminuiti nel tempo nonostante l?incremento del traffico.
Secondo l?Itopf – International tankers owners pollution federation limited, organizzazione finanziata dagli armatori di tutto il mondo per l?assistenza tecnica alle navi in difficoltà, i casi registrati in media in un anno sono passati da 24 negli anni 70, a 9 negli anni 80 e a 7negli anni 90.

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