Non profit

Fiat, referendum e lacrime

Tensione fra i lavoratori alla vigilia del voto sull'accordo

di Franco Bomprezzi

La responsabilità ora è sulle spalle dei lavoratori di Mirafiori, e il referendum sull’accordo sindacale non sottoscritto dalla Fiom è al centro delle cronache e dei commenti sui quotidiani di oggi.

“Camusso-Marchionne: duello su Mirafiori” è il titolo sulle prime colonne del CORRIERE DELLA SERA, che dedica invece l’apertura ai nuovi nomi dei conti svizzeri, ricchi di celebrità nel mondo della moda. Due pagine dedicate al caso Fiat, e un commento in prima di Roger Abravanel: “La svolta tedesca che manca”. Partiamo dalla cronaca. Confronto aspro a distanza, ieri, tra Susanna Camusso, leader della Cgil, e Sergio Marchionne, ad di Fiat. L’accusa viene da Chianciano, dove Susanna Camusso ha detto che Marchionne “insulta ogni giorno il Paese”. Replica da Detroit Marchionne: “Se insulto significa introdurre un nuovo modello di lavoro in Italia mi assumo le mie responsabilità. Ma non lo è. E non si può confondere questo con un insulto all’Italia: anzi, le vogliamo più bene noi cercando di cambiarla”. Dal pezzo di Enrico Marro, comunque, emerge chiaramente una distanza rilevante tra le posizioni della Cgil e quelle della Fiom. Ulteriormente precisata in una analisi di spalla a pagina 5: “Il doppio binario di Landini. E va in assemblea”. “Da una parte il segretario generale Susanna Camusso – scrive Marro – elegante, tranquilla, che nella relazione introduttiva svolge un’analisi rigorosa, tutta preoccupata di trovare una soluzione su come si gestisce la sconfitta, se nel referendum sull’accordo tra la Fiat e gli altri sindacati che si terrà domani e venerdì a Mirafiori vinceranno i sì. Dall’altra il leader della Fiom, Maurizio Landini, scapigliato, barba incolta, che nel suo intervento attacca con foga su tutta la linea, convinto e pretendendo di convincere tutti che il disegno di Marchionne si può battere, che è la Fiat che alla fine dovrà piegarsi e non la Fiom”. Ma come si svolge in queste ore la propaganda a Mirafiori? Curioso e interessante pezzo di Giovanni Stringa, a pie’ di pagina: “Il marketing delle tute blu, dai volantini ai talk show”. Leggiamo un passo: “La campagna elettorale prosegue naturalmente in fabbrica. Con i delegati Fiom che distribuiscono magliette fatte in casa con quella scritta «Mirafiori non si piega» che addirittura riprende gli slogan degli anni Settanta. C’è poi il «camper metalmeccanico» che fa la spola tra Mirafiori e il centro città ricordando a tutti «di non avere paura». E ancora: adesivi, fiaccolate, opuscoli con l’accordo che va al voto, locandine con enormi «No». Sul fronte opposto, per esempio, un manifesto con due operai che si stringono la mano, uno di Pomigliano e l’altro di Mirafiori, e invitano a votare sì «per il lavoro, il reddito e i diritti»”. Ma a pagina 6 campeggia la foto di Antonio Agostino, 73 anni, davanti a Mirafiori, in lacrime. Il titolo del pezzo di Marco Imarisio: “Le lacrime del vecchio operaio: «Adesso fermatevi, vi prego»”. La frase dell’ex operaio riassume il dramma di coscienza di tanti: “Gli operai hanno bisogno di lavoro, e quindi è giusto che facciano di tutto per tenerselo, ma non è che uno può minacciare un giorno sì e l’altro pure di trasferire tutto in Argentina o in Canada, perché così si manca di rispetto ai suoi dipendenti”. Attorno a lui la bolgia degli operai in conflitto fra di loro. Interessante il dato riportato a centro pagina: solo il 53% dei 5500 operai di Mirafiori è iscritto a un sindacato. Queste le percentuali: Fiom (13%), Fim (12%), Uilm (11%), Fismic (9%), Ugl (4%), altri (4%).

LA REPUBBLICA apre con la politica (“Fini: un patto per l’emergenza”) e dedica la foto notizia a Torino: “Fiat, scontro tra la Camusso  e Marchionne. Braccio di ferro sulla data del referendum”. Cui dedica tre pagine interne. Avviate da Paolo Griseri che riferisce, da Torino, dell’attacco della leader Cgil: Marchionne «insulta il Paese, offende i lavoratori e può farlo perché c’è un governo tifoso che non interviene e anzi lavora per la divisione sindacale e la riduzione dei diritti». Immediata la replica dell’Ad Fiat: «non si può confondere il cambiamento per un insulto. Se insulto significa introdurre un nuovo modello di lavoro in Italia, mi assumo le mie responsabilità» . Toni duri, mentre oggi dovrebbe essere confermata la data del referendum (venerdì 14). Prosegue però intanto anche l’opera di convincimento della Cgil verso la Fiom: «è importante ottenere il consenso fuori delle fabbriche ma anche esserci dentro a costruire tutele prospettive e nuove condizioni» ha ribadito ieri la Camusso, ottenendo soltanto la ripetizione della tesi di sempre. Maurizio Landini insiste: occorre far saltare l’accordo, renderlo inapplicabile. La Cgil starebbe comunque trattando con Cisl e Uil (che invitano Marchionne a misurare le parole) perché chi ha ottenuto almeno il 5% del voto dei lavoratori sia rappresentato in fabbrica. Nel suo retroscena (“La carta segreta del Lingotto «Pronti a nuove alleanze, lasciare l’Italia non è tabù»), Salvatore Tropea spiega che il silenzio degli Agnelli (a eccezione di John Elkann, che della Fiat è presidente) significa il ruolo che l’ad sta sempre più assumendo nell’individuare le linee strategiche del futuro. Marchionne del resto ha già indicato nella soglia produttiva di 6 milioni di vetture l’anno l’obiettivo per rimanere fra i 5 o 6 grandi player mondiali dell’auto. Dunque gli occorrono nuovi soci. Probabilmente non in Europa (dopo il caso Opel) ma in America, dove la Fiat ha i più terribili competitori. Quanto alle reazioni politiche, esplodono le contraddizioni del Pd. Mentre il segretario Bersani invita Marchionne a moderare le parole (e a spiegare il suo piano industriale), il sindaco di Firenze si schiera con l’ad come anche D’Antoni. Ufficialmente la linea è il rispetto del referendum. Infine intervista a Edward Prescott, Nobel per l’economia: le riforme proposte mi sembrano buone anche se la catena di montaggio è dura, conviene ai sindacati collaborare per salvare l’economia e i posti di lavoro, in cambio potranno lavorare alla partecipazione agli utili, una maggior responsabilità.

Lancio in prima “Tensione Camusso-Lingotto” per IL GIORNALE. Titolo: “Rivoluzione alla Fiat: il consenso non si compra”. La cronaca viene offerta da Pierluigi Bonora, inviato a Detroit, dove l’amministratore delegato della Fiat si trova e da cui risponde alle provocazioni di Landini (Fiom) secondo cui il referendum deve saltare e della Camusso (Cgil) per la quale Marchionne sta insultando l’Italia un giorno sì e l’altro pure. Ad accompagnare il pezzo di cronaca due commenti di Giuseppe De Filippi e di Giuseppe De Bellis, il primo sulla figura dell’Ad Fiat: «Non ha più paura, Marchionne, di andare da solo e di non chiedere altri aiutini e aiutoni pubblici – scrive De Filippi – E anche con questa scelta vengono giù schiere di mediatori professionisti, di persone e organizzazioni che si offrono di aggiustare le situazioni. È una mutazione drammatica e infatti sta generando prima incredulità, poi irrisione e infine panico». Mentre De Bellis punta il dito sullo stipendio, vero o presunto, di Marchionne che tanto scandalo avrebbe sollevato. Il titolo del pezzo la dice tutta: “Se persino la Cortellesi guadagna più di Sergio”: «il loro valore dipende da quanto producono all’azienda per la quale lavora. Lo stesso vale per la Cortellesi: lavorando sette giorni su sette per 12 ore al giorno, la comica romana guadagnerebbe 773 euro all’ora. Con lo stesso impegno e con gli stessi criteri (sette giorni su sette per 12 ore al giorno) Marchionne prende 655 euro al l’ora». Da cui trae la morale: «D’altronde non c’era stata una polemica smontata a prescindere sullo stipendio di Michele Santoro? A preciso appunto sul suo compenso il conduttore di Annozero replicò dicendo che dalla sua trasmissione la Rai guadagnava moltissimo, ergo i suoi soldi erano ben pagati. Verissimo. Ecco, deve valere per Paola Cortellesi che non lavora nel servizio pubblico e soprattutto deve valere per Sergio Marchionne».

«Cambiati il maglione». È questo il titolo di apertura de IL MANIFESTO, nella foto ovviamente Marchionne, mentre nel sommario che rinvia agli articoli sul referendum Fiat e le polemiche di ieri tra Camusso e l’ad Fiat riassume «Scontro a distanza tra Susanna Camusso e i vertici Fiat. “Marchionne insulta ogni giorno il Paese”, attacca la leader della Cgil. “Cerchiamo di cambiare l’Italia”, replica l’amministratore delegato del Lingotto. Landini incalza: “No alla firma tecnica, bisogna far saltare l’accordo”. Il comitato del «sì» si divide sulla data del referendum del 13 e 14 gennaio. Chiamparino invita a votare l’intesa. Bersani: “l’ad parla troppo”». Sempre in prima il commento di Marco Revelli «La costituente Fiat», dove si legge: «In città si stanno moltiplicando i negozi con la vistosa insegna gialla “Compro oro”. Erano pressoché sconosciuti fino a un paio di anni fa, ora crescono come funghi: appena un paio in centro, gli altri – decine – nelle ex barriere operaie, Borgo San Paolo, Barriera di Milano, Mirafiori sud… Acquistano tutto, anche le protesi dentarie. D’altra parte Torino ha fatto segnare nel 2010 il non invidiabile primato nella crescita dei pignoramenti di alloggi (…) È su questa Torino, su questo tessuto sociale allo stremo, che ha calato la scure del suo Diktat Sergio Marchionne, dall’alto del suo ponte di comando globale e dei suoi quattro milioni e mezzo di euro di stipendio annuo, quattrocentotrentacinque piani più sopra rispetto al reddito annuo di ognuno di quegli uomini e quelle donne che a Mirafiori – nel luogo in cui sono inchiodati per la vita o per la morte – dovranno domani votare se “arrendersi o perire” (…)». E prosegue: «(…) Ora è proprio in questo divario, in questa asimmetria assoluta che nella chiacchiera superficiale, politica e giornalistica, viene solitamente invocata per sostenere la necessità di accettare l’Accordo, la natura scandalosa dell’evento. Il fattore che rende quell’accettazione inaccettabile (…)» e conclude: «Se dovessimo accreditare l’idea della globalizzazione che da quel “fatto compiuto” si manifesta – se dovessimo davvero attribuire a quel sistema impersonale di vincoli carattere d’inderogabilità e alle sue ricadute sui territori natura di nuova “costituzione materiale” – allora dovremmo rivedere tutti i nostri concetti portanti: di cittadinanza, di democrazia, di legittimazione e di diritto. (…) Oltre, davvero oltre, la modernità che abbiamo conosciuto e che non era fatta di asservimento e subalternità (come vorrebbero i nostri “modernizzatori” tardivi), ma di conflitto e di diritti faticosamente contesi». Sempre al referendum Fiat è dedicata anche la vignetta di Vauro che mostra un Marchionne versione indigeno con tanto di gonnellino di foglie, maglioncino e osso tra i capelli e un operaio legato al palo. Il dialogo vede Marchionne chiedere: «Accordo o Bunga – bunga?» e alla risposta «Accordo, accordo» replica «Ok, ma prima un po’ di Bunga- bunga!».

Su ITALIA OGGI al referendum è dedicata pagina 36. “Fiat, Camusso a fianco di Fiom” il titolo che apre le tre colonne dedicate. «La battaglia della Fiom per la difesa dei diritti dei lavoratori e del sindacato in Fiat ha il pieno sostegno della Cgil. Ma se al referendum vinceranno i sì, le tute blu dovranno interrogarsi su cosa fare il giorno dopo per continuare a rappresentare i propri iscritti e a difendere i diritti e la libertà dei lavoratori. Lo ha detto il segretario generale della Cgil Susanna Camusso, nella relazione introduttiva alla seconda assemblea delle camere del lavoro». Dunque sostegno al no ma realismo. Il si è una possibilità concreta e se si verificasse ci vorrebbe una strategia. «Pensiamo che il tema su cui interrogarci è come evitiamo il giorno dopo le conseguenze di quel accordo. Il cuore della contraddizione sta nei processi produttivi e se non si riparte da lì si resta fuori non si ricostruiscono le condizioni per ripartire» sottolinea nel suo intervento Camusso. «Poi l’attacco all’a.d. del Lingotto, Sergio Marchionne che, secondo Camusso, “insulta ogni giorno l’Italia e questo accade perché c’è un governo che non svolge il proprio lavoro e che tifa per la riduzione dei diritti del lavoro”». Di spalla il lungo box “I contratti in Europa” che riporta le condizioni contrattuali dei lavoratori di tutte le principali case automobilistiche. Ci sono oltre a Fiat: Chrysler, Toyota, Volkswagen e Psa Peugeot Citroen. In apertura invece (a pagina 3) una vignetta di Claudio Cadel ritrae Marchionne intento a suonare un pianoforte. Il titolo è “Piano Fiat”. L’ad suonando commenta «La Fiom è una nota stonata!».

“Camusso-Marchionne: botta e risposta sulla Fiat” è il titolo de IL SOLE 24 ORE in prima, che rimanda a un servizio a pagina 5 sul referendum, che apre con le dichiarazioni della numero uno della Cgil: «Il piano Fabbrica Italia è più conosciuto in Germania che da noi» e il fatto che questa impressione sottende: «Se la Fiat può affermare di avere un piano e tenerlo nascosto è anche perché c’è un governo che non fa il suo lavoro  e non ha il coraggio di vedere che quando l’ad della Fiat insulta ogni giorno il nostro Paese e le sue possibilità non offende solo i cittadini e i lavoratori ma dice anche delle qualità del governare e delle risposte che vengono date». IL SOLE mette in evidenza che, dopo la replica di Marchionne, la reazione del segretario Cisl Bonanni tira ancora in ballo il governo: «Farebbe bene a stare più zitto, però farebbero bene molti della classe dirigente a raccontare fino in fondo cosa accade in Italia, che da cinque anni non ha investimenti e senza investimenti non c’è lavoro». La pagina del IL SOLE è composta oltre che dal pezzo di apertura sul botta-risposta da una spalla sull’approdo Chrysler a Wall Street, da un articolo sulla proposta della Cgil in tema di rappresentanza e a piede da un affondo sul “fenomeno Lega” tra gli operai di Mirafiori. Oltreoceano, Chrysler accelera sull’obiettivo del ritorno a Wall Street e ieri Marchionne ha confermato che l’azienda ha conferito a Goldman Sachs un mandato per assisterla sia nella quotazione che nei negoziati per il rifinanziamento del debito. Intanto, scrive IL SOLE, «piazza affari continua a seguire le mosse americane con l’attenzione del tifoso: ieri Fiat ha guadagnato un altro 3,25% a 7,795 euro. Fiat Industrial ha fatto anche meglio con un progresso del 5,39% a quota 10,16 euro». Il pezzo a piede di pagina descrive l’ascesa della Lega a Torino nelle ultime elezioni (dal 2,47% alle comunali del 2006 al 10,12% alle regionali del 2010). «Grazie a questa sinistra piena di dubbi su cosa fare al referendum, ormai molti guardano a noi che ci siamo schierati per il sì» dice Roberto Zenga, fondatore della sezione che fa da riferimento per Mirafiori. Ma nelle dichiarazioni ufficiali il partito di Bossi, scrive IL SOLE, ha continuato a tenere un profilo basso in tutta la vicenda Fiat.

“Duellano i big di Fiat e Cgil”. Camusso incalza pure Fiom” titola AVVENIRE in prima pagina. I servizi di approfondimento a pagina 6 dove Nicola Pini racconta del «botta e risposta transatlantico che simboleggia la distanza tra i due litiganti».  Accusato di offendere il Paese, Marchionne replica dal Salone dell’auto di Detroit «che non si può confondere il cambiamento con un insulto all’Italia: se introdurre un “nuovo mdello di lavoro” significa insultare – dice – me ne assumo le responsabilità. Ma non lo è. E sul voto in fabbrica il top manager della Fiat sfida il fronte del no: «Chi perde, accetti la sconfitta…. Io non ce l’ho né con la Camusso, né con la Fiom, né con la CGIL e nemmeno con Landini. Hanno dei punti di vista che sono completamente diversi dai nostri – ha affermato Marchionne –  e che non riflettono quello che vediamo noi a livello internazionale». Sulla vertenza, dopo un’ipotesi (rientrata) di slittamento del voto, la Camusso ha bocciato l’impostazione Fiom dicendo: «Dobbiamo stare dentro le fabbriche per costruire tutele e nuove prospettive, mentre se al referendum vinceranno i sì, come conseguenza ci sarà l’esclusione della Fiom dalle rappresentanze». Intanto a Mirafiori cresce l’attesa per il voto e i lavoratori divisi chiedono di non essere strumentalizzati. L’articolo di Giovanni Straniero intitolato “È drammatico dover scegliere” riporta le dichiarazioni di molti operai che denunciano il brutto clima nei reparti.

“Duello Camusso-Marchionne” è il titolo del giornale di casa Fiat, LA STAMPA, in prima pagina. I servizi sono a pagina 2-3, con da una parte l’affondo della segretaria della Cgil, dall’altra la rezione dell’ad di Fiat, che non indietreggia e «ripensa a quanto ha detto il giorno prima, alla frase sul festeggiare a Detroit che tanto rumore ha fatto in patria. “Qui in America c’è da festeggiare, perché un’industria si è rimessa in piedi un pezzo alla volta e si è rimboccata le maniche. Perché non riusciamo ad accettare la stessa sfida in Italia?”». Sul tema la rubrica della Jena “Sono molto contento di non essere  un operaio”. 

E inoltre sui giornali di oggi:

HAITI
IL MANIFESTO – Un richiamo in prima pagina, dove inizia l’articolo di Maurizio Matteuzzi «Uno scandalo lungo un anno», per il primo anniversario del terremoto di Haiti e un’intera pagina (la 7) per raccontare la vicenda dell’isola caraibica che porta come titolo di apertura «Ong e Dio a Haiti». L’articolo principale è una sintesi del reportage di Christophe Wargny per Le Monde Diplomatique. Mentre nell’articolo di Matteuzzi si legge: «Haiti un anno dopo è come e peggio di Haiti un anno fa. Molto peggio. Agli effetti spaventosi del terremoto del 12 dicembre 2010 – fra 220 e 250 mila morti – si sommano quelli del colera (…) e quelli di una situazione politica confusa e insostenibile (…) Haiti vive la sua maledizione senza fine. Una maledizione che però non ha origini divine ma umane. Il paese più povero dell’emisfero occidentale, il paese più saccheggiato, più spolpato, più umiliato (…). Conclude: «Anche adesso, dopo il terremoto, mentre da Cuba venivano medici e infermieri, da Washington è arrivato un corpo di spedizione militare di più di 30 mila soldati, a rivaleggiare con i caschi blu brasiliani dell’Onu, percepiti non come missione di stabilizzazione ma di occupazione. I risultati si vedono. La disperata situazione di Haiti non è dovuta a una maledizione divina ma a un fenomeno storico che va sotto il nome di colonialismo. Un fenomeno che nonostante la faccia simpatica di Clinton e di Obama non è ancora roba del passato. E quando all’orizzonte sorge qualche pericolo o qualche “intruso”, è sempre pronto il golpe (come fu in Honduras nel 2010). Quella di Haiti, un anno dopo, non è una maledizione divina. È uno scandalo. Tutto nostro».

CRISTANOFOBIA
AVVENIRE – Apre sul tema dell’intolleranza religiosa in Africa dove continua la catena di sangue. Nel sud dell’Egitto torna la paura per una sparatoria su un treno e in Nigeria una nuova strage di 13 persone in un villaggio. L’arcivescovo Kaigama parla di “Sospetti sul terrorismo internazionale”. 

FINI
LA REPUBBLICA – Il presidente della Camera rilascia una intervista in cui ammette che Berlusconi ha la fiducia, esplicita che non conviene a nessuno andare al voto e rilancia l’idea del patto di  salvezza nazionale (necessario anche sul piano economico). «In campagna elettorale non si fanno le riforme» che invece sono molto urgenti. Quanto all’asse con Casini è fortissimo: se si andasse al voto, ci presenteremmo insieme…

CROCE ROSSA
LA STAMPA – “Scelli condannato «Danneggiò la Croce Rossa»”: «Oggi l’epopea di Maurizio Scelli, che tra il 2003 e il 2005 aveva occupato le cronache da commissario straordinario della Croce Rossa con imprese da superman del berlusconismo impegnato nei fronti più caldi, liberatore di prigionieri italiani in Iraq (ricordate le due Simone?) restituiti a reti unificate alle madri in lacrime, conosce un epilogo inglorioso. La Corte dei conti, sezione giurisdizionale del Lazio, l’ha condannato in primo grado a restituire 900 mila euro, la misura del “danno erariale” causato alla Croce Rossa che si vantava di aver risanato, “in relazione alle irregolarità connesse all’acquisizione di servizi e forniture informatiche”. Scelli è stato sanzionato insieme con due funzionari della Croce Rossa (danno complessivo 3 milioni di euro) per una serie di contratti per servizi informatici (dalla posta elettronica alla gestione management, dal web hosting all’assistenza tramite call center), sottoscritti a dispetto dell’opposizione dei revisori dei conti, che avevano segnalato la mancanza di soldi nel bilancio. Tanto che nel 2007, i successori di Scelli furono costretti ad accordarsi con le ditte, pagando una penale per cancellare quei contratti, rinunciando ai servizi informatici. La vicenda, archiviata dal tribunale di Roma per gli aspetti penali, viene considerata dalla Corte dei conti una forma di sperpero di denaro pubblico: “forniture e servizi illegittimamente acquisiti e non utilizzati”».

TRUFFE
IL GIORNALE – “Manette alla onlus dei falsi permessi di soggiorno”. Siamo a pagina 37, l’associazione “Pinoy club” di via Marcona doveva fornire assistenza agli extracomunitari giunti in Italia. In realtà vendeva i documenti per metterli in regola, facendosi pagare tra i 1.500 e i 7mila euro. Sei arrestati.

ALLARME CIBO
AVVENIRE – Tutta la pagina 7 è dedicata all’allarme per la carne alla diossina in Europa dopo la scoperta di 330 allevamenti di maiale contaminati in Germania. Coldiretti avverte che «l’Italia è un forte importatore di carne di maiale dalla Germania soprattutto destinata alla produzione di prosciutti». Si tratta di circa 13 milioni di pezzi all’anno. Il pericolo arriva dai prodotti non adeguatamente controllati, senza marchi affidabili. Per questo Coldiretti raccomanda di rivolgersi direttamente agli allevatori o scegliere prodotti Dop o dei Consorzi di tutela.  

MEDIO ORIENTE
IL MANIFESTO – «Israele vuole fare il pieno» è questo il titolo del richiamo alla pagina 9 dedicata al fatto che Israele vuole sfruttare i giacimenti di gas e petrolio del Mediterraneo orientale che si trovano nelle acque israeliane, libanesi e palestinesi. L’articolo di apertura a pagina 9 è intitolato «Assedio israeliano al Bacino di Levante», mentre il sommario spiega: «Nella parte orientale del Mediterraneo ci sono enormi giacimenti di gas e petrolio. Secondo le convenzioni Onu, lo Stato ebraico ne può sfruttare soltanto una parte eppure già minaccia di usare la forza per prenderseli tutti. Libanesi e palestinesi non ci stanno: un contenzioso che rischia di sfociare in guerra». Mentre nell’intervista a George Corm, economista e storico libanese di Michele Giorgio si legge che «Cresce giorno dopo giorno l’intensità dello scontro diplomatico tra Libano e Israele sul controllo delle riserve di gas nel Mediterraneo orientale. Due giorni fa il ministro degli esteri libanese Ali Shami ha avvertito che nessuna compagnia internazionale sarà autorizzata a operare nelle acque davanti alle coste dei due paesi (formalmente in stato di guerra) sino a quando non verranno delimitate le rispettive acque territoriali (…)», Corm osserva: «Fare una guerra per il controllo di questo gas sarebbe folle, ma l’esperienza ci insegna che quando Israele vuole andare in guerra, non ha difficoltà a trovare o a creare i pretesti e le motivazioni. Tuttavia non credo che questa disputa ci farà precipitare nel baratro di un nuovo conflitto armato anche se, in tutta onestà, non mi sento di poterlo escludere del tutto».


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