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Filippo Miraglia: Festival di Sabir, una scommessa vinta in nome della solidarietà

Per il numero di partecipanti, la qualità dei dibattiti e dei corsi di formazione, e la sua capacità a fare rete, la terza edizione del Festival di Sabir organizzata da Arci, Caritas italiana e Acli, in collaborazione con circa 90 reti e organizzazioni nazionali e internazionali, “è stata una scommessa vinta per opporsi a chi minaccia il principio di solidarietà”. E un impulso “per difendere sia i migranti che il lavoro di utilità sociale del mondo associativo. Perché a rischio è la democrazia”. Intervista a Filippo Miraglia, vicepresidente nazionale di Arci.

di Joshua Massarenti

1500 partecipanti, 3 organizzazioni promotrici, 11 reti e associazioni che hanno collaborato alla realizzazione dell’evento, oltre 80 organizzazioni o reti internazionali rappresentate provenienti da 30 Paesi. Questi i numeri della terza edizione del Festival di Sabir promossa dall’Arci insieme alle Acli e Caritas Italiana, con la collaborazione di Asgi, A Buon Diritto, Carta di Roma e Cgil. Dopo Lampedusa e Pozzallo, quest’anno l’appuntamento era stato fissato a Siracusa, sull’isola di Ortigia, nella provincia più sollecitata d’Italia nell’accogliere i migranti provenienti dalle coste libiche. Il programma annunciato da Arci prevedeva una forte partecipazione dei rappresentanti della società civile italiana e internazionale, con dibattiti e corsi di formazione di alto livello. E così è stato.

Senza sorpresa, l’agenda è stata scossa, ma non stravolta, dall’attualità: gli attacchi alle ONG erano in tutte le menti. Da cui l’appello lanciato dagli organizzatori per “schierarsi a fianco di chi salva le vite umane, di chi svolge attività di solidarietà, di chi si batte per affermare i diritti umani per tutti” e denunciare la campagna di diffamazione contro le ong che stanno svolgendo, dopo la chiusura del programma Mare Nostrum, attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, ha travolto tutte le organizzazioni che svolgono iniziative di solidarietà e tutela dei diritti umani”.

Ma il Festival rimane prima di tutto un luogo di dibattito e di confronto a viso aperto. Tra le organizzazioni della società civile, tra il mondo associativo e le istituzioni, “perché dalle morti in mare all’accoglienza e l’integrazione, le politiche migratorie europee stanno andando in una direzione totalmente sbagliata”, assicura un rappresentante di un’organizzazione non profit africana. Come raramente accade in questo genere di evento, c’è stato anche spazio per corsi di formazione aperti al pubblico durante i quali sfide decisive come le politiche italiana ed europea di esternalizzazione delle frontiere sono discusse nei minimi dettagli, con l’obiettivo di trovare strumenti giuridici per contrastare gli accordi tra l’UE e la Turchia o l’Italia e la Libia.

Assieme a Filippo Miraglia, vicepresidente dell’Arci, abbiamo provato a tracciare un bilancio di questa terza edizione.

Al di là dei numeri e del livello di partecipazione, che bilancio fai di questa terza edizione?

La scommessa di organizzare questa edizione a Siracusa, nella provincia che in questi ultimi anni ha accolto il maggior numero di migranti, è una scommessa vinta. E’ stata vinta sul piano dei numeri, della varietà degli attori presenti a Sabir – penso ovviamente all’ARCI, con i suoi volontari, operatori e dirigenti giunti da tutta Italia, e della collaborazione tra le varie organizzazioni che con il passare delle edizioni si sta consolidando, in particolare tra noi, Caritas italiana e Acli, con cui si è lavorato molto e bene sui contenuti del festival. Ma Sabir rimane anche uno spazio aperto che sfruttiamo per alimentare il confronto con istituzioni come l’Anci e il ministero dell’Interno, assieme ai quali è stato promosso un dibattito anche serrato sulle politiche di accoglienza. Il contrario non avrebbe senso, anche perché ARCI, assieme a Caritas, è una delle realtà non profit tra le più sollecitate dal mondo istituzionale per rispondere alle esigenze immense del territorio in termini di accoglienza dei migranti.

Esigenze che secondo Arci richiedono ben altre politiche…

Purtroppo il mondo della politica continuare a rimanere concentrata su se stessa, sulla paura di perdere consensi inseguendo le destre. La legge Orlando-Minniti, contro la quale siamo scesi in piazza, riassume a mio parere questa incapacità della nostra classe dirigente a adottare politiche giuste e praticabili. Puntare come fa Minniti su misure sicuritarie con il pretesto che bisogna rispondere alle paure dei cittadini non fa altro che generare paure, senza riuscire peraltro a risolvere i problemi. I centri permanenti per il rimpatrio ne saranno l’ennesima prova. Gli ultimi anni ci hanno poi dimostrato che queste politiche non hanno mai pagato, spingendo gli elettori verso destra perché su questi temi preferiscono seguire l’originale che la fotocopia.

Il mondo della politica continuare a rimanere concentrata su se stessa, sulla paura di perdere consensi inseguendo le destre. Ma questa strategia non ha mai pagato.

Che cosa rivela la macchina del fango che si è abbattuta sulle ONG?

Il mondo delle ONG è l’ultima vittima di una campagna continua di diffamazione nei confronti dei migranti e delle minoranze. Il risultato è stata la mutazione antropologica che si è operata nell’opinione pubblica italiana ed europea. Siamo precipitati nel vortice della più classica delle “guerre tra poveri”, dove chi accoglie e vive in difficoltà è ormai convinto del fatto che chi arriva dall’Africa è all’origine di tutti i mali, mentre la più grande responsabilità incombe su chi governa senza dare risposte adeguate. Le accuse contro le ong è il coronamento di questa lunga, lunghissima campagna xenofoba di estrema destra.

Passando in pochi mesi da buonisti a complici degli scafisti…

E’ impressionante come il vento sia girato in così breve tempo. Il mondo associativo era una delle pochissime realtà rimaste al riparo dalle accuse contro chi si muove nello spazio pubblico, come i politici e i media. Da oggi temo che non sia più così, anche perché chi attacca non si limita più a farlo contro le ONG impegnate in operazioni di salvataggio in mare, ma alimenta una cultura del sospetto nei confronti del mondo associativo. La logica secondo la quale chi fa solidarietà lo far per i soldi è terrificante, e rischia di avere un impatto molto nefasto su chi ogni giorno si mette al servizio della comunità, e quindi di conseguenza su chi ha bisogno di assistenza e aiuto. Quando metti in dubbio valori fondanti come la solidarietà, crolla tutto.

Il mondo associativo era una delle pochissime realtà rimaste al riparo dalle accuse contro chi si muove nello spazio pubblico, come i politici e i media. Da oggi temo che non sia più così. Quando metti in dubbio valori fondanti come la solidarietà, crolla tutto.

Ci vedi un disegno politico?

Per quanto riguarda la campagna anti-ONG, sì. Oltre a calpestare il principio di solidarietà, qualcuno è convinto che salvando vite umane, le ONG non fanno altro che alimentare i flussi tra la Libia e l’Italia. Interrompendo queste attività di salvataggio, crescono i morti e la molteplicazione delle tragedie farà sì che chi sta dall’altra parte della riva del Mediterraneo ci penserà due volte prima di lasciare le coste libiche. Questa logica è mortifera, peraltro smentita dai fatti. Vorrei ricordare che tra la sospensione dell’operazione Mare Nostrum e il timido rilancio delle operazioni di salvataggio, i morti sono aumentati, mentre i flussi non sono mai cessati. La verità è che le ONG sono intervenute per colmare un vuoto politico e umanitario. Ma chi spera di fermare gli sbarchi sbarazzandosi delle ONG, non ha capito nulla alla complessità dei fenomeni migratori che chiamano in causa l’Italia e l’Europa. O peggio ancora, fa finta di non capire per raccogliere qualche voto in più.

Ma la vicenda delle ONG va inserita in un quadro più ampio, altrettanto preoccupante. Osservo infatti un fastidio crescente da parte dei governi di doversi confrontare con i corpi intermedi. Ormai chi governa vuole rivolgersi direttamente ai cittadini, bypassando le associazioni o i sindacati, chiamati in causa soltanto quando bisogna andare a votare per acchiappare il voto di chi sostiene questi corpi. E’ una tendenza molto pericolosa per la democrazia, che si sta espandendo un pò ovunque in Europa.

Lasciare morire i migranti per fermare i flussi risponde ad una logica mortifera, peraltro smentita dai fatti. La verità è che le ONG sono intervenute per colmare un vuoto politico e umanitario.

C’è poi il problema di fondo. Di chi dice che i soldi per le scuole, gli ospedali, i servizi sociali, lo sviluppo non ci sono più per colpa dei migranti, quando invece i soldi ci sono ma vengono gestiti da una minoranza per tenere in piedi un sistema iniquo che alimenta le disuguaglianze sociali. Gli attacchi continui contro chi vuole salvare, accogliere ed integrare i migranti nel nostro territorio sono soltanto un modo per deviare l’attenzione dei cittadini sulla povertà e le ingiustizie sociali generate da questo sistema.

Quali sono oggi i margini di manovra per contrastare questo sistema?

Dobbiamo continuare a fare pressioni sulle istituzioni e i partiti affinché la politica cambi completamente registro, il che significa rivolgerci direttamente all’opinione pubblica. Un’associazione così estesa sul territorio come l’Arci deve connettersi maggiormente alle persone attraverso le sue attività sociali e rispondere alle loro esigenze.

Osservo infatti un fastidio crescente da parte dei governi di doversi confrontare con i corpi intermedi. Ormai chi governa vuole rivolgersi direttamente ai cittadini, bypassando le associazioni o i sindacati.

Oltre alla politica, dovete pure fare i conti con i media e il populismo digitale. Quella sulla comunicazione e dell’informazione, che battaglia è per il mondo associativo?

E’ una battaglia difficile, al limite dell’impossibile. Non abbiamo le forze sufficienti per presiedere tutti i fronti. Con questo non voglio dire che dobbiamo ignorarli, tutt’altro, perché sono anche alleati importanti per gli impegni sociali che portiamo avanti e per veicolare nell’opinione pubblica valori fondamentali come la solidarietà. Ma il modo più efficace per combattere il populismo e la cattiva informazione è fare bene il proprio lavoro di utilità sociale. Facebook, twitter, e in generale i media lavorano su tempi molto stretti, instantanei, a noi spetta prima di tutto il compito di confrontarci con la realtà dei cittadini, stare al fianco di chi ha più bisogno. E’ un lavoro lungo e faticoso, che richiede un impegno quotidiano. Dobbiamo darci delle priorità, tutto non si può fare.

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