Alle organizzazioni che partecipano al bando “Volontariato 2012” viene chiesto di fare rete, di mettersi insieme. Ma come si fa? E, soprattutto, che cosa significa “rete”, parola spesso usata come un Moloch?
«La rete è un orizzonte culturale, una logica di lavoro sociale che aiuta le organizzazioni di volontariato a capire come sta cambiando il sociale intorno a loro e come possono essere più incisive rispetto al tema di cui si occupano», osserva Maurizio Colleoni, consulente dei CSV lombardi. «Fare rete significa trovare un punto di incontro tra soggetti che hanno esperienze, modalità di lavoro, organizzazione, riferimenti culturali, identità giuridiche anche diverse e che possono in questa maniera essere più incisivi». Non va dimenticato però che non è semplice per le organizzazioni di volontariato mettersi insieme, dare vita a una rete, come riconosce anche Colleoni: «Il lavoro di rete è una linea di pensiero importante da tenere presente per il futuro rispetto al riconoscimento di due esigenze che coesistono nel mondo del volontariato: da una parte l’esigenza di salvaguardare la propria originalità, perché molti gruppi nascono attorno ad esempi particolari e grazie a persone ben precise e vanno avanti su questa strada, insomma hanno un’identità che cercano di salvaguardare, ma dall’altro lato c’è anche l’esigenza del territorio di avere delle risposte adeguate, grazie a soggetti che riescano a interrogarsi rispetto alla loro capacità di interfacciarsi in maniera adeguata alle necessità, alle esigenze, ma anche ai processi di cambiamento del territorio stesso». Due esigenze che coesistono perché, come ricorda Colleoni, «non c’è volontariato se non c’è identità dei gruppi, ma nello stesso tempo le persone hanno bisogno di sentire che il loro apporto è utile e che produce un miglioramento e un cambiamento». La spinta a mettersi insieme c’è, ma non è sempre spontanea. Ci sono state esperienze pregresse, come i tavoli tematici dei Piani di zona, che hanno visto crescere la capacità di dialogo tra le diverse organizzazioni come pure alcune normative regionali che hanno spinto in questa direzione. «Sono nati consorzi, che sviluppando sinergie su uno stesso territorio sono stati dei veri e propri incubatori di nuove prassi di intervento», illustra il consulente.
«Il Bando Volontariato 2012 è un’ulteriore spinta verso la logica di rete, che è in fondo l’unica in grado di rispondere alle problematiche complesse che emergono oggi dai territori». Prova a rovesciare il discorso, Colleoni: invece che partire dalle organizzazioni di volontariato, proviamo a considerare come punto di partenza i problemi, i bisogni. «Facciamo l’esempio del mondo della disabiltà. Oggi il bisogno è la costruzione di un progetto di vita, ma nessun servizio, nessun gruppo da solo può dare una risposta a 360 gradi. Servono azioni che richiedono una messa in comune di capacità e progetti complessi perché ciascun soggetto può realizzare solo un’azione parziale, per quanto significativa. E lo stesso discorso può essere fatto per gli anziani». La realtà complessa dei nostri territori, in pratica, spinge a trovare punti di incontro. «Così diventa necessario un linguaggio comune e questo per molte organizzazioni vuol dire crescere», aggiunge l’esperto.
E in questa crescita anche i CSV svolgono un ruolo importante, «sono degli interlocutori cruciali. Hanno una funzione di equidistanza che può aiutare gli attori locali a mettere a punto delle sintonie», precisa Colleoni. «I Centri di Servizio sono dei veri e propri “service di territorio”», conclude, «perché favoriscono il dialogo tra i gruppi affinché interagiscano tra loro, avendo anche le conoscenze di contesto e il monitoraggio del territorio da mettere a disposizione delle Odv».
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