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Fiducia, un voto pensando alle elezioni

Maggioranza in crisi, ormai quasi certe le urne a marzo

di Franco Bomprezzi

 

Il voto di fiducia al governo Berlusconi, ottenuto con il ruolo decisivo della pattuglia finiana, apre di fatto la campagna elettorale anticipata, e già si pensa a urne aperte in primavera. I giornali in edicola oggi ovviamente dedicano molte pagine alla cronaca politica, ma si concentrano già sugli scenari futuri. E di questo ci occupiamo nella nostra sintesi.

“Fiducia a Berlusconi, finiani decisivi” è il titolo a tutta pagina del CORRIERE DELLA SERA, e poi dieci pagine per raccontare e per spiegare. Ma già in prima l’editoriale di Massimo Franco è chiaro: “Un sì avvelenato”. “Aveva chiesto «un sì o un no» ed ha ottenuto una risposta formalmente, solo formalmente, positiva. – scrive Franco – In realtà, il governo ha ricevuto un viatico gonfio di insidie. Silvio Berlusconi non ha più una maggioranza autonoma. Dipende dall’appoggio degli odiati finiani e dalla pattuglia di Raffaele Lombardo, che risponde a logiche siciliane, slegate da quelle del Pdl. E Umberto Bossi già addita le elezioni anticipate come «la strada maestra». La cautela meritoria usata da Berlusconi nel suo discorso dimostra che il presidente del Consiglio non solo non le vuole ma le teme. I 342 «sì» a favore del governo, però, avvicinano pericolosamente la fine della legislatura”. E più avanti aggiunge: “Non è da escludersi che presto Fini si dimetta davvero: ma anche in quel caso sarà non tanto per motivi istituzionali, quanto per guidare meglio lo scontro contro il suo ex partito. Si tratta di uno sfondo di macerie, per il centrodestra. E non può bastare come consolazione un’opposizione percorsa da un malessere parallelo. A colpire, ed anche a sorprendere sono il tentativo apprezzabile di prendere coscienza dei pericoli di una situazione esasperata; e il difetto di autocritica per il brutto spettacolo offerto ultimamente”. Le penne di Aldo Cazzullo e Gianantonio Stella per nobilitare la cronaca di una giornata parlamentare densa, quanto surreale (dibattito sulla fiducia a un governo che ha ricevuto la più ampia maggioranza parlamentare possibile), e poi Francesco Verderami a raccontare il consueto retroscena, che in questo caso ci conduce decisamente verso il futuro prossimo: “Ipotesi dimissioni a inizio novembre. Poi lo scontro sarà sul governo tecnico”, questo il titolo che sintetizza il contenuto. A proposito delle mosse di Gianfranco Fini, pronto a varare il nuovo soggetto politico, Verderami scrive: “(Berlusconi) aveva messo in conto ciò che gli è stato riferito, e cioè che l’ex alleato è pronto a mettersi di traverso nel caso in cui volesse andare alle urne. A ostacolarlo non ci sarebbe solo Fini, ma anche il Quirinale e una variabile che il premier non avrebbe calcolato: i senatori pdl del Nord che – sapendo di perdere il seggio per effetto della Lega – farebbero di tutto pur di evitare le elezioni. Così si aprirebbe la strada per un governo tecnico, e non è un caso se Fini cita Tremonti, «che non è solo Lega, ma ha rapporti internazionali molto solidi». Berlusconi ha analizzato il messaggio con i suoi fedelissimi, divisi tra chi considera quella del presidente della Camera «una minaccia» e chi la giudica «una posizione di debolezza politica»”.  E questa è la conclusione: “Una partita, due scacchiere. Da oggi la sfida tra Berlusconi e Fini si gioca tra Camera e Senato. Resta una variabile e di non poco conto: la Lega, che potrebbe sfruttare la mozione di sfiducia contro Bossi per andare alle urne. Fini andrà davvero a vedere il gioco del Carroccio, facendo votare Fli contro il ministro? Perché Maroni non ha parlato a caso di «marzo» come mese delle elezioni. Da tempo sta facendo scaldare i motori del Viminale per quell’appuntamento, in quella data”.

LA REPUBBLICA titola “Berlusconi salvato dai finiani” e nel sommario spiega: «Voglio il lodo, ma a questo punto meglio il voto». Bossi: elezioni a marzo”. Seguono otto pagine sul compleanno più amaro del premier, il cui governo non sarebbe sopravvissuto senza i finiani e l’Mpa di Lombardo (il governo ha ottenuto 342 sì). Una sopravvivenza soggetta a riconferma, come spiega Francesco Bei: “Il Cavaliere non vuole farsi sfibrare «Ormai le elezioni sono inevitabili»”. Sgretolato il sogno dell’autosufficienza, il premier ha stretto un asse di ferro con Bossi: la colpa della crisi e delle elezioni prossime venture deve ricadere su Fini. Come dice Maroni «la strada è segnata». Quanto a Fini, ormai è sancita la nascita di un nuovo partito; martedì il battesimo; il congresso si terrà a gennaio (forse Urso ne sarà il segretario). «Quello di martedì è l’avvio di un processo politico che avrà i suoi tempi. Bisognerà vedere chi sarà eletto presidente del nuovo soggetto e non è detto che sia Fini», sostiene una nota del portavoce del presidente della Camera. Per le reazioni, il Pd esulta: Bersani ha ottenuto una standing ovation dai suoi dopo il discorso in aula (lo ha applaudito anche Bocchino, quando il segretario Pd ha detto: «se Berlusconi indica col dito un malcapitato, quello lì va alla gogna»). Anche Veltroni ha fatto i complimenti al suo segretario. Sulla giornata di ieri interviene anche il direttore del quotidiano, Ezio Mauro: “La fiducia avvelenata”. Berlusconi ha chiesto i voti ai suoi rivali «pur di galleggiare, tirando a campare come un doroteo, fingendo davanti a se stesso e al Paese che dopo la spaccatura del Pdl, tutto sia come prima». Ieri però «è nato un Berlusconi-bis perché a numeri intatti la forza elettorale si è trasformata due anni dopo in debolezza patente della leadership». Il premier non ha «voluto o potuto portarsi all’altezza della cornice drammatica di una crisi conclamata e irreversibile nella sostanza politica, anche se rattoppata temporaneamente nei numeri». Ieri «con quetsa fiducia malata,è è finito il quadro politico del centrodestra così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi».

Il punto sulla situazione politica lo fa il direttore  de IL GIORNALE Alessandro Sallusti nell’editoriale che scrive: «La fiducia c’è ma  si andrà a votare perché  la maggioranza numerica non corrisponde a quella politica. Il sì al discorso di Berlusconi votato dal gruppo dei finiani è infatti una patacca, uno stratagemma per prendere ancora un po’ di tempo prima di pugnalare alle spalle la maggioranza. Poco tempo, quello necessario per trasformare il gruppo parlamentare in un partito. Il primo passo è già stato fissato per martedì prossimo. Ovvio che da oggi il Pdl e Lega da soli non hanno i numeri per garantire che la legislatura vada a avanti  secondo i patti stabiliti con gli elettori». Ma è anche ovvia un’altra cosa, secondo Sallusti: «che Fini non possa più essere il presidente della Camera. L’aver permesso a Di Pietro, contro ogni buon senso e regolamento, di insultare il Premier, il suo malcelato compiacimento per quell’aggressione fatta di ingiurie, sono solo il sintomo più evidente che non è più un arbitro imparziale». Non solo. Continua Sallusti: «Annunciare la nascita del nuovo partito senza contemporaneamente rimettere il mandato è l’ennesima furberia che stride con la richiesta di etica e lealtà politica sbandierata dal Fli». E infine la chiosa: «Maroni ha tirato le somme della giornata: si va a votare fra marzo e aprile. Credo che abbia ragione e che sia meglio così. Gli elettori capiranno chi  ha tradito e perchè».

«Biscotto» questo il titolo che campeggia su una grande foto di un Berlusconi pensieroso che apre la prima pagina de IL MANIFESTO. «Una fiducia per quattro mozioni. Ostaggio delle maggioranze variabili, Berlusconi si appella al parlamento e raccoglie 342 voti. Fli e Mpa decisivi. Bossi dice che così non va, mentre Fini annuncia la nascita del nuovo partito. Il Cavaliere svela i sondaggi sfavorevoli e adesso le elezioni fanno paura a chi fino a ieri le minacciava», quattro righe che riassumono la lunga giornata parlamentare di ieri. Al tema è dedicato anche l’editoriale di Norma Rangeri «Fiducia a pezzi». «Le riforme, il Sud, la giustizia, le tasse, la sicurezza, il federalismo, la patria, la famiglia e poi, nel finale la verità: “Questa notte ho visto i focus-group, dicono che, se ci saranno le elezioni, i cittadini non andrebbero a votare”. È tutto qui il senso della fiducia-fiction votata ieri al governo Berlusconi dalla rattoppata maggioranza. L’unica cosa che veramente conta per il presidente del consiglio sono i sondaggi che gli agitano le notti con il pericolo rosso di un’onda anomala di astensionismo (…)» e continua «Nessuna rottura è stata sanata, nonostante le pezze cucite in fretta in un documento recitato sottotono. I veleni del corpo a corpo barbaro tra i duellanti ne hanno minato fiducia e popolarità: i leader del centrodestra sono in apnea (…) Il divieto di dissenso, la gestione monarchica del potere, del partito e del paese presenta il conto appesantito dalla volgarità del discorso pubblico». L’editoriale si conclude osservando che la sensazione è quella di una «fine solo rinviata». Sulla stessa linea anche il commento di Micaela Bongi «Il cavaliere vola alto ma precipita. E prepara le urne». «Vola alto, Silvio Berlusconi. Talmente alto che, del suo programma in cinque punti illustrato nell’aula di Montecitorio, è impossibile scorgere i particolari» l’analisi della giornata prosegue fino alla fine «In privato il Cavaliere si sfoga con i ministri (…). Se la prende con il presidente della camera che “dovrebbe lasciare subito”. Ma strapazza anche i suoi (…) La sintesi della giornata Berlusconi la affida addirittura a un dipietrista, il capogruppo Donati: qualche battuta in aula e poi la confessione: “Sto passando un compleanno di merda”, A sera la torta arriva, 74 candeline spente con un gruppo di deputate a palazzo Grazioli. Poi più che un desiderio, una previsione realistica, con tanto di telefonata a Bossi per rassicurarlo: “Se è così, si vota a marzo”. Pubblicamente lo dice anche Roberto Maroni».

La prima pagina de IL SECOLO D’ITALIA è chiara: «Siamo stati decisivi. E ora si fa il partito» titola il quotidiano dei finiani. Nel suo editoriale il direttore Flavia Perina guarda avanti: «Lavoriamo a una destra “europea”» è il titolo. «Silvio Berlusconi ha avuto la sua verifica parlamentare, anche se non esattamente nei termini in cui la desiderava. Quota 308 non è davvero il massimo per le ambizioni di autosufficienza del Pdl. Se i finiani avessero votato contro il governo, la maggioranza si sarebbe sgretolata. L’atto di responsabilità di Futuro e Libertà tiene in piedi l’esecutivo, e ne è ben consapevole Umberto Bossi che ha parlato di “maggioranza limitata”», scrive la parlamentare di Fli. Così «se il Popolo della libertà e la sua classe dirigente sembrano avere perso la bussola, l’orologio di Futuro e libertà è già spostato in avanti». E il sito di Generazione Italia toglie ogni dubbio in un post dal titolo «Si parte con il partito. Finalmente!»

Anche ILFOGLIO si chiede quali saranno «Le conseguenze del Cav., in due parole» nel blog di Claudio Cerasa. «Che succederà? Nulla. Secondo me nulla. Il centrodestra fingerà per qualche mese di voler fare la pace, poi in autunno inoltrato ci sarà la scintilla, il Cav. non avrà più la fiducia, andrà al Quirinale e poi a marzo, con magno gaudio della lega, finirà che si andrà a votare. Con il partito di Fini insieme con quello di Casini e con l’incombente minaccia di Montezemolo». Elezioni scontate quindi anche per il quotidiano di Giuliano Ferrara. Mentre IL FATTO QUOTIDIANO in prima pagina titola «Fini cucina il caimano» e Luca Telese condensa la giornata di ieri in un fotogramma: «L’immagine che resta e che racconta meglio di tutto le geometrie della giornata e i nuovi rapporti di forza nel centrodestra, è quella in cui Silvio Berlusconi chiede aiuto contro Antonio Di Pietro che gliene sta dicendo di tutti i colori (l’epiteto più leggero è “piduista”). Il Caimano, per una volta volta con i denti limati – in visibile difficoltà – si volta con la mano aperta in segno di preghiera verso Gianfranco Fini. Come per dire: intervieni tu».

Per il direttore de IL RIFORMISTA, Antonio Polito, ieri Berlusconi ha fatto «un discorso general-generico». E mentre arrivava la fiducia, «Fini annuncia la nascita del suo nuovo partito. La coincidenza rende più chiaro il carattere di finzione,  oserei dire da teatrino della politica, che hanno avuto oggi le dichiarazioni del premier a Montecitorio». Più duro il giudizio de L’UNITA’ che in prima scrive «Balle spaziali» a proposito delle parole del premier, che Concita de Gregorio giudica così: «ha chiesto la fiducia su un discorso così vetero democristiano che pareva Rumor. L’ha avuta, ma è come se non». Conclusione: «Fini avrà il suo partito, la Lega farà da padrona, l’opposizione il tempo che speriamo basti a proporsi come alternativa di governo. A primavera si vota». LIBERO titola senza troppi giri di parole  «Si vota a marzo. Meglio». Ne prende atto anche il direttore Belpietro nel suo editoriale: «la legislatura si avvia alla fine e che un voto a marzo è assai probabile. È questa l’amara conclusione della lunga giornata di ieri».

“Ottenuta la fiducia iniziano le difficoltà”.  La consueta nota politica di Marco Bertoncini mette in evidenza come il futuro del governo ruoti intorno allo scudo giudiziario che tiene il premier lontano dai processi per altri due mesi e mezzo. «Dopo il buio. Per costruirsi una tutela che gli impedisca di finire arrostito dalla magistratura» scrive ITALIA OGGI  «dovrà trovare i voti di Fli. E non potrà averli che attraverso trattative». Non a caso sono proprio i finiani della commissioni Giustizia  delle due Camere  ad avere il pallino in mano. Ma se per  Bertoncini il presidente della Camera Fini è determinante per la maggioranza, nel pezzo “Berlusconi stretto tra due fuochi”, Bossi invece conterebbe ancora di più. «A giudicare come gli stanno alle calcagne i parlamentari siciliani e i distinguo dei leghisti fra ministri del Carroccio e no, di problemi il premier ne avrà ancora di più».  Quanto Bossi non creda alla durata del governo, è scritto nel pezzo “Ma l’obiettivo delle urne rimane sempre dietro l’angolo”. Commentando la frase detta ieri da Bossi «a lungo termine non regge niente. Non c’è niente di eterno. Ma nessuno ha intenzione di far cadere il governo, perché hanno paura del voto» ITALIA OGGI sostiene che il Carroccio non si fida dei parlamentari meridionali, teme l’incapacità del Pdl di reggere alla Camere,  il logoramento e un rinato effetto Prodi, ovvero «il ricatto di gruppi marginali, come avvenne nella precedente legislatura ai danni del centro-sinistra».

Titolo a tutta pagina per la politica in prima del SOLE 24 ORE “Fiducia a Berlusconi, decisivi i finiani”. Il commento di Stefano Folli sottolinea subito, in prima, che lo spettro del voto si è tutt’altro che allontanato “La legislatura adesso è in bilico”. «La conta dei voti alla fine è stata molto deludente per il presidente del Consiglio. Non solo per il ruolo decisivo assunto dai suoi avversari interni, Gianfranco Fini e il siciliano Raffaele Lombardo: i due gruppi affini, alleati per l’occasione, si sono rivelati determinanti. L’illusione berlusconiana di affrancarsi dal loro condizionamento grazie a nuovi apporti dal centro e dal centrosinistra è rimasta tale. Ed è qui il secondo motivo di delusione. La capacità di attrazione dell’uomo che ha dominato la scena italiana per oltre sedici anni oggi si rivela piuttosto limitata. Se dobbiamo ricavare dalla giornata di ieri una previsione sul prossimo futuro della legislatura, i motivi di pessimismo sono di gran lunga prevalenti. Lo scetticismo di Umberto Bossi dice tutto al riguardo. (…) L’intero andamento del dibattito lo conferma. Tutti, a cominciare dal presidente del Consiglio, hanno parlato con la mente rivolta agli italiani che guardavano la diretta tv. È stato un dibattito per molti aspetti elettorale. Come era evidente nella duplice chiave di Berlusconi: istituzionale, per un verso, ed elettorale per l’altro. I cinque punti programmatici sono già una piattaforma per le elezioni. Idem si può dire per un Bersani mai così brillante ed efficace come capo dell’opposizione: anche lui teneva d’occhio la sua porzione d’opinione pubblica. E lo stesso vale per Antonio Di Pietro, irruento ed eccessivo oltre i limiti del buon gusto, palesemente messo in ansia dalla concorrenza di Beppe Grillo. Si capirà presto se questa verifica di fine settembre è l’inizio di una nuova fase o, come è probabile, una tappa lungo il sentiero che porta allo scioglimento delle Camere. Tuttavia un punto è chiaro: non c’è sulla carta una maggioranza politica alternativa a Berlusconi. E non ci sono nemmeno le condizioni per un governo d’emergenza, votato alla riforma della legge elettorale, come sogna il centro-sinistra. Berlusconi esce più debole dal dibattito, ma l’opposizione non è più forte». Il commento di Paolo Bricco racconta un po’ l’umore del mondo delle imprese rispetto a questa situazione “I riti romani e la crescita che non c’è”: « È l’ora di provvedimenti mirati a rispettare l’equilibrio dei conti dando però energia alla ripresa, fin qui incapace di produrre occupazione e non solo in Italia. (…) È l’ora di dimostrare di essere capaci di farlo. L’ora degli intrighi deve chiudersi, bisogna dare una mano al paese insieme. O il voto di ieri presto si scongelerà nella crisi».

“Il programma c’è. I voti forse” è il titolo di prima pagina di AVVENIRE che sintetizza le tre interne dedicate al voto pro Berlusconi di ieri alla Camera. L’occhiello riassume il fatto: “Alla Camera il premier rilancia il suo programma (fisco per la famiglia compreso), con in più agenda bioetica e libertà educativa. Sì quasi completo dei finiani, ma Fini prepara il partito». Il giorno del voto è ricostruito a pagina 5, che riporta i sei punti del discorso di Berlusconi, durato 54 minuti: federalismo, fisco, giustizia, sicurezza, meridione, vita e bioetica. «Il capo del governo sceglie toni morbidi e si appella ai moderati e anche alle opposizioni “più responsabili”», scrive Eugenio Faticante. Berlusconi non cita mai Fini, ma fa caute aperture anche ai deputati di Futuro e libertà che poi votano (31 su 35) la fiducia. Ma dopo la fiducia, esplode la rabbia di Bossi, che adesso vede a rischio l’obiettivo ventilato del federalismo e dice no “a ricatti e contrattazioni continue”. Scrive Diego Motta: «L’ultimo strappo è quello dell’alleato più fedele. È passata una manciata di minuti dalla fiducia incassata dal governo, con finiani e Mpa ora decisivi, che tocca a Umberto  Bossi togliere il velo a ipocrisie e imbarazzi che circolano nella maggioranza. “I numeri sono limitati. La strada è stretta”, dice il leader della Lega che poi serve sul piatto al Cavaliere l’obiettivo prossimo venturo del Carroccio. “La strada maestra è il voto”, afferma il Senatur che non fa nulla per nascondere la sua ira». La Lega vuole capitalizzare i consensi in uscita dal Popolo della libertà e Maroni prevede elezioni a marzo. Sugli scenari futuri sono concordi anche le opposizioni che cominciano a prepararsi alle urne. “Pensiamo ad allargare le crepe del centrodestra, a partire dalla richiesta di dimissioni del leader lumbard”, ha dichiarato Enrico Letta. Invece Casini e Bersani chiedono al premier di smettere di raccontare favole e Di Pietro accusa Berlusconi di essere uno pregiudicato illusionista anzi un pregiudcato che “stupra la democrazia” mentre il Paese muore di fame. Intanto Fini ribadisce che “Si è chiusa una fase, ora avanti col partito”. E mentre si dice favorevole sui punti del programma, compreso il quoziente familiare, avverte: «Voleva dividerci, ma non c’è riuscito. Ora diamo vita a un coordinamento, ma nulla è deciso: discuteremo insieme, di tutto” e si concede una battuta: “Poteva pensarci prima a parlare così. Quando ha detto che ha l’indole aperta al dialogo mi è scappato un sorriso”. 

“C’è la fiducia, ma si pensa al voto”. LA STAMPA apre con otto pagine dedicate alla politica. «Berlusconi ora deve procedere alla giornata» sintetizza Amedeo La Mattina a pagina due. «senza potersi fidare di chi gli fa i conti nel partito, degli addetti al pallottoliere che promettevano maggioranze autosufficienti senza i finiani. Dovrà fidarsi dei ministri che lo spingono a trovare un’intesa con Fini e a non lasciare a Bossi la forza di spingere il governo verso la deriva elettorale». Il cavaliere, si legge ancora nell’articolo «ha il problema dello scudo giudiziario. E solo un accordo con i finiani glielo può garantire. Alle loro condizioni. E’ proprio questo il punto: il premier non vuole farsi strangolare da Fini». Oggi al Senato Berlusconi rovescerà il tavolo? Secondo alcune voci potrebbe non dare più ascolto alle “colombe” del Pdl e prender atto che non c’è più la maggioranza uscita dalle urne del 2008 e salire al Colle. A pagina 5 un affondo sulle posizioni di Bossi: “La Lega pronta a staccare la spina”. I leghisti, scrive la stampa, non solo sono pronti, ma “vogliono” andare a votare. Maroni ieri: «Secondo me a marzo si vota». A pagina 7 “Chi va e viene. Il lungo giorno dei trasformisti”: foto e profili dei deputati che hanno cambiato fronte appoggiando il Pdl o, viceversa, distaccandosene. «La compravendita funziona a singhiozzo» scrive nel sommario LA STAMPA. A pagina 8 un’intervista a Dario Franceschini (Pd), il quale risponde a una domanda sulla possibile alleanza con Fini: «Sta facendo un’operazione interna al centrodestra, coerente con la sua storia politica e personale», «se ci fosse una rottura traumatica sarebbe legittimo fare appello in Parlamento a tutti quelli che vogliono cambiare la legge elettorale». Sull’Udc: «E’ tempo perso se pensiamo di convincere Casini delle buone ragioni del bipolarismo», «vediamo piuttosto che ci sono spazi di accordo su regole, contenuti e programmi.

E inoltre sui giornali di oggi:

RUPE TARPEA
LA STAMPA – Ancora una volta strepitoso Massimo Gramellini in prima del quotidiano torinese. Non ce ne voglia se riportiamo per intero il suo “Buongiorno”: “«Prima della didattica viene la genetica», sentenzia un professore del Conservatorio di Milano su Facebook, la piazza di Internet dove si chiacchiera con le dita e spesso si straparla, anzi si strascrive. «Prima della didattica viene la genetica» e quindi ha proprio ragione quell’assessore di Chieri che a scuola vuol separare i bambini disabili dai «normali». Per quanto la soluzione ottimale sia ancora un’altra: «Alla Rupe Tarpea bisognerebbe tornare», rievoca nostalgico il prof, «perché stiamo decadendo geneticamente e una pseudoscienza senza bussole fa campare persone che non dovrebbero». Guai a dargli del nazista («cosa che non sono») o del razzista («inconcepibile»). Lui è «una persona che ragiona liberamente» e, ragionando ragionando, scrive: «Prima della didattica viene la genetica». Che peccato. Perché se invece fosse venuta prima la didattica, durante il suo lungo corso di studi il professore avrebbe imparato che dalla Rupe Tarpea i romani non gettavano i disabili, ma i traditori della patria. Era a Sparta che selezionavano la razza abbandonandone i frutti meno ortodossi sul monte Taigete. E poiché la cultura è come le ciliegie e ogni nozione se ne tira dietro un’altra, il prof avrebbe potuto riflettere sul destino singolare degli spartani, che – unici nel mondo greco – non hanno lasciato all’umanità uno scultore, un architetto, un filosofo, un musicista. Non sarà che, a furia di «spuntare» quelli che ritenevano imperfetti, si ritrovarono con una massa di bietoloni allergici al nuovo e al diverso come certi contemporanei?”. Da sottoscrivere in pieno.

CORRIERE DELLA SERA – “Ispezione della Gelmini sul professore antidisabili” titolo a tutta pagina 24. E si scopre che il prof. di armonia al Conservatorio è un militante della Lega, che prende le distanze. Aria pesante e amarezza al Conservatorio milanese. Duro comunicato di Ledha, la Lega dei diritti delle persone con disabilità, che ricorda i precedenti dell’eugenetica.

EMERGENZA RIFIUTI

LA REPUBBLICA – A Giugliano, “Una notte tra i roghi di Diossina Land la guerra dei rifiuti soffoca la Campania”. Solo nell’ultima settimana i vigili hanno contato 150 roghi, compresi quelli avvenuti in discarica. Una situazione che si aggrava sempre più: le tossine prodotte inquinano l’area, mentre i vigili sono insufficienti e, sulla carta, l’emergenza non c’è più.

AUSTERITY
IL MANIFESTO – La due pagine centrali de IL MANIFESTO  sono dedicate alla grande manifestazione dei sindacati europei «100mila “no” all’austerità», ma «i politici non li ascoltano e propongono punizioni più severe per gli stati con i conti pubblici non in linea coi parametri della Ue. In box in testa alle due pagine vengono riportate le iniziative dei governi di Grecia, Germania, Francia, Portogallo e Italia. Mentre a piè di pagina si dà notizia del primo sciopero generale contro Zapatero dove si sono registrati anche degli scontri «Helga general, da Madrid a Barcellona». Da osservare l’inizio dell’articolo dove si legge: «Il re Juan Carlo, per rispetto al diritto di sciopero previsto dalla costituzione, ha fatto sapere che ieri la casa reale non ha lavorato. “Io vado a lavorare”, ha detto invece il premier socialista Rodriguez Zapatero (…)».

ROM

IL GIORNALE – Il governo dell’Unione europea ha deciso di aprire una procedura d’infrazione  contro Parigi dettando perfino i tempi per evitarla: quindici giorni. La motivazione ufficiale è che  la «Francia non ha trasposto nel diritto francese le garanzie procedurali» previste per i cittadini europei nel quadro di una direttiva del 2004 sulla libera circolazione nell’Unione europea. Sono state così accolte le proposte di Viviane Reding, la battagliera commissaria lussemburghese alla Giustizia che fin dall’inizio di questa vicenda aveva premuto perchè Bruxelles procedesse ufficialmente contro la Francia. E si è trattato  entro certi limiti di  una sorpresa perché sino all’ultimo si era ritenuto che la Commissione europea si sarebbe invece  limitata a inviare alle autorità francesi una nuova richiesta di informazioni complementari sull’espulsione dei rom.  Le cose sono andate diversamente.  La puntigliosa commissaria ha precisato i termini della sfida: «se Parigi cambia rapidamente le sue norme potremo fermare il deferimento davanti alla Corte. Non vogliamo punire la Francia. Vogliamo  solo che cambi le sue leggi quando esse svantaggiano i cittadini dell’Unione». La commissione, in quanto guardiana dei trattati, deve far in modo  che ogni Stato membro, non solo la Francia, li applichi per ogni cittadino europeo». Questa conclusione implica che la Commissione metterà ora sotto analisi  la situazione di tutti gli altri Paesi della Ue riguardo la direttiva sulla libera circolazione dei cittadini. Quindi lo stesso Lussemburgo, al quale Sarkozy , aveva polemicamente chiesto di prendersi in casa un po’ di rom comunitari, potrebbe in teoria ricevere già in ottobre una lettera di messa in mora.

AVVENIRE – A pagina 13 si parla dell’ultimatum Ue alla Francia sulle espulsioni dei rom. Avviata una procedura d’infrazione per Parigi che entro il 15 ottobre dovrà fornire “tutte le garanzie di legalità” sui rimpatri. Bruxelles ha scelto la linea morbida e per ora non c’è l’accusa di discriminazione etnica.  Sotto esame altri Paesi (tra cui non vi  sarebbe l’Italia) non in regola con le norme sulla libera circolazione.

IL MANIFESTO – Il richiamo in prima è per la procedura di infrazione avviata dalla Ue verso la Francia, ma a pagina 5 accanto all’articolo «Rom espulsi, Sarkozy avvisato: procedura d’infrazione avviata» l’apertura è dedicata alla vicenda Milano, con il prefetto che smentisce il ministro «e la destra impazzisce» titolando «”La case ai rom” Maroni, che figura». L’avvio dell’articolo è fulminante: «Scemo chi ci crede. Allora tutti scemi nel centrodestra milanese? No, tutti incazzati però sì. O perlomeno platealmente irritati dopo la sceneggiata di lunedì scorso messa in piedi dal ministro Maroni (…)» il fatto è che «mentre il ministro Maroni recitava la parte per farci vedere quant’è cattivo un leghista in campagna elettorale, ben undici dei venticinque appartamenti da assegnare ai rom erano già stati consegnati alla Casa della Carità, che li sta ristrutturando proprio in queste ore». Da  sottolineare la presa di posizione del leghista Davide Boni, presidente del consiglio regionale che affonda: «senza dubbio nel risolvere l’emergenza nomadi le istituzioni non hanno alcuna intenzione di restare sotto il ricatto di alcuni operatori del terzo settore, in primis don Colmegna».

IRAQ

AVVENIRE – Nelle prime due pagine un reportage esclusivo dall’Iraq firmato da Luigi Geninazzi denuncia la situazione a Mosul, la terra del martirio, dove  i cristiani sono messi in fuga dagli estremisti musulmani. Chi può scappa. A chi se ne va i gruppi radicali impongono di pagare la metà del ricavato dalla vendita della ca

sa. E

il vescovo, Monsignor Nona,

è costretto a rimanere nascosto.

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