Salute
Farmaci anti Aids I saldi avvelenati delle multinazionali
In vista del processo di Pretoria, tre grandi aziende hanno abbassato i prezzi dei farmaci per l'Hiv nei Paesi poveri. Svelando quanto, davvero, spendono per la nostra salute
Finalmente sapremo quanto spendono le aziende farmaceutiche per inventare e lanciare sul mercato un farmaco anti Hiv. Ma il 18 aprile, quando le 39 multinazionali che cercano di bloccare il “Medecines Act” di Nelson Mandela torneranno davanti al giudice di Pretoria per consegnare i loro bilanci, ad attendere l’esito del processo purtroppo ci saranno quindicimila sieropositivi in meno.
L’Aids se li è portati via nelle ultime tre settimane. Mentre i giganti del farmaco radunavano i documenti necessari a spiegare quanto spendono per combattere l’Hiv. Al netto di marketing, pubblicità e spese di lobby, ovviamente. Ossia rendicontando per bene le spese di ricerca che, secondo GlaxoSmithKline, Bayer e compagne, tanto incidono sul prezzo dei farmaci. O meglio, incidevano fino al 7 marzo. Quando dagli uffici vendite delle multinazionali coinvolte nel processo è partita una corsa al ribasso senza precedenti dei prezzi nei Paesi poveri. La prima ad annunciare i saldi è stata la Merck & Co, che ha ridotto il prezzo dei suoi farmaci anti Aids Crixivan e Stocrin, venduti in America per 6 mila dollari l’anno, a 600 e 500 dollari l’anno per i malati dei Paesi in via di sviluppo. L’hanno seguita a ruota la Bristol-Myers Squibb, che il 14 marzo ha abbassato il costo dei suoi farmaci Didanosina e Stavudina da tre dollari a un dollaro al giorno, e la Abbot Laboratories che una settimana più tardi ha annunciato di non voler più guadagnare una lira dalla vendita dei suoi farmaci nel Sud del mondo.
Una svendita inattesa che in queste tre settimane ha fatto gioire molti malati ma, allo stesso tempo, sollevato qualche sospetto. E i vent’anni di patente su un farmaco necessari a recuperare le spese sostenute per produrlo, e i miliardi investiti in ricerca? Possibile che le multinazionali abbiano deciso all’improvviso di rinunciarci per garantire anche ai malati poveri una cura?
Scorrendo i bilanci delle tre aziende sembra, piuttosto, che gli sconti applicati sui farmaci non siano stati un grande sacrificio. Prendiamo, per esempio, la Stavudina e la Didanosina di Bristol-Myers Squibb: per inventarle in realtà la compagnia non ha speso una lira, perché si è limitata a comprarne la licenza di vendita dall’Università di Yale e dall’Istituto di Salute Americano che si sono accollate tutti i costi della ricerca. E non è tutto, denuncia il Consumer Project Technology, l’ente non profit che Ralph Nader ha fondato nel 1995 per monitorare le politiche di prezzo delle aziende farmaceutiche: «Solo tra il 1997 e il 1999, con la Stavudina e la Didanosina, la Bristol-Myers Squibb ha guadagnato più di un miliardo di dollari, cosa sono di fronte a questa cifra i due dollari di sconto applicati nei Paesi in via di sviluppo?».
Qualcosa, ma non troppo. Proprio come le riduzioni dei prezzi annunciate la settimana scorsa dalla GlaxoSmithKline che al Sudafrica ha offerto una triterapia a base di Combivir Azt e 3TC a 59 dollari al mese per persona annunciando di non potersi spingere oltre perché deve comunque tenere conto degli investimenti fatti per produrle. Investimenti che la charity inglese Oxfam ha ricostruito concentrandosi sul Combivir: sul mercato dall’ottobre del 1997, fino ad oggi ha venduto per oltre un miliardo e mezzo di dollari. Se dunque, come dichiara l’azienda, portarlo sul mercato è costato 500 milioni di dollari, la spesa sostenuta per produrlo è stata recuperata in molto meno di vent’anni. Della stessa idea è Medici Senza Frontiere, che per prima ha sensibilizzato l’opinione pubblica sulla vera posta in gioco nel processo di Pretoria. Spiega Nicoletta Dentico, responsabile della sua campagna per l’accesso ai farmaci, «Se le multinazionali avessero davvero voluto garantire una cura ai Paesi poveri, si sarebbero ritirate dal processo invece che limitarsi a uno sconto. Quest’improvvisa apertura a noi sembra piuttosto un modo per non farsi rubare il mercato dalle aziende dei Paesi poveri come l’indiana Cipla Limited che oggi offre un cocktail di tre farmaci anti Aids a un dollaro al giorno. E dimostra una tesi che abbiamo sempre sostenuto: ad alzare i prezzi dei farmaci è il marketing più che la ricerca e lo sviluppo. La Glaxo, per esempio, spende in media 1,3 miliardi di sterline e impiega 9300 dipendenti per la ricerca e lo sviluppo di un farmaco. Ma i suoi profitti indicano che i prezzi sono fissati a livelli molto superiori di quelli necessari a coprire questi investimenti». Alle perplessità sull’operato delle multinazionali farmaceutiche espressa nelle ultime settimane da numerose associazioni non profit africane e occidentali, risponde però il presidente della Farmindustria Ivan Cavicchi: «Agli africani malati di Aids le ideologie anti industriali non servono: bisogna continuare a investire sui vaccini anti Hiv e portare nei Paesi poveri il know how per insegnargli a usare, e anche a produrre da soli, le medicine».
Ma le aziende farmaceutiche e l’Aids, che ha continuato a infettare una media di 12 mila africani ogni sette giorni, non sono state le uniche a muoversi in queste settimane. Il 15 marzo il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che invita i governi dei Paesi membri ad applicare sui farmaci anti Aids prezzi abbordabili per i Paesi in via di sviluppo. E pochi giorni dopo, dal governo brasiliano che dal 1995 cura gratuitamente 95 mila cittadini sieropositivi producendo copie dei farmaci di cui hanno bisogno, è arrivata la prima proposta concreta per risolvere il problema dell’accesso alle terapie nei Paesi poveri: usare l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, che misura il progresso sociale oltre che economico delle nazioni, per stilare un tariffario dei prezzi nel Sud. La suddivisione dei costi? Farmaci a prezzo pieno per le nazioni ricche che in questo modo sosterrebbero la ricerca anche per quelle più povere, e sconti a chi non raggiunge il sesto grado di sviluppo nell’indice dell’Onu. «Un’ottima proposta», commentano a Medici Senza Frontiere, che invece non è convinta della strategia per l’accesso ai farmaci lanciata il 6 aprile da un gruppo di professori di Harvard: creare un fondo per la cura e la prevenzione dell’Aids gestito dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Mondiale della Salute con cui curare tre milioni di sieropositivi africani da qui a cinque anni. Costo dell’operazione, 6,63 miliardi di dollari l’anno.
Troppi per combattere solo l’Aids in un Paese dove si muore anche di malaria e di fame ? Troppi perché i Paesi ricchi vogliano assumersi questa spesa sapendo che l’India, la Thailandia, l’Egitto e il Brasile sono già in grado di curare l’Aids spendendo un dollaro al giorno? Forse sì. Ma una cosa è certa: in queste tre settimane, mentre le multinazionali affilavano unghie e bilanci per difendere i loro brevetti sui farmaci, i cittadini dei Paesi ricchi si sono accorti che la battaglia per l’accesso ai farmaci non riguarda solo i 25 milioni di sieropositivi africani o gli 11 milioni di persone che nel mondo rischiano di morire per un’ infezione: nel 2000 l’America ha speso 106 miliardi di dollari in farmaci, e per ogni dollaro speso in ricerca indotto dalla protezione del brevetto i consumatori hanno pagato più di tre dollari e mezzo all’industria farmaceutica. Senza i brevetti, avrebbero risparmiato 79 miliardi di dollari che potevano essere destinati a scoprire nuovi farmaci.
Il processo alla legge di Nelson Mandela
Nel 1997 il presidente del Sudafrica Nelson Mandela approva il Medecines Act: una legge che, per ragioni di salute pubblica e periodi limitati di tempo, permette al suo Paese di produrre farmaci generici senza pagare i diritti di brevetto e di importarli dai Paesi poveri che li vendono a prezzi più bassi di quelli imposti dalle multinazionali occidentali.
Nel 1998 un cartello di 39 grandi multinazionali che vendono farmaci in Sudafrica blocca l’attuazione del Medecines Act sostenendo che viola i diritti sui brevetti del farmaco. La decisione ha effetti disastrosi: negli ultimi tre anni 400 mila sudafricani malati di Aids che avrebbero potuto essere salvati sono morti per mancanza di medicine.
Il 5 marzo 2001 il processo contro il Medecines Act di Mandela arriva di fronte alla Corte di Pretoria. Le 39 multinazionali cercano di bloccarlo. Il 7 marzo la Corte frena la loro euforia: accogliendo una richiesta della società civile africana, invita le 39 aziende a provare perché i loro farmaci anti Aids costano così tanto. Le multinazionali chiedono quattro mesi di tempo per raccogliere le prove, ma il giudice concede loro solo tre settimane aggiornando il processo al 18 aprile.
Il 18 aprile riprende iil processo. E questa volta la posta in gioco è chiara: a Pretoria si decide se vale più un brevetto farmaceutico o la vita umana.
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