Mondo
Finlandia: profughi in fuga dal paradiso del welfare
C'è chi sogna di arrivare e c'è chi, arrivato, chiede di tornare a casa. Sono migliaia i profughi, soprattutto irakeni, che arrivati in Finlandia ritirano la domanda di asilo. Centinaia di loro hanno già fatto ritorno a Baghdad. Succede anche questo: che il sogno si tramuti in miraggio. Che cosa cerca chi arriva è facile da capire. Ma da che cosa fugge chi è arrivato? Ecco la domanda cruciale.
di Marco Dotti
La Finlandia inaugura il suo quinto anno di recessione. Chi la descrive come un paradiso sbaglia di grosso. non ci sono più paradisi. La deindustrializzazione iniziata con la fine dell’era-Nokia ha aperto inediti scenari di post-welfare, proprio un mentre numero crescente di richiedenti asilo arrivati qui se ne vogliono andare. Non ci sono più paradisi. Per nessuno.
Un’indicazione ci viene dai 621 richiedenti asilo che negli ultimi 3 mesi hanno presentato istanza per ritirare la loro domanda e chiedendo di essere rimandati da dove erano venuti. Molti do loro sono già rientrati a Baghdad.
Alcuni si sono organizzati il viaggio di ritorno da soli. Altri hanno chiesto aiuto a organizzazioni umanitarie. Si calcola che finora siano oltre 4000 casi di questo tipo: gente che non solo fugge da qualcosa, ma va verso qualcosa e, non trovandolo, sceglie la via del ritorno.
Il numero dei rimpatrii volontari potrebbe crescere esponenzialmente nei prossimi mesi. Tobias van Treeck, dell’International Organization for Migration (IOM), afferma che molti di coloro che se ne sono andati hanno dichiarato di essere rimasti delusi proprio dal welfare finlandese. L’80% dei rimpatri riguarda irakeni. Pochi i siriani (22 in tutto), ma qui come altrove di siriani se ne incontrano pochi. Nel 2015 la Finlandia ne ha ospitati soltanto 877. E anche qui sorge una domanda: dove sono i siriani? Di certo non sono in Finlandia. Ma altrove, la situazione è diversa?
Secondo una prima lettura – molto banale e ingenerosa – chi chiede di rientrare a casa, ammesso abbia una casa, qui "non regge il clima". Una seconda lettura, forse non meno ingenerosa ma già meno banale, rileva che il regime a cui erano stati assoggettati è inferiore alle loro aspettative. E poi c'è la paura. C’è chi brucia manichini fuori dai centri di accoglienza, si vede gente incappucciata, girano strane voci. Non tutto volge al peggio, ma il paradiso del welfare non abita più qui. Se mai c’è stato.
In un solo anno, le richieste di asilo in Finlandia sono esplose arrivando a 32.500.
Impossibile “processarle” tutte, dicono dal Ministero degli Interni: servirebbero 200 volte il numero di addetti attualmente impiegati negli uffici immigrazioni. Una condizione impossibile da realizzare.
Si calcola che quest'anno le richieste aumenteranno ancora. altre 6000 pratiche, altre 6000 vite. Non un numero altissimo se consideriamo che corrisponde all’incirca al numero di decessi di cittadini finlandesi in età lavorativa o, se prendiamo un altro termine di paragone, alla metà di coloro che per motivi di salute abbandonano il lavoro restando totalmente a carico del sistema di welfare.
Quando arriva, il richiedente asilo viene immediatamente inserito nel sistema di accoglienza e ha diritto a una serie di sussidi, tra cui cibo, alloggio, assistenza sanitaria, educazione di base per sé e i figli, possibilità di svolgere attività in palestra e un sostegno al reddito in denaro.
L’assistenza sanitaria è ridotta al minimo. In un Paese dove tutto è garantito dallo Stato, “dallla culla alla tomba” come si diceva un tempo, per i richiedenti asilo l’assistenza si reduce al primo soccorso e tutto ciò che non rientra in questo primo soccorso viene detratto dal “denaro di accoglienza”.
Non c’è copertura per i problemi di salute cronici, a lungo termine, non si offrono cure dentistiche, salvo i casi di dolore acuto. Eventuali protesi o altri simili il richiedente asilo non le riceve, contrariamente a quanto accade ai cittadini finlandesi. In Finlandia si è già delineato un modello di welfare a più velocità: inclusivo per chi è già incluso, espulsivo per chi chiede o necessità di inclusione.
La cittadinanza sociale – vero pilastro del welfare del Nord – è finita proprio là dove aveva mosso i primi passi? Un’indicazione ci viene dai circa 621 richiedenti asilo (255 irakeni, 184 albanesi, 22 marocchini, 18 russi) che negli ultimi mesi hanno presentato istanza per ritirare la loro domanda e hanno chiesto di essere rimandati da dove erano venuti. Alcuni si sono organizzati il viaggio di ritorno da soli.
Altri ricorreranno all'aiuto di organizzazioni umanitarie.
Si calcola che finora siano oltre 4000 i casi di questo tipo: gente che non solo fugge da qualcosa, ma va verso qualcosa e, non trovandolo, sceglie la via del ritorno,
Il numero dei rimpatrii volontari potrebbe crescere esponenzialmente nei prossimi mesi. Tobias van Treeck, dell’International Organization for Migration (IOM), afferma che molti di coloro che se ne sono andati hanno dichiarato di essere rimasti delusi proprio dal welfare finlandese. L’80% dei rimpatri riguarda irakeni.
Troppo duro il regime a cui erano stati assoggettati. Troppo grande la paura. C’è chi brucia manichini fuori dai centri di accoglienza, si vede gente incappucciata, girano strane voci. Non tutto volge al peggio, ma il paradiso del welfare non abita più qui.
L'inchiesta prosegue con focus su Svezia e Danimarca sul numero di marzo di Vita.
Per continuare a leggere su Vita di Marzo clicca qui
Immagine in copertina: Rifugiati arrivano a Tornio, nel nord della Finlandia, il 18 settembre 2015. Photo credit JUSSI NUKARI/AFP/Getty Images.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.