Movimenti

Filantropia italiana, buona la seconda

Bilancio positivo per Philantropy Experience edizione 2023, dopo l'esordio lo scorso anno a Catania. L'iniziativa dal basso di alcune fondazioni riesce a fare sintesi e creare pensiero collaborativo fra il mondo di origine bancaria e i donatori di famiglia e aziendali. Appunti dalla due giorni senese

di Giampaolo Cerri

Piatto preparato dallo chef Juan Q. Quitero per il catering di Orto sociale, un progetto di salute mentale

L’esperienza filantropica va. Sono stati infatti due giorni intensi, quelli, senesi, della Philantropy Experience 2023, che ha visto, il 6 e 7 novembre, radunarsi 110 fondazioni da tutta Italia e anche dall’Estero sul tema La filantropia al lavoro su senso e soluzioni. Sperimentare, fallire, apprendere e migliorare.

Giornate che hanno fatto capire come si stia profilando un modello italiano della filantropia, figlio di una storia di secoli, che poi si è condensata nel percorso delle casse di risparmio, arrivando fino a noi con le fondazioni di origine bancaria. Più recente, l’altro filone, quello della filantropia familiare, legata all’imprenditoria illuminata, che donava per storia e per cultura, alla quale si è aggiunto, in tempi più recenti, l’impegno delle aziende responsabili, che hanno dato vita a una area “corporate”.

Francesco Profumo, presidente Acri, interviene nella prima giornata

Gli uni e gli altri, fondazioni bancarie e fondazioni familiari-aziendali, con mezzi evidentemente diversi e con differenti motivazioni, sono parte di uno stesso movimento, se non addirittura – per l’intuizione intelligente e collaborativa di alcuni – di una stessa comunità.

Iniziativa dal basso

Questo lungo preambolo è necessario per inquadrare la seconda edizione della Philantropy Experience, che un gruppo di fondazioni ha riproposto, dopo il felice esordio a Catania dello scorso anno. Si tratta di Fondazione Èbbene, Fondazione Milan, Fondazione Allianz Umana Mente, Fondazione Time2, Fondazione Mazzola e Fondazione italiana per il Dono, sostenute dall’ospitalità di Fondazione Monte dei Paschi.

Stefano Zamagni, videocollegato da Bologna, conclude la Philantropy Experience 2023

Un’iniziativa dal basso, che ha il merito di unire appunto i mondi, le esperienze, le storie. Nella suggestiva cornice di Santa Maria della Scala, l’ex-Spedale che ha accolto per secoli i “gittatelli”, i bambini che le madri non potevano tenere e di cui la Repubblica di Siena si faceva carico – uno dei più antichi esempi di pubblica solidarietà della storia -, nelle suggestiva cornice di Santa Maria della Scala, dicevamo, Philantropy ha infatti riunito fondazioni di origine bancarie e familiari-corporate, con i rispettivi presidenti, Francesco Profumo, per l’Acri, e Stefania Mancini, per Assifero, entrambi intervenuti con parole che sono suonate tutt’altro che formali.

Fra filantropia riparativa e innovativa

L’ex-rettore del Politecnico di Torino, nonché ex-ministro dell’Università, in apertura, ha volato alto: «Torna il vecchio interrogativo su quale sia il ruolo della  filantropia», ha detto riallacciandosi alle diseguaglianze del Paese “non rimosse” dalla Costituzione, «se essa debba essere riparativa dei danni del sistema o sia, invece, chiamata ad  essere innovativa, cioè in grado di immaginare un nuovo modello sistemico, di proporlo e di  diffonderne i semi, per un futuro diverso. Sono convinto che la filantropia strategica debba muoversi costantemente su questo doppio binario: rispondere alle emergenze, supportando in maniera sussidiaria le Istituzioni, ma senza  rinunciare a uno sguardo di lungo periodo, accompagnando chi immagina e progetta il futuro».


Un momento di lavoro a gruppi

Gli ha fatto eco, in chiusura, la presidente Mancini, soddisfatta ma tutt’altro che trionfalista: «Il sistema fondazionale sta apparentemente bene, certo: cresciamo per numeri ed erogazioni, nonostante il calo post-pandemia. Dobbiamo però uscire dalle nostre aree di comfort: per esempio intercettando quelle fondazioni che ancora vivono isolate, come il Runts ci ha svelato, e parlare con loro». La numero uno di Assifero ha segnalato aree di criticità, come quelle di un linguaggio «troppo standardizzato» e un’inclinazione alla flessibilità, «suggerita anche dalla letteratura americana», che può spingere gli enti filantropici «a essere meno tangibili, quando invece devono continuare a dare speranza nei territori».

Uno dei panel delle due giornate

Mancini ha anche invitato a fare «massa critica nel confronto con le istituzionali nazionali perché, se localmente le cose vanno bene, a livello Paese spesso rinunciamo al compito di costruire la “lobby positiva”, come la chiama Giuseppe Guzzetti, anche perché ci disamoriamo talvolta delle “istituzioni di passaggio” con cui abbiamo a che fare. Invece», ha concluso, «dobbiamo lavorare per ottenere, per esempio, quel sistema di sgravi fiscali che ci potrebbe far giungere risorse importanti, come accade all’Estero, per aiutare il Terzo Settore  a proteggere le persone fragili. Dobbiamo cioè entrare in campo, con la forza e l’intelligenza della filantropia».

Quel popolo di fondatori e di tecnici

Tuttavia la lobby positiva, tanto per stare alla guzzettiana citazione, la si poteva scorgere fra i tavoli della sala Calvino di Santa Maria delle Scala dove, per due giorni, s’è mosso un piccolo popolo di filantropi – da fondatori veri e propri, come Giulia Boroli, Anna Pittini, Carlo Mazzola, ai molti responsabili affari istituzionali, direttori operativi, segretari generali, che sono poi i tecnici da “ultimo bando”, i virtuosi della valutazione, gli instancabili della coprogettazione – un piccolo popolo appunto ma coeso e cordiale.

Il volto di un’Italia impegnata nel dono, con la preoccupazione di farlo bene, senza sprecare, efficacemente. Un volto che, in una trentina d’anni, ha cambiato fisionomia: laddove c’erano tanti campanili, tanti labari al vento e una certa ansia competitiva, oggi risalta quella che pare essere una febbre collaborativa.

Elisa Furnari e Carlo Rossi, salutando gli ospiti, annunciano l’impegno per le popolazioni alluvionate

Lo si è visto, alla fine della prima giornata, quando Carlo Rossi, presidente della Fondazione Monte dei Paschi, affiancato da Elisa Furnari (sopra, ndr), instancabile organizzatrice con la sua Fondazione Èbbene, ha annunciato un impegno a favore delle zone toscane colpite dall’alluvione, proponendo di far convergere gli aiuti sulla Fondazione Cariprato. E ha spiegato di aver avuto il suggerimento dal suo omologo di Fondazione Pistoia e Pescia, Lorenzo Zogheri.

Un tempo ognuno avrebbe proceduto in ordine sparso, alzando immantinente la propria bandiera di soccorso. Per fortuna quel tempo è passato.

Nei prossimi giorni, nel nostro canale podcast, pubblicheremo una serie di interviste dalla Philantropy Experience.

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