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Fiducia, rischio e speranza: tre parole che Lagarde non sente!

di Luca Jahier

Nella sua riunione plenaria di questa settimana, il Comitato Economico e Sociale Europeo ha invitato  Christine Lagarde, Direttrice generale del Fondo Monetario Internazionale. Nel contesto di una crisi che dura ormai da 5 anni, il CESE ha voluto un nuovo confronto aperto sulle conseguenze delle politiche di austerità e sulla loro capacità assicurare il risanamento sostenibile delle economie europee.

Nel suo discorso di apertura, il Presidente del CESE,  Henri Malosse, ha dato atto alla Direttrice Lagarde di aver pubblicamente riconosciuto che era importante non sacrificare la crescita sull’altare dell’austerità ed ha sollecitato l’urgenza di andare rapidamente oltre, “per non mettere in causa il patto sociale europeo e non mettere in pericolo la stessa democrazia”. Ha infine proposto di valutare se non sia il caso di procedere alla ristrutturazione di alcuni debiti pubblici , per esempio escludendo dal computo del deficit di bilancio le spese per l’educazione, come anche di procedere a cambiamenti e investimenti strutturali più consistenti che permettano di fare della reindustrializzazione la vera priorità europea per i prossimi anni.

La Direttrice Lagarde ha risposto elencando le 4 priorità dell’azione del FMI: restaurare le condizioni normali per il credito, sostenere le politiche di incremento della domanda, ridurre il debito dei paesi, incoraggiare la crescita e l’occupazione. Ma nel delineare il ragionamento le aperture erano cautissime (un invito ai paesi virtuosi ad investire un po’ di più nella domanda interna e nella crescita dei salari per ribilanciare il mercato interno dell’UE e soprattutto una conferma nel lungo periodo delle politiche del credito facile a costo zero da parte delle banche centrali, sperando che questo flusso di moneta diventi prima o poi investimento per l’economia reale), mentre la parte consistente del ragionamento continuava a ribadire i pilastri noti delle politiche del rigore senza se e senza ma, la necessità di ridurre il debito, di contenere la spesa, di ristrutturare e flessibilizzare i mercati del lavoro, di colpire le rendite, di completare l’Unione bancaria, di aprire i mercati, salutando – in questo caso a ragione – i risultati dell’ultimo accordo mondiale sul commercio. Insomma per dirla in breve, un po’ più simpatica e rotonda del sempre gelido Commissario Olli Rehn, ma nella sostanza nulla di nuovo. Cosa che ha generato il plauso esplicito e convinto del Presidente del Gruppo dei Datori di lavoro, il polacco Jacek Krawczyk; le critiche più dirette e la richiesta di guardare più anche alle responsabilità tutt’ora intoccate della grande finanza, da parte del Presidente del Gruppo dei sindacati, il greco Georgios Dassis.

Nel mio breve intervento, che di seguito riporto nei suoi tratti salienti, ho voluto sollecitare une riflessione su tre termini che a mio parere sono oggi cruciali per le condizione del tempo che viviamo: FIDUCIA, RISCHIO E SPERANZA.

La Sfiducia è oggi il male più devastante delle nostre società e il risultato più avvelenato della crisi. Solo più il 30% degli Europei, secondo Eurobarometro, ha ancora fiducia delle Istituzioni europee e un recente sondaggio francese dice che ben il 70% dei cittadini francesi non ha più fiducia nei propri politici. E tutti ben sappiamo che oggi la sfiducia sta costruendo nuovi muri e nuovi fossati anche tra popoli e paesi europei, come si evince dalla cronaca di ogni settimana. Ai primi di dicembre, un importante colloquio si è svolto a Parigi sul tema “Uscire dalla spirale della fiducia”. Molte raccomandazioni sono state espresse in quella sede e ne ricordo 4: assicurare coerenza stretta tra parole e fatti; applicare ad ogni livello il principio di condivisione delle responsabilità;  integrare il diritto all’errore e al fallimento, anche nell’azione pubblica; coniugare il breve, medio e lungo termine in ogni azione politica. La domanda che ne nasce è come tradurre questi principi nell’azione politica oggi in Europa, prima che il treno dell’Unione si schianti sulle divisioni interne e sulla collera crescente cavalcata dagli estremismi di ogni colore e ogni parte. L’unico e urgente fine è quello di ripristinare gli stock della fiducia ad ogni livello e di metterli rapidamente a servizio di azioni positive in seno alle nostre società.

Venendo al Rischio, è noto che non c’è impresa che tenga, non c’è azione collettiva, non c’è innovazione e neppure sviluppo sociale senza capacità di rischio. E nel caso della crisi che stiamo vivendo ciò è ancora più vero, per le esigenze di cambiamento e innovazione che essa esige. Ma il costo della crisi, causata come è noto da un rischio finanziario esagerato che ha fatto prima esplodere i deficit pubblici e poi si è in gran parte scaricato sulle parti più deboli delle nostre popolazioni, delle nostre regioni e delle nostre piccole e medie imprese, è stato la creazione di un circuito assurdo: divisione crescente tra rischio e responsabilità; il rischio è pagato in massima parte dai ceti medi e dai più deboli; coloro che dovrebbero rischiare per ripartire non riescono a farlo a causa di assenza di condizione realistiche minime per poterlo fare. Come uscire dunque, dopo sei anni, da questo gigantesco circolo vizioso e rimettere in equilibrio capacità di rischio, condivisione delle responsabilità e sostegno dei più deboli…. ma nel breve termine, perché nel lungo termine saremo tutti morti.

E infine la Speranza. Sono raddoppiate le persone ufficialmente disoccupate. Un quarto degli europei sono a rischio di povertà ed esclusione sociale (nel 2010 la strategia EU 2020 si poneva l’obiettivo di ridurre di 20 milioni i poveri in Europa ed erano circa 100 milioni. Oggi sono già 124 milioni e certo non si vede l’inversione del rischio a breve….). Milioni di PMI e aziende artigiane sono fallite o non hanno alcun futuro. L’UE è stata la speranza per generazioni intere ne secolo passato . Oggi sembra esserlo solo più per coloro che manifestano nelle piazze della capitale Ukraina, non lo è più nella grande parte dei paesi europei, ove cresce la collera contro l’UE. Come è noto la parola speranza significa “tendere verso qualcosa”. Responsabilità fiscale e disciplina di bilancio, Unione bancaria e riforme strutturali sono elementi importanti e necessari, ma non sono certo i veicoli portatori di speranza per i nostri concittadini. Se non sono rapidamente condite con un po’ di equità e di solidarietà fattuale, come faremo ad impedire che ci venga sottratta la speranza di avere una Europa capace di futuro?

La Direttrice Lagarde sembrava non sapere da che parte prendere la risposta …. Ed ha finito per dire che per lei la parola fondamentale che tiene insieme le tre da me proposte era responsabilità e questa voleva dire soprattutto non cedere sui percorsi di riforma e rigore avviati, che prima o poi pagheranno.  

Mentre mi parlava sul mio tablet scorrevano le dichiarazioni di Matteo Salvini, il nuovo segretario della Lega Nord, che annunciava la prossima alleanza con Marine Le Pen e Geert Wilders, che assieme ad altri partiti estremisti austriaci, svedesi, danesi, ecc, stanno costruendo una piattaforma europea che conterà molto nelle elezioni di maggio…. E mi rendevo conto che il tempo per cambiare rotta è sempre meno e l’isola del Giglio sempre più vicina……

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