Welfare

Finanziaria. Regioni in rivolta contro il Governo

I governatori fanno i conti sul blocco imposte locali e dei trasferimenti previsti da Tremonti. E scoprono che la "stretta" prevista dal ministro li penalizza in maniera iniqua e ingiusta

di Ettore Colombo

Pronti a formare perfino un mini-corteo di protesta, i ventuno governatori delle regioni italiane chiedono di essere ricevuti a Palazzo Chigi per spiegare a Berlusconi perchè il giro di vite sugli enti locali predisposto dal ministro Giulio Tremonti deve essere stralciato dalla finanziaria. Questo mentre lo stesso responsabile di Via XX settembre “è andato in minoranza” alla Camera, dove la commissone Bilancio ha modificato oggi il decreto-blocca-spesa, limitando i poteri discrezionali del minsitero dell’Economia, che solo dopo un atto di indirizzo del Consiglio dei ministri potrà bloccare i finanziamenti per ministeri, enti e attuazione di leggi. Un fronte caldo, quello delle regioni, che nella Coferenza dei presidenti per una volta erano tutte d’accordo – governatori del Polo o dell’Ulivo che fossero – nel ribadire un secco “no” alla stretta contenuta nella Finanziaria. “Signor Presidente, le autonomie locali non vogliono essere controparte, né tantomeno essere catalogate come ‘aguzzini spendaccioni’. Siamo pronti -scrivono regioni, Anci e provincie – ad assumerci le nostre responsabilità purchè si ridiscuta la finanziaria con gli enti territoriali”. Una richiesta inviata a mezzo posta a Silvio Berlusconi dal fronte compatto degli enti locali. Che puntano l’indice contro Tremonti, “che non solo non rispetta i contenuti dell’intesa (cioè il patto di stabilità interno), ma addirittura si pone in aperto contrasto con essa”, “ingessando nei fatti i bilanci degli enti territoriali”. Un j’accuse sottoscritto anche dai governatori del Polo che accentua il clima teso nella maggioranza, dove resta aperto lo scontro tra lo stesso Tremonti da un lato e Udc e il Ministro della attività produttive, Antonio Marzano, dall’altro per la gestione del fondo unico per il Sud. Le ricadute della stretta sugli enti locali – Impedire alle regioni di far cassa con l’adizionale Irpef, significa oggi privarle di un gettito di alcuni miliardi di euro. E il danno varia da una parte all’altra del Paese, perchè molte regioni, per ripianare i deficit sanitari, sono andate ben oltre l’addizionale dello 0,5% che è possibile introdurre con semplice delibera ed hanno rinforzato l’imposta sui redditi delle persone fisiche con leggi ad hoc. Per compensare il mancato gettito – spiegano i tecnici – le regioni sarebbero costrette ad inasprire i ticket o a tagliare qualche prestazione sanitaria, ad aumentare bollo auto ed accise sulla benzina e ad introdurre nuove addizionali Irap, l’imposta regionale sul valore aggiunto d’impresa. Tutte misure -mettono in guardia le regioni- con impatto fortemente negativo sull’inflazione. Se alla manovra sull’Irpef si aggiunge poi il taglio del 2% ai trasferimenti statali inserito da Tremonti nella bozza di finanziaria, le prospettive per le regioni diventano ancora meno rosee, soprattutto riguardo il mantenimento degli attuali livelli di assistenza sanitaria, visto che buona parte di quelle risorse serve oggi a rimpolpare il fondo sanitario, vitale per Asl e ospedali. La bozza di finanziaria prevede inoltre che per risanare i conti regioni ed enti locali aumentino le tariffe locali o vendano il loro patrimonio pubblico. Per gli enti particolarmente dissestati è poi prevista la costituzione di una task-force che imporrà loro degli interventi in caso di un calo delle entrate superiore al 20% e di spese che eccedano dell’80% il gettito fiscale. Gli enti locali che non rispetteranno il patto di stabilità interno potranno essere infine perfino denunciati alla Corte dei Conti.


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