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Firme e zollette di zucchero (simboliche) contro Nestlé

Il gigante elvetico accusato da alcune ong di addolcire di più i suoi prodotti per l'infanzia destinati ai mercati del Sud del mondo. L'altro ieri, gli attivisti hanno idealmente consegnato al quartier generale del gruppo a Vevey le 105mila firme raccolte e l'equivalente simbolico di 10 milioni di cubetti di zucchero. Questa ed altre storie al centro di VITA magazine di ottobre, dedicato al socialwashing. Presentazione al Salone della Csr il prossimo 9 ottobre

di Giampaolo Cerri

L’occhio pubblico non si chiude su Nestlé. Occhio pubblico è infatti il nome della ong svizzera Public Eye, bestia nera del gigante elvetico del food.

Sono loro ad aver scoperto, con l’International Baby Food Action Network -Ibfan ed Eko, il singolare doppio standard della multinazionale: avendo fatto analizzare snack e alimenti per l’infanzia in diversi Paesi, hanno scoperto che i contenuti di zucchero usati per la loro produzione in alcune aree del mondo sono più elevate di quelle europee o statunitensi.

La denuncia era partita in aprile, con ampia documentazione, nel frattempo è partita una raccolta firme internazionale che, pochi giorni fa ha sfondato quota 100mila (oltre 105mila per l’esattezza), per cui quelli di Public Eye non si sono lasciati scappare l’opportunità di consegnarle simbolicamente direttamente a Vevey, dove Nestlé ha il suo quartier generale.

È successo nel pomeriggio dell’altro ieri, quando gli attivisti delle tre organizzazioni hanno scaricato davanti a Nestlé l’equivalente simbolico di 10 milioni di zollette di zucchero, 40 metri cubi di scatole vuote trasportate con un camion (foto in apetura, ndr) che ha percorso Avenue Nestlé fino all’headoffice. E sulla fiancata del mezzo una scritta esplicita: «Per Nestlé i bambini non sono tutti uguali».

Attivisti con striscioni e scatole “di zucchero” davanti al quartier generale di Nestlé a Vevey (Svizzera)

«Chiediamo con questa azione di “ritorno al mittente” al gigante alimentare di porre fine all’oltraggioso doppio standard rivelato dalla nostra inchiesta lo scorso aprile», scrivono in una nota.

Nido e Cerelac sotto accusa

Al centro dello scandalo i cereali per l’infanzia Cerelac e i latti per la crescita Nido: che nei Paesi a basso medio-reddito «contengono alti livelli di zucchero aggiunto, mentre tali prodotti Nestlé non hanno zucchero aggiunto in Svizzera». Secondo Public Eye Ibfan e Eko «l’azienda promuove aggressivamente questi prodotti come sani e fondamentali per supportare lo sviluppo dei bambini piccoli, nei suoi mercati principali in Africa, Asia e America Latina. Ma l’esposizione a cibi zuccherati nei primi anni di vita può creare una preferenza per i prodotti zuccherati per tutta la vita, aumentando il rischio di sviluppare obesità e numerosi problemi di salute correlati, come diabete o malattie cardiovascolari. Ecco perché Oms vieta l’aggiunta di zucchero agli alimenti per bambini».

L’appello alle autorità svizzere

Le ong non sono appunto disposte a chiudere un occhio. A giugno, avevano chiesto alla Segreteria di Stato svizzera per gli affari economici, l’equivalente del nostro ministero, «di porre fine a queste pratiche commerciali non etiche, che danneggiano anche la reputazione della Svizzera».

Secondo Public Eye «ancora oggi, Nestlé si nasconde dietro il rispetto delle normative vigenti. La multinazionale sottolinea i suoi sforzi per ridurre gradualmente lo zucchero nei suoi prodotti, nonché l’introduzione di alternative senza zuccheri aggiunti in determinati mercati, come annunciato in India. Tuttavia, queste mezze misure sono inadeguate e perpetuano un doppio standard con conseguenze devastanti per la salute pubblica».

Una storia di socialwashing?

Una storia che dice, di nuovo, dell’attitudine di alcuni gruppi nel fare comunicazione sui temi della sostenibilità, soprattutto di impegno sociale – qui un luminoso Report di sostenibilità e valore condiviso – per poi essere più disinvolti da lato produttivo e commerciale. Quella dicotomia che attivisti e consumatori critici hanno cominciato a chiamare socialwashing.

Il servizio di apertura di VITA magazine ottobre

Ne parliamo al Salone della Csr

Di questo tema e della necessità di misurare la “S” di Esg, si occupa il numero di VITA di ottobre, che trovate qui. Un focus sullo sfuggente fenomeno del “belletto sociale”, in cui indulgono talvolta le aziende, con le voci di molti esperti, studiosi e imprenditori, cui si appaia il primo Rating sociale per le aziende, che abbiamo realizzato con Altis Università Cattolica. Un numero che presenteremo, chi scrive assieme a Stefano Arduini, direttore di VITA, e al direttore di Altis, Matteo Pedrini, il 9 ottobre dalle ore 12,00 alle 12,30. nella giornata inaugurale del Salone della Csr e dell’Innovazione sociale, giunto alla XII edizione (Università Bocconi, Via Roentgen 1 Milano, ingresso libero, previa registrazione).

Le foto sono di Martin Bichsel per Public Eye.

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