Volontariato

Felici di essere schiaviCosì vuole l’Inquisitore

Alla radice della guerra e della violenza c'è l'io alienato e preda del potere. In nome della scienza e del progresso(e della pancia piena) i nuovi padroni fingono un'utopia che sembra acquietare i

di Redazione

H o voluto presentare due pezzi, perché uno sembra l’integratore dell’altro; in uno l’atrocità umana sugli uomini, nell’altro l’impossibilità in guerra di controllare gli uomini ed evitare le violenze. Con la tecnologia moderna e i bombardamenti sulle città dove vivono uomini inermi, l’orrore della guerra è reso ancora più disumano e privo di “ragioni”. Giacché, come scrive l’Ariosto nel IX dell’Orlando Furioso, spregiando «colubrine e arcobugi» e «ogni machina infernal», «per te la militar gloria è distrutta,/ per te il mestier de l’arme è senza onore;/ per te è il valore e la virtù ridutta…». Dostoevskij si commenta da sé. Ma, come già vediamo in Tolstoi, non si tratta solo di Russia e di Turchia. Sembra che l’uomo abbia un genio speciale per queste cose. I lager tedeschi, gli eccidi inglesi in India e in altre colonie, gli stermini di San Sabba e Trieste, le fosse di Pisino, del Kosovo, i gulag sovietici – milioni di uomini torturati e massacrati – i roghi del Klu-Klux-Klan negli Stati Uniti, e Hiroshima e Nagasaki bruciati dalle atomiche non sono da meno dei genocidi spagnoli in Sudamerica o dell’Inquisizione in Europa. Ideologie, religioni, nazionalismi e odi di razza servono comunque da alibi al demonismo subumano. Dice più avanti Dostoevskij: «In ogni uomo, non c’è dubbio, si cela una bestia: ma la bestia dell’irascibilità, la bestia dell’infocamento carnale ai gridi della vittima torturata, la bestia dell’incontinenza senza freni, la bestia dei morbi contratti nella dissolutezza, podagra, maldifegato e via dicendo». Eppure questa gente sembra civile, la vediamo negli uffici, negli scanni e negli studi professionali, nelle industrie, nei corridoi della burocrazia di Stato, persino nelle scuole e, troppi, negli ospedali, nelle prigioni, nelle redazioni di certi giornali. Tutto sembra normale, per bene. Ma ecco che, all’improvviso, l’amor di patria o di fascismo o di comunismo o di Islam o di cristianesimo o di chissà cos’altro di altamente idealistico, trasforma ogni cittadino che cammina accanto a noi in una belva feroce, muta un’anima quieta o rassegnata o mediocre in un abisso infernale. C’è da aver paura a guardare in faccia il nostro prossimo. Naturalmente sappiamo come avviene tutto questo. Ce l’hanno ripetuto Cristo, il Budda, e i santi delle Chiese e i poeti e gli artisti e l’esperienza della storia. Ma se c’è una sentenza che mente è quella che dice “la storia magistra vitae”. Sembra che l’uomo, sovrastato e annebbiato dalle passioni, non voglia né ascoltare né riflettere sull’esperienza dei padri. Anzi, spesso le esperienze dei padri vengono usate per giustificare nuovi crimini e nuove torture: vedi il nazismo e il sovietismo in chiave di avallo alla falsa democrazia e alle vergogne del capitale. Scrive Marco Guzzi in un bel saggio sulla “Coscienza spirituale come rivoluzione del nuovo secolo”: «Comprendiamo che è il nostro alienato presumerci un Io in proprio a tormentarsi e a trasformare la nostra angoscia nell’odio implacabile contro gli altri. L’Ego, infatti, non può che parlare il linguaggio della guerra, essendo la separazione (separazione da Dio, tra gli uomini, dell’uomo da se stesso, dalla Regione universale – nota mia) lo stato delle cose in cui sussiste e da cui trae alimento». Siamo cioè nel cuore del primo male, del male dell’origine, quando Adamo si gloria della conoscenza del bene e del male, s’insuperbisce e si contrappone alla sapienza di Dio. Non c’è confine al degrado dell’uomo che si allontana da Dio e proietta fuori di sé, con la brama, la propria immagine effimera. Si vuole tutto e si crede di potere tutto. Davanti all’uomo non sono più uomini ma oggetti del desiderio. E il desiderio, come scrive Dostoevskij, abbrutito dalla noia e dall’ignoranza si trasforma in foia e violenza. Egli, vero profeta dell’epoca, preconizza ciò che vediamo coi nostri occhi attorno a noi: «L’inquisitore vede che è necessario andare nel senso indicato dal tremendo spirito della morte e della distruzione, e quindi accettare la menzogna e l’inganno, e condurre gli uomini scientemente alla morte e all’annientamento, e di pari passo ingannarli per tutto il cammino, in modo che essi non si accorgano verso dove vengono condotti e, perlomeno, mente sono in cammino, questi miseri ciechi si considerino felici» . Ed è del nostro tempo questa cecità, come aveva ben illustrato Brüghel, condotta da altri ciechi. L’Ego alienato è appunto nascosto in noi e tra noi. In nome della scienza e del progresso – e della pancia piena – i poteri fingono un’utopia che sembra acquietare gli uomini, ma li rende malinconici e disperati. Dilagano la droga, i rumori assordanti, l’idolatria del coito, il cancro, s’inquina l’aria, si avvelenano le acque dei fiumi, i mari, i cibi; la natura tutta viene travolta da questa arroganza del “potere umano” – le foreste dell’Amazzonia distrutte, gli animali asiatici e africani sterminati, il buco nell’ozono che dilaga. Il sogno dell’Inquisitore, il sogno di un potere che, come narra Dostoevskij, inizia con l’incarcerazione del Cristo, si sta inverando. Ma ecco che produce gli orrori di sempre: la guerra, la dissoluzione della natura, la morte, la tortura. Mentre l’innocenza viene avvilita e la cultura ignorata nella società, mentre si danno divertimenti e mangime ai popoli, gli uomini si chiudono sempre più nella disperazione, nell’angoscia senza significato, i figli di Caino preparano nuovamente i popoli ad «essere raminghi e fuggiaschi per la terra» e alimentano le nuove catastrofi. Il passo verso l’assassinio e lo scempio civile è corto, giacché «la bufera infernal che mai non resta» ha già ricevuto il consenso delle masse. Non è solo la guerra il male. Essa è soltanto la conseguenza di una condizione umana. In realtà la guerra continua ogni giorno nelle famiglie, tra gli amici, nei luoghi di lavoro, nella società. La guerra non è che la faccia scoperta della maschera che portiamo ogni giorno, dell’incapacità di riascoltare in noi quei due soli Comandamenti che Cristo suggerisce agli uomini sempre: «Ama il Signore Dio tuo» e «Ama il prossimo tuo come te stesso». È implicito ma bisognerebbe completare con «ama te stesso, oltre il tuo Io». Poiché in realtà l’uomo non ama se stesso. Non lo conosce. Fëdor Dostoevskij Alësa e il diavolo A proposito, mi parlava di recente un bulgaro a Mosca di tutti i misfatti che turchi e circassi compiono comunemente là da loro in Bulgaria, per timore di un’insurrezione di massa degli ortodossi: incendiano, sgozzano, violentano donne e bambini, inchiodano agli arrestati le orecchie contro lo steccato e così li lasciano fino al mattino, e poi al mattino li impiccano, e via di questo passo, che a certe cose non ci può nemmeno pensare. In realtà, si qualifica spesso come ‘efferata’ la crudeltà degli uomini, ma è una cosa straordinariamente ingiusta e offensiva per le fiere: la bestia non può essere mai crudele con l’uomo, così raffinatamente, così artisticamente crudele. La tigre azzanna, sbrana e più di questo non sa fare. Non le passerebbe neanche per la testa di tenere degli uomini, tutta una nottata, inchiodati per le orecchie a uno steccato, seppure avesse la possibilità di agire così. Questi turchi, oltre quel che t’ho detto, tormentano con gran voluttà anche i bambini, cominciando dall’estirparli col pugnale fuor dell’utero materno, e terminando col gettare in aria i lattanti e infilzarli alle baionette sotto gli occhi delle madri. Appunto sotto gli occhi delle madri: qui sta il meglio della voluttà! Ma eccoti una scenetta che mi ha destato un interesse particolare. Immagina un bambinello da latte fra le braccia della madre trepidante, e intorno i turchi che le sono entrati in casa. Costoro ne hanno pensata una fina: fanno vezzi al bambinello, gli ridono perché stia allegro, e ci riescono: il bambino comincia a ridere. In quell’istante, un turco gli punta la pistola a un palmo di distanza dal viso. Il bambino tutto giulivo scoppia nelle sue risatelle, tende i braccini per acchiappar la pistola, e a bruciapelo l’artista gli fa scattare il colpo dritto nel viso, e gli sfracella la testolina… Arte vera e propria, non è vero? A proposito, si dice che ai turchi piacciono assai i dolciumi. – Fratello mio a che miri con tutto questo? domandò Alësa. – Io credo che il diavolo non esiste, e quindi è stato creato dall’uomo, questi lo ha creato a sua immagine e somiglianza. – Né più né meno, allora, che Dio. – Ma sai che hai un modo meraviglioso di rigirare le parolette, come dice Polonio nell’Amleto? – scoppiò a ridere Ivan. – Hai colto al balzo la mia parola: benissimo, ne son contento. Buono davvero il tuo Dio, se ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza. Tu mi domandavi poco fa a che cosa io mirassi: io, vedi, sono un passionato e collezionista di certi fatterelli… (…)… Vanto anche dei pezzi nazionali, e persino superiori a quelli turcheschi. Sai, il nostro forte sono le percosse, sono le verghe e la frusta, e questo è un tratto nazionale: da noi le orecchie inchiodate alla parete sono inconcepibili, noi siamo pur sempre europei; ma le verghe, ma la frusta, questo è proprio qualcosa di nostro nulla ce lo può strappare. All’estero, adesso sembra che le percosse siano del tutto cadute in disuso, sia che i costumi si siano ingentiliti, o piuttosto siano state fatte delle leggi per cui l’uomo non ardisce più battere un altr’uomo: in compenso, però, se ne sono rifatti sotto un’altra forma, con qualcosa d’altrettanto nazionale, che da noi non si direbbe possibile, sebbene anche da noi cominci ad attecchire, specie dopo il movimento religioso che s’è determinato nella nostra società più elevata. Posseggo una graziosissima brochure, tradotta dal francese, sulla esecuzione capitale che a Ginevra, assai recentemente fu fatta d’un criminale… da Fëdor Dostoevskij “I fratelli Karamazov” Parte II – Libro V pag. 319 – Edizioni Einaudi Lev Tolstoi Le furie di Mosca Pochi minuti dopo, uno strepito singolare commosse l’aria in alto. Un folto stormo di cornacchie si levò dal Kremlino, e, gracchiando e starnazzando migliaia di ali, girò vorticosamente sulla testa dei Francesi. Nel punto stesso un grido isolato partì dalle mura, e in mezzo al fumo apparve la figura di un uomo in giacca e senza berretto. Puntato il fucile, mirava. Fuoco! ripeté l’ufficiale di artiglieria, e nel medesimo istante una fucilata e due cannonate scoppiarono. Di nuovo le porte furono avvolte dal fumo. Non si udì più altro; nessun movimento dietro le travi. I Francesi si accostarono. Varcata la porta, trovarono giacenti tre feriti e quattro morti. Due altri uomini in giacca fuggirono, rasentando le mura. – Via questa roba! – comandò l’ufficiale, indicando le travi e i cadaveri; e i Francesi, dato ai feriti il colpo di grazia, gettarono i sette corpi di sopra al muro. Che gente fosse quella, nessuno mai seppe. Via questa roba! fu detto loro, e subito furono rimossi i cadaveri e portati via perché non appestassero… (…) Laceri, affamati, spossati, ridotti a un terzo del primo effettivo, i Francesi entrarono in Mosca in buon ordine. Costituivano tuttora un esercito valido e minaccioso. Se non che, questo esercito fu tale finché i soldati non si sparpagliarono per le varie case. Occupate queste, scomparve l’esercito per dar luogo a una strana popolazione, né civile né militare, bensì di predoni. Cinque settimane dopo, quella medesima gente, uscendo da Mosca, non era che una turba: turba di predoni carichi di roba che pareva loro arricchente e necessaria. Lo scopo di ciascuno non era più di combattere, ma di non farsi sfuggire il bottino… (…) Dopo dieci soli minuti dall’insediamento in questo o in quel quartiere di Mosca, dell’esercito invasore non rimase più né un ufficiale né un soldato. Si vedevano alle finestre della case uomini sciammannati, chi in mantellina posta di sghembo, chi in maniche di camicia: ridevano, si rincorrevano per le camere, rovistavano. Altri invadevano cantine e dispense e facevano man bassa; sfondavano porte di rimesse, scuderie; accendevano fuochi in cucina e a maniche rimboccate impastavano, infornavano, cuocevano, schiamazzavano… (…) Ordini su ordini emanavano i capi per impedire alle truppe di sbandarsi, per vietar violenze e ruberie, per avvertire che la sera stessa ci sarebbe stata la convocazione generale. Tutto inutile… Mosca bruciò perché si trovava in tali condizioni da rendere inevitabile l’incendio. da Lev Tolstoi, Guerra e pace vol. III cap. XXVI, pag. 66 e 67 – Editrice Bietti


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