Ha origini lontane il braccio di ferro tra farmacisti e istituzioni, culminato nella recente minaccia di sciopero, poi fortunatamente rientrata, da parte dei primi.
«Tutto nasce nel 2005, al culmine di una serie di polemiche sui prezzi dei farmaci innescata sin dal 2003 proprio dal Movimento Consumatori», racconta Rossella Miracapillo, responsabile dell’Osservatorio farmaci del Movimento Consumatori. «Dimostrammo all’epoca come i farmaci in Italia avessero i prezzi in assoluto più alti che nel resto d’Europa. La ragione? La possibilità, ottenuta alcuni anni prima da Farmindustria, di gestire liberamente il prezzo dei farmaci in cambio di alcuni tagli sui farmaci a carico del Servizio sanitario nazionale. Ciò portò, nell’arco di pochi anni, alla lievitazione dei prezzi». È stato Pierluigi Bersani a intervenire, con il nuovo governo. Il primo intervento porta i farmaci da banco fuori dalle farmacie, con l’obbligo della presenza di un farmacista laureato. Così nell’arco di due anni si aprono in tutta Italia 1.664 esercizi di vicinato o parafarmacie, cui si aggiungono i 292 corner della grande distribuzione. «Gli sconti sui farmaci di automedicazione messi in atto in questi negozi specializzati», spiega Miracapillo, «obbligano la maggior parte delle farmacie ad applicare a loro volta degli sconti. Tutto questo sta costringendo anche le aziende a fare politiche di prezzo più accorte.
Dunque il processo di liberalizzazione del settore ha dato, di fatto, i suoi primi frutti».
Nei programmi di Bersani – e negli auspici di molte associazioni di consumatori – si sarebbe dovuto passare alla fase due: portare anche il farmaco di fascia C con obbligo di ricetta medica (quello non rimborsato dal Servizio sanitario nazionale) negli esercizi di vicinato e nei corner dei supermercati.
«È stato avviato un tavolo di concertazione tra il ministro della Sanità, Livia Turco, Federfarma, Fofi, Assofarm», racconta Miracapillo. «Questo ha portato alla produzione di un documento di riordino del settore, ma insieme alla sua presentazione i farmacisti hanno minacciato lo sciopero nazionale, il che avrebbe significato che i cittadini sarebbero stati costretti a pagare direttamente i farmaci per poi chiederne il rimborso successivamente alle Asl».
Lo sciopero, previsto per il 19 novembre e accolto dalle vibrate proteste delle associazioni dei consumatori, è stato poi revocato da Federfarma, dopo che il governo ha aperto un confronto per individuare soluzioni alternative all’articolo 2 del ddl Bersani-ter, che prevede appunto la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C. Federfarma, dal canto suo, ha fatto una serie di proposte, tra cui la rimodulazione flessibile degli orari di vendita degli esercizi, l’apertura di una farmacia ogni 3.800 abitanti (contro i 4mila della legge vigente, ndr) e la possibilità di aprire nuove farmacie nelle stazioni, nei grandi aeroporti e negli ipermercati. Proposte che, secondo l’associazione di categoria dei farmacisti, tengono conto «dell’obiettivo di aumentare la concorrenza, di creare nuove opportunità per i laureati che aspirano ad una propria farmacia, di agevolare l’accesso al farmaco e ai servizi offerti dalle farmacie». Con l’abbassamento del numero dei cittadini per ogni farmacia, in tempi brevi aprirebbero circa 2mila rivendite autorizzate.
Vedremo come andrà a finire. Le posizione, in ogni caso, restano lontane. Da un lato i farmacisti secondo i quali «la vendita di farmaci con obbligo di ricetta negli esercizi commerciali provocherebbe la demolizione del servizio farmaceutico», dall’altro le associazioni dei consumatori, che premono affinché il processo di liberalizzazioni intrapreso con le “lenzuolate” di Bersani vada avanti. Secondo i consumatori, maggiore concorrenza porterebbe a benefiche riduzioni dei prezzi anche per il farmaci di fascia C, come è accaduto per quelli di automedicazione. Non ci sarebbero, poi, rischi per la salute dei cittadini, visto che in tutti i nuovi punti vendita è obbligatoria la presenza di un farmacista laureato.
La partita resta aperta. Con il ministro della Sanità, Livia Turco che, però, ha già preso posizione, dicendosi contraria all’idea dei farmaci di fascia C nei supermercati.
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