Economia

Federalberghi contro Airbnb: macché sharing economy, sono solo abusivi

L'associazione degli operatori turistici a testa bassa contro il portale degli affitti tra privati, di cui ha censito le strutture: per il presidente Bernabò Bocca «sono attività economiche, gestite in molti casi da persone che amministrano decine di alloggi e ci lavorano tutto l'anno. Però non pagano le tasse e sfruttano il lavoro nero». E invoca l'intervento della magistratura

di Gabriella Meroni

Un attacco a testa bassa contro «il sommerso, l’evasione fiscale e il lavoro nero nel turismo»: a lanciarlo è stata Federalberghi contro il portale Airbnb, sul quale privati affittano camere o interi appartamenti a fini turistici. L’occasione è stata, ieri a Rimini, l’apertura della fiera TTG Incontri, dove il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca ha presentato un monitoraggio che la federazione ha realizzato con l’ausilio della società Incipit Consulting. In base ai dati diffusi, ad agosto 2016 Airbnb poneva in vendita in Italia 222.786 strutture (erano solo 234 nel 2009), di cui 23.889 a Roma e 13.200 a Milano. Una platea sterminata, al crescere della quale però – ha sottolineato Bernabò Bocca – non corrisponde «una significativa variazione del numero di attività ufficialmente autorizzate» (le strutture extralberghiere censite dall'Istat erano 104.918 nel 2009, oggi sono a quota 121.984). Ergo, si tratta di strutture abusive.

«Il sommerso nel turismo prosegue indisturbato la propria corsa generando una minor sicurezza sociale e il dilagare indiscriminato dell'evasione fiscale e del lavoro in nero» ha detto ancora il presidente di Federalberghi. «Il Piano strategico del turismo afferma a chiare lettere la necessità di definire un quadro normativo e regolamentare che contrasti efficacemente il fenomeno dell'abusivismo. Confidiamo che si passi presto dalle parole ai fatti».

C'è un problema di evasione fiscale e di concorrenza sleale, che danneggia le imprese turistiche tradizionali e coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza

Secondo l’organizzazione del turismo “ufficiale”, Airbnb non è il campione della sharing economy o della condivisione, ma un normale portale turistico che però non è soggetto ai limiti e alla tassazione del settore. «Non si tratta di forme integrative del reddito», è il primo punto contestato da Federalberghi. «Sono attività economiche a tutti gli effetti. Oltre la metà (57,7%) degli annunci sono pubblicati da persone che amministrano più alloggi, con i casi limite di insegne di comodo quali Bettina che gestisce 366 alloggi, Daniel (293) e Simona (260)». Non si tratterebbe, poi, di attività occasionali: «La maggior parte (il 79,3%) degli annunci si riferisce ad alloggi disponibili per oltre sei mesi l’anno. E non si condivide neppure l’esperienza con il titolare. La maggior parte degli annunci (70,2%) si riferisce all’affitto di interi appartamenti in cui non abita nessuno». Si pone dunque «un problema di evasione fiscale e di concorrenza sleale, che danneggia tanto le imprese turistiche tradizionali quanto coloro che gestiscono in modo corretto le nuove forme di accoglienza». La conclusione è perentoria: «Abbiamo censito le strutture parallele che vendono camere in rete sui principali portali», ha dichiarato Bocca, «e mettiamo questo elenco a disposizione delle amministrazioni nazionali e territoriali, nonché delle autorità investigative competenti, che desiderano fare luce sul fenomeno».

Nella foto: un appartamento in affitto con Airbnb vicino a Plaza Mayor, a Madrid

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