Formazione
Filmando sotto le bombe
Per denunciare lembargo, Jean-Marie Benjamin aveva girato due filmati apprezzati anche da papa Wojtyla. In dicembre era andato a presentarli e si è trovato a schivare i missili
Compositore, direttore d?orchestra, autore teatrale, organizzatore culturale, scrittore, regista, sceneggiatore, e da sette anni anche sacerdote. C?è qualche attività in cui il francese Jean-Marie Benjamin, 52 anni, non ha sfogato il suo estro? Forse gli mancava ancora il ruolo di attivista umanitario, ma ora ha posto rimedio, schierandosi con gli iracheni prostrati da un embargo disumano e da bombe senza senso. E siccome Jean-Marie è artista e uomo dalla personalità unitaria, cosa c?era di meglio che girare un film, anzi due, direttamente in Iraq?
Un?impresa che poteva apparire tutt?altro che facile, ma a padre Benjamin piacciono le sfide impossibili (non a caso, ai registi mistici preferisce Sergio Leone). Lui, se si impegna in qualcosa, lo fa per volare il più alto possibile. Ha composto l?inno dell?Unicef. Ha organizzato lo ?Sport Aid? con Bob Geldof. Caduto il Muro, ha portato in scena a Mosca una sua pièce su san Francesco, con attori ortodossi e la regia di un protestante. Ma la sfida artistica più clamorosa Jean-Marie la lanciò due anni fa, quando lui che non aveva mai preso in mano una cinepresa diresse il primo film su Padre Pio, con soggetto, sceneggiatura e musiche a sua firma. Proprio da un incontro col frate cappuccino, che a 21 anni gli aveva ?letta? la vita, Benjamin deve il percorso spirituale che lo ha portato, nel 1991, a farsi sacerdote. Ma il suo dinamismo è rimasto lo stesso, anche sotto il collettino bianco. E il 16 dicembre, quando si è trovato sotto le bombe a Baghdad, Jean-Marie deve aver pensato a quando, nel 1944, Padre Pio apparve fra le nuvole ai piloti Usa che andavano a bombardare San Giovanni Rotondo, e li fece rientrare alla base. Ora altri piloti americani bombardavano altri innocenti, e Jean-Marie non poteva impedirlo. Poteva però gridare al mondo la sua rabbia, ed è quanto fa da quando è rientrato in Italia, il 20 dicembre (il giorno dopo, coincidenza?, il Vaticano annunciava che Padre Pio sarà beato).
«In maggio avevo girato un documentario e un videoclip in Iraq», ci racconta, «e a dicembre sono andato a presentarli a Baghdad. Mi interessava anche partecipare a un simposio sugli effetti dell?uranio impoverito utilizzato dagli americani nel ?91, che ha contaminato il sud Iraq, aumentando cancro e leucemia del 350%. Centinaia di bambini nascono deformi, e gravi conseguenze le hanno anche molti veterani americani, alcuni dei quali erano al simposio per denunciare la situazione. C?era un?ex infermiera americana che ha sviluppato un cancro dopo aver respirato particelle di uranio vicino a un carro armato in fiamme: ora è invalida al cento per cento. Orrori che abbiamo documentati con immagini tremende. Poi c?è stato quel ?fuori programma?, e abbiamo girato altre sei ore di riprese terribili, filmando la notte i bombardamenti e il giorno dopo le distruzioni».
Com?è stato? «Ero con Francesco Bistocchi, un operatore della Promovideo di Perugia. Non avevamo idea di come potesse essere un attacco missilistico, ma ai primi scoppi ci siamo messi a riprendere, dal tetto del Rashid Hotel, senza scambiare una parola, per sette-otto minuti. Poi ho detto a Francesco: qui siamo all?ultimo piano, se i missili sbagliano ci inceneriscono, io vado di sotto… E lui: ma che differenza fa se arriva un missile qui o se ti crolla il palazzo in testa di sotto? Ogni ora c?era un allarme e un attacco. Sono sceso davanti al Rashid. C?erano anche Khassim, il ragazzo protagonista del mio clip, e suo padre. Arriva un allarme, gli iracheni lanciano i traccianti rossi in aria, poi c?è una fortissima esplosione a 400 metri da noi: io la riprendo con la telecamera, ma dopo mezzo secondo lo spostamento d?aria sbatte il padre di Khassim con la testa contro il muro e mi fa cadere a terra la camera. Allora rientriamo, e subito dopo un secondo missile fa saltare alcune vetrate dell?albergo.
Il giorno dopo la scena è drammatica. Queste bombe le chiamano ?intelligenti?, ma i miei studi di teologia mi hanno insegnato che l?intelligenza è una facoltà dell?anima… Forse è meglio definirle ?idiote?, visto che molte sono cadute in un campo, su una casa, vicino a un ospedale… Al Saddam Center, il principale ospedale di Baghdad, sono andati a pezzi i vetri e i pochi macchinari che restavano. I feriti sono lì nell?ingresso, senza assistenza. Riprendiamo un iracheno operato in un corridoio con un paio di forbici lavate in una scodella d?acqua sporca, bruciato completamente, senza poter avere una iniezione di analgesico. Poi, tre giorni dopo, ad Amman, ho guardato la tv satellitare: a Baghdad tutto pulito, niente di grave, alcuni morti, sì, ma poca roba… Ma come? Noi eravamo lì, abbiamo ripreso quelle scene terribili… Allora mi sono arrabbiato davvero».
Come era riuscito a fare un film in Iraq? «Da un anno volevo mostrare come si vive in Iraq con sotto embargo. Ho avviato trattative col ministero dell?Informazione iracheno e la Santa Sede. Avuto il via libera sono partito per girare un videoclip di 20 minuti. Sul posto, vista la disponibilità del ministero, ho anche realizzato un documentario di 56 minuti, Iraq genesi del tempo, su quella che è la culla della nostra civilizzazione. Spazio dai sumeri alla civiltà assiro babilonese, e mostro con delle finestre la tragica vita odierna degli iracheni. Qui è nato Abramo, il profeta delle tre religioni monoteiste, e nel 2000 ci andrà il Papa. In pellegrinaggio, certo, ma anche per lanciare un messaggio al mondo. Perché Wojtyla non è uno che parla e poi basta: se dice che l?embargo a Cuba è ingiusto, a Cuba ci va di persona. Così anche in Iraq.
Il videoclip invece mostra in 20 minuti di sole immagini e musica la storia di un sedicenne iracheno che riceve una lettera dal padre militare e parte alla sua ricerca. È una denuncia sulle contraddizioni dell?embargo, sullo spregio delle convenzioni Onu e dei diritti dei bambini. Khassim l?ho conosciuto al Rashid e abbiamo percorso assieme 4000 chilometri, da nord a sud, per le riprese. Poi a luglio è venuto a Roma e abbiamo presentato il video al Papa, che ha avuto parole di incoraggiamento. Khassim ora è ad Amman in attesa di un visto per l?Italia, dove verrà a studiare per un anno. Figlio della generazione dell?embargo, è diventato il simbolo della lotta dell?Iraq per sopravvivere».
Non teme di essere strumentalizzato dal regime?
«Molti me lo chiedono. Io rispondo che se si sta a pensare a quello, allora non si fa niente, come non s?è fatto nulla per otto anni. E intanto la gente continua a morire di fame. Con questi film denuncio la contraddizione fra le tonnellate di diritti firmati all?Onu e la situazione reale, denuncio il fatto che l?Onu è diventata un?agenzia che proclama l?embargo e poi manda i funzionari a contare i morti. E poi si sente parlare solo di Saddam, non di un popolo di 22 milioni di vittime. ?Punire Saddam?, ?Embargo contro Saddam?. È un problema di informazione, di riportare la questione alla sua vera dimensione, quella di un Paese e di un popolo in ginocchio. Un popolo coraggioso, dappertutto siamo stati accolti col sorriso e la gentilezza, nessuna aggressività, gente che non capisce… Il giorno prima del bombardamento, alla scuola di musica di Baghdad, dove ci sono dei ragazzini che sono dei veri artisti, i più piccoli ci dicevano: ma perché ci fate morire di fame, perché ci fate paura con queste bombe? Noi non siamo più cattivi degli altri… Cosa rispondergli? Che li bombardiamo perché sotto i loro piedi c?è tanto petrolio, che costa poco perché è alla superficie e ha una qualità migliore? Che sono nati qui e ci dispiace per loro?».
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