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Fini, crisi (quasi) aperta
Il leader di Futuro e Libertà spara su Berlusconi e sul Pdl
A questo punto la crisi di governo sembra quasi inevitabile, dopo la voce grossa di Fini alla convention di Futuro e Libertà, con la richiesta perentoria a Berlusconi di fare un passo indietro e presentare le dimissioni per aprire una nuova fase di alleanze parlamentari sul programma. Berlusconi ha rimandato al mittente: se Fini vuole, mi voti contro in aula. I giornali del lunedì, ovviamente, dedicano l’apertura alla fibrillazione politica in atto. Dedichiamo la nostra rassegna solo a questo argomento.
“Fini rompe, governo sull’orlo della crisi” è il titolo di apertura del CORRIERE DELLA SERA, con servizi di politica da pagina 2 a pagina 11. Nel sommarietto sotto il titolo ecco il punto della situazione. La sfida: Il presidente della Camera sfida la leadership del centrodestra con la richiesta di dimissioni, di una diversa agenda di governo e di un nuovo esecutivo con l’Udc di Casini, pena l’uscita dei finiani. La risposta: il Cavaliere rilancia, “Vado avanti. Mi sfiduci in Parlamento”. Il Pdl: è Fini che deve lasciare la presidenza. Bossi è attendista: “Sto dietro il cespuglio”. L’opposizione: per il segretario del Pd Bersani “siamo ancora ai tatticismi”, ma da oggi il Paese “non ha più un timone né un governo”. Fin qui, in estrema sintesi, la situazione dopo la domenica dedicata al varo del partito di Fini. Il commento del CORRIERE è affidato a Pierluigi Battista. “Strappo finale, ma poi?”. Leggiamo: “Ponendo una condizione pressoché irricevibile da Berlusconi – argomenta Battista – Fini ha messo la parola fine al governo nato dal risultato elettorale del 2008. Ha chiesto ai ministri suoi seguaci di rimettere il mandato. Ha rovesciato l’agenda politica suggerita da Berlusconi come base per un eventuale «patto di legislatura». Ha sottolineato una diversità radicale e inconciliabile con la Lega, principale alleato del premier (pur aprendo al Senato federale)”. E aggiunge: “Fini ha tutto il diritto di indicare a «Futuro e libertà» la via della sfiducia al governo, ma non al di fuori del Parlamento, fuori e contro le procedure che ogni crisi di governo esige. Ma se ha a cuore l’interesse della Nazione, se davvero, come ha ripetutamente detto a Perugia, vuole restituire alla politica quella dignità, quella decenza, quel «rispetto delle istituzioni» che si sono smarriti in questi anni, allora non metta a repentaglio il rango internazionale dell’Italia ed eviti almeno che la sfiducia venga esercitata sulla Legge di stabilità”. E poi: “ oramai lo strappo si è consumato, la rottura appare irreversibile. A Perugia si è misurato il drammatico errore di Berlusconi, alimentato da consiglieri rancorosi e miopi, di voler liquidare le posizioni di Gianfranco Fini come una molesta questione personale da eliminare con un provvedimento disciplinare (il deferimento ai probiviri, nientemeno). Il partito che Fini ha fatto nascere a Perugia appare invece come una forza politica vera, proiezione di un’anima autentica del centrodestra italiano. È stato lo stesso Fini a sottolinearlo più volte. Non vuole che Futuro e libertà esca culturalmente e politicamente dal «perimetro del centrodestra». Non vuole che la rottura con Berlusconi possa preludere a una «subalternità» nei confronti della sinistra. Vuole andare «oltre» Berlusconi e non «contro» il Pdl”, E infine: “Se la rottura è una cosa seria, allora Fini deve accettare di misurarsi con nuove elezioni, anche in presenza di una legge elettorale orribile. Dovrà contribuire a tracciare un percorso di uscita da una stagione politica oramai tramontata avendo come stella polare gli interessi dell’Italia, la sua credibilità internazionale, la sua stabilità finanziaria. È una porta strettissima. Ma non ce ne sono altre. È la scelta più seria, ma anche la prova della serietà con cui nasce un nuovo partito. Il resto è scorciatoia, giochino politicista, furbizia effimera. Tocca a Fini, non solo a lui, ma soprattutto a lui, imboccare la strada giusta”. Il retroscena è affidato alla penna di Francesco Verderami, pezzo che parte in prima e prosegue a pagina 9: “La strada del difficile «governo d’emergenza»”. “Chi ha l’asso in mano? – si domanda all’inizio Verderami – Perché il gioco al rilancio sta per finire, e si vedrà se Berlusconi – grazie al sostegno della Lega e di Tremonti – eviterà l’Opa di Fini e di asini, o se la legislatura sopravviverà a se stessa con un governo tecnico, fantasma che in queste ore viene evocato o temuto da quanti vedono avvicinarsi comunque lo spettro delle elezioni anticipate”. Verderami sostiene che in molti pensano che Fini abbia come asso nella manica il consenso del Presidente Napolitano al varo di un governo tecnico: “Ma è un asso ancora ballerino, quello di Fini, se è vero che ancora giorni fa D’Alema spiegava a un compagno di partito che «non c’è nessun governo tecnico all’orizzonte, perché non è pronto nulla». E come D’Alema è scettico anche Casini. Non solo il leader centrista scommette da mesi con i dirigenti del suo partito che «se cade Berlusconi si voterà in primavera», ma si sta attrezzando alla bisogna, e ha già trovato persino il nome per il famoso terzo polo da tenere a battesimo con Fini e Rutelli: «Lo chiameremo Patto per la nazione»”. E conclude: “Potrà apparire surreale, ma da ieri le parti si sono rovesciate: per un presidente della Camera che in modo irrituale apre la strada a una crisi extraparlamentare, c’è un presidente del Consiglio che invoca il rispetto delle regole. Non gli bastano le eventuali dimissioni dal governo dei futuristi, vuole il voto di deputati e senatori: «E non avranno il coraggio di sfiduciarmi». Il vice capogruppo del Pdl a Palazzo Madama, Quagliariello, anticipa come si andrà a vedere il gioco di Fli: «Se Fini chiedesse ai suoi di lasciare l’esecutivo, Berlusconi li rimpiazzerebbe e verrebbe subito in Parlamento a chiedere la fiducia. Al Senato il voto è scontato. Se la Camera gli votasse contro, non credo che Napolitano si prenderebbe la responsabilità di far nascere un governo tecnico senza il Pdl e la Lega». È un bluff o un rischio calcolato?”. Marzio Breda, quirinalista del CORRIERE, conferma: “In assenza di protocolli che regolino rigidamente le mosse del Capo dello Stato in circostanze come questa, bisognerà valutare ad esempio da cosa saranno sortite e come saranno motivate le dimissioni. Variabili importanti, cui sarà legata – tra l’altro – la scelta di un eventuale reincarico al premier uscente (ipotesi che, nelle condizioni date, sembra remota), magari per portare lui il Paese alle urne”.
IL GIORNALE apre in prima con una enorme foto del leader di Fli. “L’Ultima raffica di Fini” il titolo. L’editoriale di Vittorio Feltri liquida il discorso del presidente della Camera dicendo che avrebbe detto una cosa importante solo negli ultimi minuti: «o Berlusconi accetta di rimettere in discussione il programma, e allora si può fare il patto di legislatura per andare avanti con questa maggioranza, oppure Fli ritira la propria delegazione e sarà quel che sarà». Poi ammette «non c’è bisogno di essere aquile per capire che il governo è virtualmente morto e si tratta soltanto di stabilire la data delle esequie. Quanto al becchino che provvederà alla sepoltura si sa già chi sarà: Fini». Dopodiché il direttore esprime un concetto abbastanza discutibile «Fini e i finiani erano una componente minoritaria del Pdl. Ma anziché elaborare il dissenso politico all’interno del partito, lo hanno manifestato in ogni luogo, anche il meno opportuno, fino a rendere impossibile la loro convivenza con i berlusconiani e con i leghisti». Continua poi la battaglia del cosiddetto dossieraggio. Gian Maria De Francesco firma “Appalti, gay, immigrati, sinistra: le bugie del leader Fli dalla a alla z”. Si tratta di un elenco delle contraddizioni di Fini che «professa trasparenza a dispetto del contratto Rai alla suocera, predica moralità nonostante l’affaire Montecarlo e su intercettazioni e legge elettorale si smentisce».
E a corroborare la sensazione che la rottura è definitiva, ci pensa la prima di LIBERO, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro. Che apre con un titolo di grande leggerezza: “Il festino di Fini”, corredato dalle foto delle donne della sua vita. E nel suo editoriale Belpietro chiarisce il suo pensiero: “Camuffata da molte definizioni, che la vorrebbero moderna ed europea, in realtà la Destra che in questi mesi è avanzata alle spalle del presidente della Camera appare più vecchia di quella che vorrebbe sostituire. Attorno ad essa non si sono raccolte le persone deluse dalla politica di Berlusconi, come Fini vorrebbe far credere, ma i trombati, coloro che nella spartizione delle nomine sono rimasti a becco asciutto e quindi confidano in un rimescolamento delle carte. Molti di loro sono gli scarti della partitocrazia, altri invece sono appartenenti alle seconde file, gente accomunata ai primi dal rancore per non essere stati gratificati con incarichi ritenuti adeguati. Del resto non potrebbe che essere così. Lo stesso Fini ha il profilo del trombato”.
“Fini: «Crisi o noi via dal governo»”: LA REPUBBLICA apre sullo strappo consumato ieri dal cofondatore del Pdl al quale il premier non le ha mandate a dire: «Io resto, mi votino contro in aula». Sono otto le pagine con cui il quotidiano riferisce a analizza. 90 minuti di intervento a braccio hanno portato il presidente della Camera a chiedere le dimissioni e un nuovo esecutivo, dopo aver spiegato punto per punto il Manifesto politico di Fli. La pagina berlusconiana è finita, in sostanza. E non c’è in Europa alcun partito culturalmente arretrato come il Pdl, a rimorchio del peggior leghismo. Tesi che scaldano una platea di 7mila persone e ovviamente irritano il cavaliere (che Francesco Bei nel suo retroscena descrive come «pronto alle barricate», in attesa di capire cosa farà la Lega riunita oggi nel suo stato maggiore). Qualcuno però al governo non pare irritato: è Galan, ministro dell’agricoltura che intervistato da Paolo Griseri va all’attacco: «non è Berlusconi che dovrebbe dimettersi ma Tremonti», quanto alle critiche di Fini: «ha messo sul tavolo nodi che è sbagliato sottovalutare. Anche perché si avverte una crescente inquietudine». Molto diverse le valutazioni di Frattini (“Ora bisogna vedere se tutti i futuristi vogliono andare a casa”) e di Zaia (“Parole intollerabili l’unica alternativa è il voto anticipato”). Molto chiaro il titolo del commento di Massimo Giannini: “È arrivato il 25 aprile”. Con il suo strappo coraggioso, Fini boccia il partito ma anche il «governo del fare finta di niente». «Vedremo ora come quando e dove precipiterà la rottura. Il premier non può accettare l’ultimatum finiano che lo inchioda bel al di là del “compitino dei cinque punti”» – secondo la definizione che ha dato ieri il presidente della Camera. Ci sarebbe da brindare conclude Giannini a questo «25 aprile imminente. Ma c’è poco da festeggiare: il “conto” di questi rovinosi due anni e mezzo, purtroppo, li ha pagati e li pagherà l’Italia».
“Fini: un nuovo governo” è il titolo de LA STAMPA che nel sommario riferisce: «“Berlusconi si dimetta, altrimenti la delegazione di Futuro e Libertà lascia” Il premier: non me ne vado, mi voti contro. Bossi: “Io sto dietro il cespuglio”». Seguono cinque pagine di cronaca: il discorso del presidente della Camera, la presenza di molti che non sono mai stati missini (e sono intervenuti come società civile) e, attorno al leader, di una squadra diversa da quella di An. LA STAMPA sottolinea che a questo punto è Casini, chiamato in causa da Fini, ad avere la palla: Casini era stato avvisto dell’apertura finiana nei suoi confronti ma tace, affidando a una nota alcune riflessioni: «Fini ha posto oggi con grande sobrietà i problemi che noi abbiamo sollevato inascoltati fin dalla nascita del Pdl… Per questo motivo merita il nostro rispetto». Prove tecniche di terzo polo rispetto ai quali per ora l’Udc sceglie, con Buttiglione, di stare a «vedere». Nella sua analisi, Ugo Magri riferisce di un Berlusconi che punta al rimpasto: quando gli uomini di Fli daranno le dimissioni salirà al Colle ma non per dare le dimissioni, per proporre altri nomi. Inizia a circolare però l’ipotesi di un piano B: cedere il timone a Tremonti ricompattando la maggioranza magari allargata all’Udc. La Lega pare ci starebbe: non significherebbe «tradire Silvio». Chiude la lunga parte politica, un’intervista al presidente del Pd: “Bindi: «Bravo Fini ma non lo aspetteremo»”. «Fini ieri ha fatto un passo avanti… l’epilogo mi pare scritto», «non mi pare possibile che Casini accorra in soccorso del governo nel ruolo di stampella», «troveremo il modo di parlamentarizzare la crisi: perché non è accettabile che i problemi del Paese restino di attesa di un nuovo governo di centrodestra, che non potrà nascere visto che questa maggioranza è morta e sepolta».
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