Non profit

Filantropia, Italia sei la bella addormentata

L'analisi, entusiasta e spietata, di un super esperto: Salvatore LaSpada è direttore dell'Institute of Philantropy di Londra

di Carlotta Jesi

Per Salvatore LaSpada, la Gran Bretagna dista dagli Stati Uniti 104 miliardi di dollari. È una distanza filantropica che il 46enne direttore dell?Institute of Philanthropy londinese preferisce spiegare in termini di Pil – nel 2005, le donazioni dei privati americani ammontavano al 2,1% del Prodotto interno lordo, quelle degli inglesi appena allo 0,8 – e che intende ridurre nel più breve tempo possibile. Una sfida non facile, considerando che, a dar retta alle statistiche, i super ricchi sarebbero anche i super tirchi del Regno. Secondo l?influente Caf – Charities Aid Foundation, infatti, nel 2005 l?1% più ricco della popolazione, nelle cui mani risiede un quarto di tutta la ricchezza del paese, avrebbe donato alle charity solo il 7% degli 8,2 miliardi di sterline dati in beneficenza dai privati. E gli ostacoli non finiscono qui: il Caf denuncia un?eccessiva attenzione del terzo settore nel proteggere l?anonimato dei suoi sostenitori che certamente non genera effetti emulazione come ha fatto la super donazione di Warren Buffet alla Fondazione Bill e Melinda Gates. Come pensa di far breccia nel tradizionale riserbo inglese, LaSpada? E nelle ancor più riservate cassaforti del paese? La risposta è lunga appena tre lettere: Tpw. Acronimo per The Philanthropy Workshop, un seminario sulla gioia e la sfida insite nel dare che LaSpada ha lanciato nel 1995 a New York quando lavorava per la Rockefeller Foundation e che ha recentemente importato a Londra per rispondere alla forte domanda di nuovi e strategici approcci alla filantropia nel Vecchio continente. Vita: Cominciamo dalla gioia di fare beneficenza. Come si infonde? Salvatore LaSpada: Spiegando che la filantropia è un?attività estremamente sfidante: chi dona in maniera strategica, non solo risponde alle esigenze della società civile ma crea un ambiente favorevole allo sviluppo del proprio business oltre che opportunità per i propri figli legate alla capacità di capire i problemi sociali e di saper interagire con persone molto diverse tra loro. Vita: Ma non è filantropia interessata? LaSpada: Non credo che esistano attività umane completamente disinteressate. E non vedo niente di male in un po? di interesse che genera beneficio per la società. Io stesso, sono un prodotto della filantropia. Vengo da famiglie poverissime immigrate in America dall?Italia, ed è grazie alla cultura di un paese che onora la ricchezza, spingendo chi ce l?ha a restituirne una parte alla società, se ho potuto studiare e se oggi è il mio turno di fare la differenza. Vita: Al contrario degli Stati Uniti, in Italia la ricchezza e la beneficenza non si sfoggiano. Pensa sia questo uno dei motivi per cui si dona poco rispetto agli Usa? LaSpada: L?Italia è uno dei pochi paesi europei da cui non abbiamo avuto richiesta di iscrizioni al nostro workshop. Oltre agli inglesi e gli americani, abbiamo eredi e imprenditori tedeschi, spagnoli, inglesi, svedesi. Italiani, per il momento, no. Anche nel Regno Unito, finora, la beneficenza è stata coperta dall?anonimato. Ma ora le cose stanno cambiando. Vent?anni fa, il 75% delle persone nominate nella classifica dei più ricchi del paese del Sunday Times erano eredi e solo il 20% self made man, uomini che si sono fatti da soli. Oggi la proporzione è completamente cambiata: il 75% di chi compare nella lista è diventato ricco lavorando, soprattutto nel mondo della finanza e in quello dell?alta tecnologia, e non si vergogna del suo successo. Anzi, vuole celebrarlo con contributi alla società. I ricchi di oggi sono fieri di aver saputo fare la differenza nel mondo del business e ora vogliono fare la differenza nel modo di donare. Sono orientati al risultato e hanno chiari obiettivi filantropici. Vita: Perché Europa e Stati Uniti hanno approcci così diversi al dare? LaSpada: Dipende dal ruolo assistenziale dello Stato. Negli Usa, nessuno pensa che la soluzione dei problemi sia lo Stato, noi crediamo che la soluzione sia il cittadino. Pensate ai pionieri: se volevano una scuola per i loro figli, dovevano costruirsela, non c?era un?istituzione a cui chiederla. Il futuro? Non sarà certo il settore pubblico a portare innovazione sociale. Il futuro è nella società civile e nella filantropia privata. Vita: Crede che i filantropi debbano sostituire i governi? LaSpada: No. I più grandi filantropi lavorano fianco a fianco con i governi. La differenza è che possono fare cose più avventurose e spregiudicate dei governi. Vita: Quali sono, oggi, le nuove frontiere del dare? LaSpada: Oltre alla venture philanthropy e alla diaspora philanthropy, quella stanziata dagli immigrati che donano al loro paese d?origine, la principale novità è l?idea di collegare investimenti finanziari e filantropici. Mi spiego: chi vuole sostenere la salute riproduttiva, può decidere di investire su aziende che studiano nuove tecnologie riproduttive e, al tempo stesso, di donare ad associazioni che lavorano nel campo della pianificazione famigliare.


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