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Fini, dialogo nel buio
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Mentre nei cieli non si vola, a terra si vivono ore di tensione nel Pdl, in attesa della resa dei conti di giovedì, dopo l’aspro confronto fra Fini e Berlusconi. I giornali registrano soprattutto le difficoltà dell’operazione politica lanciata dal presidente della Camera, e ritengono improbabile una vera rottura all’interno del partito del premier.
Nessun riferimento sulla prima pagina del CORRIERE DELLA SERA, che ai maldipancia interni al Pdl riserva le pagine 12 e 13. “Una corrente di minoranza. Fini si prepara alla terza via” è il titolo di apertura. Il pezzo è di Paola Di Caro che spiega come il cofondatore punti su una quarantina di deputati e 15/20 senatori anche se la nuova minoranza non sarebbe più la componente di An che nell’ultimo anno ha perso molti esponenti. Molto più esplicita invece la finiana Sofia Ventura, docente di Scienza politica e collaboratrice di FareFuturo che dice: “Pdl, serve un altro leader”: «Una delle preoccupazioni di Fini è sempre stata costruire un partito che duri». A pag 13 la risposta del capo del Pdl: “Il gelo di Berlusconi: è solo vecchia politica”. Il pezzo riprende le dichiarazioni del premier a Porta a Porta: «Speriamo di sì, non dipende da me». Così il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha risposto in un’intervista registrata sabato scorso per la trasmissione tv Porta Porta alla domanda sulla possibilità che si trovi la «quadra» con Gianfranco Fini dopo le recenti divisioni. Nell’intervista, in onda nella puntata di lunedì sera, Berlusconi ha spiegato che «non si tratta di rimproverare niente e nessuno, qua si tratta di superare momenti negativi che però non hanno fondamento alcuno nella realtà del nostro partito che è democratico, ha avuto un congresso trasparente, ha approvato uno statuto che affida ai differenti organi di partito la responsabilità di certe decisioni». «Questo finora è sempre avvenuto – aggiunge il premier – con successo, anche perché il Pdl ha vinto tutte le elezioni in cui è sceso in campo. In un anno ha saputo essere vincente. Credo che tutto si possa migliorare, come è logico che sia, ma credo che non si possa prescindere – conclude Berlusconi – dal sistema della democrazia delle decisioni che è stata adottata dal partito». Intanto si apre il braccio di ferro per la direzione di giovedì, entrambi i leader infatti vorrebbero parlare per ultimi: Verdini sta cercando un punto di equilibrio. Infine la nota di Massimo Franco (“Un conflitto al buio fra pretattica e rischi di rottura” e l’intervista al ministro Giorgia Meloni: “Io mediatrice. La scissione un suicidio, ma la mia destra va difesa”. Ma alla domanda se seguirà Fini in caso di strappo risponde così: «Io sono fedele più a qualcosa che a qualcuno. E contraria a ogni disgregazione».
LA REPUBBLICA che apre sulla situazione aerea (“Nube sull’Italia, i voli ripartono”) riserva una doppia pagina interna annunciata da un piccolo riquadro in prima: “Berlusconi gela Fini «È Bossi il mio solo alleato»”. Ha sempre dimostrato, continua il premier, «saggezza, acutezza politica e assoluta lealtà». Affettuosità subito ricambiata dal Senatur: «Noi della Lega abbiamo un sacco di voti. Senza di noi, sono deboli. Fini sa fare i conti e quindi sa che ha bisogno della Lega. Sa che fuori della coalizione di governo non ha nessun posto». Giovedì comunque ci sarà la resa dei conti: il presidente della Camera riunirà i suoi per sapere su quanti può fare affidamento. Ma da giorni, sottolinea Gianluca Luzi, si assiste allo sfaldamento delle truppe. Ieri La Russa ha riunito a Milano 18 parlamentari ( sui 22 eletti nel nord-ovest). Hanno firmato un documento, una sorta di cambiale in bianco per dire che rimarranno nel Pdl «qualunque cosa accada». Prove di sfaldamento anche intellettivo? Quanto al promotore dell’incontro, Ignazio il ministro interessante la sua presa di posizione: «Manteniamo un rapporto di lealtà e di amicizia con Gianfranco, ma abbiamo fatto una scelta politica che speriamo sia fatta da tutti, anche dallo stesso Fini e dai finiani». In appoggio intervista a Mirko Tremaglia: “La fusione fu un errore, ora gruppi autonomi”. «Adesso voltiamo pagina», spiega il deputato, che era contrario alla fusione nel Pdl e che si è schierato con Fini, «perché la sua svolta è in linea con la battaglia contro la partitocrazia che da sempre la destra italiana ha portato avanti… Siamo sempre stati contro gli accentratori e i monopolisti della politica. Continuiamo ad esserlo». Quanto alla scissione, «non è necessaria. È necessaria la nascita di un gruppo parlamentare autonomo. O di una componente comunque alleata, federata, che resti dentro la maggioranza». Nel retroscena, Carmelo Lopapa spiega quanto improbabile sia la scissione. Vivranno da «separati in casa» per dirla con Bocchino, un finiano doc. In ogni caso il presidente della Camera avrebbe pronto un piano B: un rapido congresso per decidere nome e simbolo del nuovo partito che poi si alleerebbe con Berlusconi. Quanto al premier è come sempre dialettico: «Non mi faccio mettere sulla graticola. Gianfranco vuole fare una componente di minoranza? Bene, l’importante è che la minoranza si adegui sempre alla maggioranza e che non venga mai meno la lealtà all’esecutivo».
E veniamo al GIORNALE: “Fini come Veltroni? Sembrano due sosia”. Ai mal di pancia del centrodestra il quotidiano della famiglia Berlusconi dedica un piccolo richiamo in prima dell’articolo a pagina 6, a firma di Luigi Mascheroni, sulle “piroette di Gianfranco”: «Entrambi sempre così avanti rispetto al proprio partito da ritrovarsi alla fine da soli, Gianfranco Fini e Walter Veltroni, due compagni perfettini, non hanno solo in comune l’aria da primo della classe che pur di prendere il voto più alto ti passa il compito sbagliato, ma anche un accidentato percorso ideologico alle spalle che li ha portati – senza stupire chi li conosce bene – su posizioni politiche del tutto sovrapponibili. Si trovassero, stasera, di fronte in un talk-show televisivo, non ci sarebbe alcun contraddittorio. Passerebbero il tempo a darsi ragione su tutto: i diritti degli immigrati, le coppie di fatto, la pillola abortiva, la rivalutazione del Sessantotto, il Fascismo come male assoluto, l’amore per l’Africa, il valore altamente simbolico del 25 Aprile, la necessità sempre più urgente di una reale alternativa a Silvio Berlusconi. A ben pensarci, una noia».
Un piccolo richiamo in prima pagina «Tarchi: Fini è all’angolo. Berlusconi: non tratto. E la truppa si assottiglia» per il MANIFESTO che sceglie di aprire con una spettacolare fotografia del vulcano islandese in eruzione. Nelle due pagine (la 4 e la 5) dedicate alla «destra» come scrive il quotidiano nell’occhiello «Dopo la rottura, è in salita la strada del presidente della camera. Berlusconi non torna indietro e chiarisce che la ricomposizione non dipende da lui. Il cavaliere non tratta e ai finiani che si riuniscono oggi, resta solo la possibilità di costituire un’area interna al Pdl. Ma fioccano le diserzioni e il ruolo dell’ex leader di An rischia di essere ridimensionato». Sullo stesso tema viene intervistato Marco Tarchi «Fini? Un opportunista senza opportunità», l’ideologo, come viene definito «È stato il primo a parlare di una destra “fuori dal tunnel del fascismo” e per questo venne espulso dal Msi. Marco Tarchi, oggi docente all’università di Firenze, è stato l’animatore della stagione dei Campi Hobbit e di apertura del neofascismo tra la fine degli anni 70 e metà degli 80 che va sotto il nome della Nuova destra» ricorda IL MANIFESTO. A una domanda su Fini Tarchi risponde: «(…) Fini criticava Berlusconi da destra, agitando tematiche nazionalistiche e rivendicando un presidenzialismo statalista. Si è accorto che non faceva breccia e ha indossato gli abiti del moderato aperto ad istanze progressiste. Per cercare dagli avversari quella legittimazione a futuro leader di un governo di pacificazione delle tensioni che il centrodestra non avrebbe riconosciuto» E conclude osservando che «La politica ha divorziato dalle idee, e non da oggi».
Gelo di Berlusconi, Fini alla conta”. È il titolo del pezzo di politica del SOLE 24 ORE a pagina 18. Alla questione è dedicato Il Punto di Stefano Folli. “A Fini conviene costituirsi minoranza nel Pdl. Pensando al futuro”: «’Lex leader di An vuol contrastare il «cesarismo» berlusconiano, nonché i cedimenti alla Lega, la scelta più utile per lui – anche se scomoda – è quella di restare nel Pdl, conservando la presidenza di Montecitorio e raccogliendo i sostenitori intorno a un documento politico di spessore. Tutto questo non sarà indolore. Gli attirerà pesanti ironie e qualche insulto. Si dirà di lui che manca di coraggio e di personalità. Eppure ogni altra scelta, in apparenza più spavalda, rischia di fare il gioco degli avversari e di accelerare proprio quella «deriva plebiscitaria» che il presidente della Camera vuole contrastare. Al contrario, restare nel Pdl, sia pure in posizione di minoranza ufficiale, permetterà di continuare una battaglia che tutto il gruppo finiano giudica meritevole d’essere combattuta. Certo, giunti al punto in cui siamo, ci vuole forse più animo a restare che ad andarsene. Ma se Fini vuole pensare al futuro, cioè al dopo-Berlusconi che prima o poi ci sarà, gli conviene masticare amaro adesso».
«Gianfranco Fini può contare su 25 deputati e su meno di 15 senatori» titola ITALIA OGGI in un box in prima pagina dove una vignetta intitolata «Direzione Pdl» mostra le caricature di Fini e Berlusconi ai blocchi di partenza, ma in due direzioni opposte. In prima si sintetizza «Se Gianfranco Fini se ne va dal Pdl saranno guai per la maggioranza perché già adesso il governo nonostante l’ampia maggioranza sulla carta fa fatica in aula soprattutto nelle commissioni a raggiungere i voti necessari (…)». Diversi gli articoli all’interno dedicati alla crisi del Pdl, si va dall’analisi di Pierluigi Magnaschi che nell’articolo intitolato «Perché l’abilissimo Fini è finito in un cul di sacco?» riassume in cinque punti il perché :«le sue idee non coincidono con quelle del suo elettorato tradizionale»; al Punto di Edoardo Narduzzi «Fini è come Massimo D’Alema cioè un politico senza futuro». Sorvolando sull’articolo che fa la conta dei finiani che si conclude prevedendo la formazione di una «Kadima in salsa italiana (il partito della nazione?) …» si possono citare gli articoli che analizzano la posizione degli uomini di Lombardo, ci sarebbero 4 deputati e tre senatori dell’Mpa «pronti a sostenere Fini» e quello di Marco Taradash che nel titolo avverte «Adesso però Fini deve stare attento a non inCasinarsi – Casini è uno della prima repubblica che conosce le tecniche di sopravvivenza della vecchia Dc». C’è anche un commento di Diego Gabutti che ritorna alla lite tra Bocchino e Lupi nello studio di Gianluigi Paragone «Il postfascista Bocchino accusa gli altri di fascismo» che nell’occhiello osserva: «Di solito, il cornuto dovrebbe essere molto prudente nel parlare di corna. Invece…». E conclude l’articolo «Si separeranno: non ci sono più margini per una riconciliazione dell’ultimo momento, a meno che Fini non ammetta di soffrire di vertigini e non si ritragga dall’orlo dell’abisso prima di cascarci dentro. Ma ci sono conclusioni, soprattutto quelle più drammatiche, che s’impongono da sé: non vuoi buttarti, tieni al tuo rango politico almeno quanto tieni alla pelle, ma non hai più speranza di ereditare un giorno il partito, e inoltre sai che facendo un passio indietro passeresti da codardo, perciò chiudi gli occhi e alé, un bel salto nel buio, incontro al grande mistero».
AVVENIRE titola “Fini rinuncia ai gruppi ma prepara la corrente”. Nell’occhiello la conta dei «suoi» parlamentari: 35 deputati e 15 senatori. «La rottura è più lontana e nessuno scommette più sulla nascita di nuovi gruppi parlamentari», sintetizza AVVENIRE, con un premier che «non cede di un passo nel merito della contesa» e apre sul metodo «l’unico spiraglio», in quanto «il Pdl non può prescindere dal sistema della democrazia». Fini, tuttavia «ieri ha perso altri pezzi», a partire da La Russa. E tuttavia «Anche Sarkozy era una minoranza di Chirac e anche Obama…», ragiona Urso. Sugli altri due fronti, Cicchitto dice che «è impensabile che dopo giovedì il Pdl diventi una circo Barnum», mentre nel carroccio crescono i malumori, con il sottosegretario Brancher che dice «siamo stufi, andiamo verso il federalismo».
“Berlusconi avverte: non voglio correnti”. “E nasce un Correntone ex An contro Gianfranco”. Sono i due titoli di apertura rispettivamente a pagina 6 e 7 del primo piano che LA STAMPA dedica alle questioni interne del Pdl. Oltre alle dichiarazioni di ieri del premier, il quotidiano di Torino riporta un’intervista a Domenico Fisichella, politologo che “inventò” la denominazione “Alleanza nazionale”. LA STAMPA gli chiede se Fini andrà fino in fondo o se sta solo bluffando: «Tutto dipende dalla consapevolezza che Fini ha della gravissima crisi etico-civile e istituzionale, persino più pesante di quella economica, alla quale l’Italia è stata portata oltre che dalla Lega anche dai suoi alleati all’interno del Pdl, a cominciare da Berlusconi e Tremonti. Se Fini ne ha piena consapevolezza arriverà a un gesto di rottura». «Ma se all’interno del Pdl si limiterà solo a fare guerriglia, non arrivando mai alla guerra aperta, l’elettorato di centrodestra lo valuterà come un sabotatore». Del Pdl dice: «è nato a tavolino, è iscritto nella sua origine che non si creda a nulla, salvo a meccanismi di gestione del potere su alcune modeste parole d’ordine». Fini e Berlusconi sono «diversissimi», «ci poteva essere una buona divisione del lavoro, ma non si è realizzata perché Fini ha abdicato al suo partito». A proposito delle spaccature all’interno di An, LA STAMPA scrive che «A scendere in campo a fianco del premier c’è un “correntone lealista” che ha preparato un documento che sarà presentato alla direzione di giovedì». La Russa, Gasparri, Matteoli e Alemanno contano di portare dalla loro parte un centinaio di parlamentari e nel documento scrivono che il Pdl è una scelta irreversibile, che è giusta l’esigenza di affermare il primato rispetto alla Lega, ma gli atteggiamenti e le posizioni di Fini su una serie di argomenti come l’immigrazione e la cittadinanza sono sbagliati. A entrare nel merito è Massimo Corsaro, uno degli animatori dell’incontro milanese fra i 18 ex parlamentari di An del Nord Ovest: «Abbiamo fatto miracoli al Nord per confermare il Pdl come primo partito. Ma a due giorni dal voto Fini è venuto a Milano per dire a un convegno di Famiglia Cristiana che bisogna dare la cittadinanza veloce agli immigrati, regalando voti alla Lega».
E inoltre sui giornali di oggi:
AFFIDO
CORRIERE DELLA SERA – “Il limbo dei bambini in affidamento”, è il titolo del focus di oggi, che dà seguito alla denuncia del pezzo di Stella di ieri (“Genitori usa e getta”). Molto secco il CORRIERE che nel sommario sotto il titolo dice: L’aiuto temporaneo prolunga precarietà e insicurezza. Così l’incontro fra minori e famiglie può non funzionare. «Spiega Marco Griffini dell’Aibi che questo limbo crea una situazione di grave danno per i ragazzi. Conosco una bambina di 8 anni a Torino che è già al quarto affido…Tutti sanno che i minori dati in affido sono la principale fonte di lavoro per gli psicoterapeuti: bisogna assolutamente tornare al rispetto della legge, basta con il sine die» .
EMERGENCY
IL GIORNALE – Vittorio Feltri apre su Emergency, naturalmente attaccando: «Non ringraziano chi gli salva la pelle – I tre operatori sanitari rifiutano il volo di stato. Si ripete il copione già visto con Giuliana Sgrena e le due Simone: freddezza e sgarbi nei confronti del governo che li ha tirati fuori dai guai a caro prezzo, comprensione per i tagliagole». Scrive Vittorio Feltri nel suo editoriale: «I tre operatori sanitari (medico e infermieri) di Emergency liberati grazie all’intervento decisivo del governo italiano non hanno rilasciato dichiarazioni riconoscenti su chi li ha salvati. Figuriamoci. Addirittura hanno rifiutato di attendere l’aereo militare che li avrebbe riportati in Patria; hanno preferito quello di linea, così, per non avere nulla da spartire con l’esecutivo di Berlusconi. Il loro atteggiamento indigna ma non stupisce, è perfettamente coerente con il pensiero del loro capo, Gino Strada, un pacifista che non si dà pace, ce l’ha con tutti (specialmente con gli americani), tranne i talebani di cui non saprei dire cosa egli stimi».
LA STAMPA – “Se noi vi liberiamo non vi fate più vedere”. LA STAMPA rilancia voci secondo le quali l’ospedale di Emergency a Laashkar-Gah potrebbe passare in gestione a qualche altra organizzazione, forse la Croce Rossa o Medici senza frontiere.
IL MANIFESTO – Il ritorno a casa dei tre operatori di Emergency è affidato a un commento di Vauro che deposta la matita da disegno firma «A casa». «Sì questi sono i giorni della gioia. DI una gioia grande, intensa fino allo sfinimento per chi come me è legato a Marco Garatti dalle tante esperienze condivise in troppi luoghi di guerra (…) Certo è anche il giorno dei ringraziamenti ai funzionari dello stato, diplomatici, uomini della intelligenze che si sono prodigati per ottenere la loro liberazione (…) » e rivolgendosi a Frattini scrive «(…) senza polemica, le vorrei far notare che c’è una cosa che lei non ha proprio ancora capito. “Casa” per persone come Matteo, Marco e Matteo è anche l’ospedale di Lashkar Gah e quell’ospedale adesso è chiuso, sequestrato. “Casa” era per le centinaia di bambini, donne, uomini con il corpo e l’anima devastati e lacerati dalle ferite della guerra che continua e che laggiù diviene sempre più feroce». Sempre a Frattini che ha detto di aver vinto il derby Vauro scrive: «Lo vinceremo il derby signor ministro. Lo vinceremo quando l’Italia ripudierà la guerra. Quando quell’art. 11 della Costituzione che voi politici di ogni schieramento avete volutamente ignorato e vilipeso tornerà a essere il valore fondativo della nostra convivenza umana dal quale non vi permetteremo mai di prescindere».
IL SOLE 24 ORE – L’analisi di Alberto Negri, “In Afghanistan vince la politica degli ostaggi”, a pagina 10: «La vicenda di Emergency è un caso chiuso? Alla fine appare come una montatura ma fa parte anche di una specialità afghana: la politica degli ostaggi. Viene attuata dai clan per risolvere le dispute tribali, dai talebani per ricattare potenze internazionali e organizzazioni umanitarie, dalle stesse autorità afghane per tenere in rispetto le tribù più riottose e, nel caso di Emergency, per liberarsi di una presenza scomoda nella vallata dell’Helmand e forse mandare qualche messaggio al governo italiano. Prendere ostaggi in Afghanistan non è un reato vero e proprio ma una precauzione, un sistema per avviare una trattativa, si capisce bene perché possa diventare un atto maldestro quando si tratta anche di doverlo giustificare, come pretendiamo noi occidentali, con accuse fondate su prove legali e articoli del codice. (…) La vicenda di Emergency è la dimostrazione di quanto sia diversa la realtà dalle parole di stampo occidentale che vorrebbero descriverla. Stato di diritto, costituzione, democrazia, eguaglianza, presunzione d’innocenza, sono termini che dopo l’11 settembre Kabul ha accettato ma che risultano agli afghani spesso incomprensibili, estranei ai codici tribali. Non è stato quindi difficile per il capo dei servizi Amrullah Saleh, che aveva vecchi conti da regolare con Gino Strada, inventarsi un’operazione per mettere fuori gioco il fastidioso avamposto medico di Emergency, così come chiedeva da tempo il governatore dell’Helmand Gulab Mangal, considerato dagli inglesi un loro “asset” personale in una regione dove versano sangue da anni. La politica degli ostaggi funziona sempre, o quasi».
RACKET
AVVENIRE – La Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane, Tano Grasso, ripercorre i primi vent’anni del movimento antipizzo. Erano in quattro, a Capo d’Orlando, nel 1990, oggi sono 110 imprenditori e si viaggia al ritmo di 800 denunce l’anno di tentativi di estorsione. Anche se «siamo ancora un’avanguardia, a Napoli denuncia uno su cento, a Reggio Calabria uno su mille». Come storia di oggi, quella di Francesco e Raffaele, due imprenditori edili trentenni di Casapesennna, regno dei Casalesi. Vivono sotto scorta, ma la loro denuncia due settimane fa ha portato all’arresto del super boss Michele Zagaria.
UNIVERSITA’
ITALIA OGGI – Il secondo titolo della prima pagina che dedica l’apertura alla casella Pec «per tutti» è su: «La minilaurea è un fallimento» – Per la corte dei conti la riforma del 3+2 non è servita ad avvicinare l’università alle imprese», nel richiamo si osserva che «i mali del sistema accademico non finiscono qui. Nel libro nero finiscono il sistema di governance e una spesa destinata solo per pagare gli stipendi del personale». L’articolo (pag 29) è dedicato al giudizio della magistratura contabile sulla riforma universitaria a dieci anni dalla sua approvazione: «solo un dispendio di risorse» che «non aiuta l’occupazione».
BANCHE
LA REPUBBLICA – Lo scandalo Goldman Sachs (accusata di frode dalla Sec per aver creato uno strumento speculativo sui subprime) rischia di estendersi ad altri istituti. La Sec guidata da Mary Shapiro sta indagando su altre banche, Ubs e Deutsche Bank che hanno creato pure loro strumenti finanziari legati ai mutui subprime. Il presidente Obama andrà di persona a Wall Street per sostenere l’offensiva contro la degenerazione della finanza, mentre i democratici accelerano i tempi della riforma sui mercati. E la Shapiro incalza: «il risparmiatore, l’investitore possono accettare una bolla speculativa… quello che non possono accettare è un sistema inaffidabile, ingannevole»
VATICANO
LA STAMPA – “Governo & Lega. Incontro segreto tra Tremonti e Ratzinger”. LA STAMPA commenta la notizia dell’avvenuto incontro fra il Pontefice e il ministro dell’Economia Tremonti in periodo elettorale, fatto finora tenuto nel riserbo. L’incontro, scrive il vaticanista Galeazzi, «rientra nell’apertura di credito della Santa Sede verso un crescente ruolo della Lega nella maggioranza». A fare da sponsor a Tremonti in Vaticano è stato il cardinale Scola e il banchiere del Papa Gotti Tedeschi, scrive LA STAMPA, e il segretario di Stato Bertone ha individuato nel Carroccio (con cui Tremonti ha saldi legami) una promettente sponda per la Santa Sede. Bertone ha pubblicamente riconosciuto ai leghisti un presidio di territorio paragonabile a quello della Chiesa negli Anni Cinquanta e il ministro vaticano della Bioetica, Fisichella, ha elogiato il “cattolico Cota” per le critiche alla pillola abortiva Ru486». A fare da trait d’unione fra il Pontefice e Tremonti, scrive Galeazzi, è stata la comune riflessione sulla globalizzazione che ha portato Benedetto XVI a scrivere l’enciclica sociale e il ministro il libro “La paura e la speranza”. Durante la stesura dell’enciclica, svela LA STAMPA, fu il Papa in persona a segnalare il libro di Tremonti al team di teologi ed economisti che stava lavorando al testo.
ONG
AVVENIRE – L’Università Cattolica (in particolare come fondazione Spe salvi) e il Cuamm-Medici per l’Africa hanno inaugurato presso il campus dell’università cattolica di Nkozi il primo dipartimento di scienze sanitarie dell’Uganda. Qui verranno formati i futuri operatori sanitari ugandesi. Il centro è dedicato a Anna Montano Aletti, moglie dell’ex senatore Urbano Aletti che ha in buona parte finanziato il dipartimento.
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