Economia

Farmaceutico, urge terapia a base di racconto

I risultati della quarta edizione dell'indagine di Vita Consulting

di Redazione

Solo il 10% delle aziende risponde al questionario.
E lo strumento della rendicontazione sociale è ancora ben poco utilizzato. Altro punto critico: il rapporto con i dipendenti. Raramente considerati stakeholder d’impresa. Eppure è su di loro che si è scaricato il peso della crisi
Pur avendo registrato un abbassamento dei livelli occupazionali nel 2008 (-3,5% rispetto all’anno precedente), il settore farmaceutico in Italia coinvolge circa 70mila addetti, per quasi 4 miliardi di euro di spese per il personale. Il dato però non corrisponde ad un rallentamento della crescita del settore che tra il 2007 e il 2008 ha visto comunque aumentare il valore della produzione e che conferma la vitalità delle sue imprese e il ruolo di primo piano a livello europeo e mondiale, secondo i dati forniti da Farmindustria.
La quarta edizione dell’indagine di Vita Consulting sull’impegno sui temi della Corporate social responsibility e il Corporate giving del settore farmaceutico in Italia, riferita anch’essa alla situazione 2008/2009, ha registrato una redemption inferiore alle aspettative scivolando da un picco del 24% del campione estratto dall’elenco delle iscritte a Farmindustria degli scorsi anni al 10% di quest’ultima edizione.
Molti dei risultati ottenuti dall’indagine devono pertanto essere riletti alla luce di questo dato; così la presenza della funzione Csr, che nelle precedenti edizioni risultava esistere intorno al 55% dei casi, oggi balza ad oltre l’80% lasciando intendere che a rispondere al questionario sono state le aziende nelle quali essa è realmente operativa. Si conferma inoltre la scarsa presenza di documenti di rendicontazione sociale ed ambientale nel settore. Infine è interessante notare come le aziende, pur avendo da sempre indicato la presenza di sistemi di gestione ambientale, della qualità, della sicurezza e della privacy, non possano vantare effettive certificazioni internazionali in questo ambito se non in misura molto limitata.
Lo screening degli stakeholder di riferimento invece aumenta considerevolmente (pur pesandolo rispetto al campione ristretto) anche se stupiscono i risultati. Se nella terza edizione le categorie indicate da almeno il 60% del campione erano istituzioni, dipendenti, pazienti/associazioni di pazienti, medici, media e mondo accademico, oggi scompaiono i dipendenti, i medici e il mondo accademico. Per quanto riguarda le azioni di Csr per il futuro lo sguardo è puntato sulla rendicontazione economica, sociale ed ambientale (cfr. la tabella), ad oggi emerge l’impegno in ambito ambientale e di valorizzazione del personale.
Emergono pertanto due fattori critici, una scarsa propensione a rendicontare il proprio operato, registrando un ritardo su molti altri settori, ed un interesse nei confronti dei dipendenti dissonante: non sono considerati stakeholder d’impresa ma sono stati gli unici protagonisti della crisi e l’azione di Csr più frequentemente indicata li riguarda direttamente.
Va meglio per il Corporate giving: il 100% del campione dichiara di fare azioni in questo campo, generalmente promosse e gestite dalla funzione Relazioni esterne o Comunicazione, e passate al vaglio dell’amministratore delegato e del cda. Le motivazioni alla base del Corporate giving non sono sostanzialmente cambiate negli anni, una forte volontà di contribuire allo sviluppo sociale si accompagna ad un preciso interesse per la reputazione aziendale, è secondario l’obiettivo di motivazione del personale. Il finanziamento su progetto rimane la prima scelta mentre cresce la donazione di prodotti e servizi. I beneficiari preferiti sono malati, minori, disabili e anziani. Il budget dedicato, a fronte del restringimento del campione verso le aziende più grandi e con fatturati più alti, si conferma comunque nella fascia tra i 100 e i 500mila euro.


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