Memoria
Luisa Impastato: «Cinisi non è più il paese della mafia, ma di Peppino»
Nella giornata che Libera dedica a tutte le vittime innocenti delle mafie, il tema della consapevolezza diventa pratica di cambiamento se affidata ai più giovani. Per Luisa Impastato la società deve ancora crescere per sentirsi del tutto libera dall'oppressione mafiosa, soprattutto a Cinisi, ma la speranza sta proprio nella nuova generazione, come quella a cui appartengono i suoi figli
Storie come quelle che si raccontano in giornate come il 21 Marzo, che Libera dedica alle vittime innocenti delle mafie, sono storie che partono dal sangue, ma che oggi si sono trasformate in percorsi in cui il valore della consapevolezza guida le comunità. Come quella di Cinisi, dove i giovani arrivano da ogni parte dell’Italia per farsi rapire dal racconto di Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978 per avere contrastato il regno di Gaetano Badalamenti, Tano Seduto come lo chiamava il giornalista militante di Democrazia Proletaria dai microfoni di “Radio Aut”.
«Si parla ultimamente del fatto che Peppino è divisivo, ma lo è sempre stato e ben venga», commenta Luisa Impastato, nipote di Peppino e presidente di Casa Memoria Peppino e Felicia Impastato. «Ha rappresentato valori sui quali una società civile dovrebbe fondarsi: l’antimafia sociale, la giustizia sociale, l’ambientalismo, l’antifascismo, l’antirazzismo. Tutti temi al centro della lotta di Peppino, che credo la scuola debba promuovere».
Cosa chiedono oggi i giovani quando si pone loro il tema dell’impegno antimafia?
«Sono dell’opinione che i ragazzi vadano ascoltati, è giusto dare loro fiducia; promuovo sempre questa linea, certa che non siano tutti mafiosi, come qualcuno vuole fare credere. Recentemente sono stata tra il Piemonte e la Lombardia per diverse iniziative e ho trovato tantissima partecipazione giovanile, grande l’ interesse nei confronti della storia di Peppino. Ho incontrato anche tante esperienze che, nel suo nome, tendono a unirsi piuttosto che a spaccarsi».
Un dibattito solitamente che si accende quando si dice che bisogna riflettere sul senso della memoria
«Fare memoria è un dovere che deve essere reciproco», prosegue Impastato, «perché credo che i ragazzi oggi si debbano assumere la responsabilità delle storie che li hanno preceduti. Se, infatti, godiamo di diritti e libertà che sino a qualche anno fa non erano scontati, lo dobbiamo a chi ha lottato per ottenerli. Oggi la memoria gioca un ruolo determinante nella costruzione di una coscienza civile antimafia, ma dobbiamo capire da dove si parte, che cosa è successo prima, anche per interpretare azioni e parole che poi in fondo si ripetono nel tempo. Credo che il modo migliore per onorare la memoria nei confronti chi ha speso la propria vita per cambiare il mondo e ha lottato per le loro idee sia tradurle in pratica queste idee, farle proprie. Passare alle pratiche di cambiamento perché la memoria fine a se stessa non porta a niente»
Questo vuol dire maggiore consapevolezza. Ci sono differenze in tal senso tra nord e sud?
«Se devo essere sincera mi capita spesso di trovare un atteggiamento diverso tra chi non abita nel sud e sente più lontano il problema. Vorrei ricordare che in questo momento forse è più importante al nord che al sud. Pare che altrove da noi abbiano sviluppato una sensibilità diversa dalla nostra realtà, dove i fenomeni hanno avuto origine, ci abbiamo convissuto, siamo quasi abituati a quell’atteggiamento di connivenza, complicità, di assuefazione che ci fa apparire distaccati. Quando incontro a Casa Memoria ragazzi che sembrano disinteressati, sento che devo insistere proprio con loro».
Una giornata come quella promossa il 21 Marzo da Libera può aiutare a superare questo stato di assuefazione?
«Mia nonna diceva ai ragazzi: “Tenete la testa alta e la schiena dritta”. Diceva anche: “La mafia si combatte la cultura e non con le pistole”. Credo che, anche se in maniera molto semplice, siano grandi consigli, peraltro per niente scontati, che ci fanno comprendere quanto oggi ci sia bisogno di molta più consapevolezza. Sembra che la mafia non ci tocchi perché la violenza non è più quella degli anni delle stragi, così non la percepiamo materialmente, invece dovremmo cominciare a conoscerla, a studiarla anche come fenomeno economico, politico e sociale perché le sue influenze le riscontriamo nella nostra vita quotidiana. Abbiamo il dovere di dare, ognuno di noi, un personale contributo semplicemente interessandoci a quello che succede nei nostri territori, assumendoci anche la responsabilità del presente».
Quanto Cinisi in questi anni vi è stata vicina?
«La memoria di Peppino ha avuto certamente difficoltà ad affermarsi. Anche se sono trascorsi 46 anni, non credo che oggi ci sia un riconoscimento collettivo della sua storia, ma anche tante cose sono cambiate e, da parte di molte persone, oggi c’è un atteggiamento diverso. Una cosa che dico sempre e che ogni volta mi fa emozionare è che, prima Cinisi era il paese di Gaetano Badalamenti, il paese della mafia, mentre le persone oggi vengono a trovarci perché è il paese di Peppino Impastato».
Cosa conoscono i tuoi figli della storia di tuo zio?
«Ho due figli, uno di sette e uno di dieci anni e stanno crescendo come ho fatto io in questa storia. Io non ricordo come mi è stata raccontata, ascoltavo soprattutto mia nonna. Mio padre si è dedicato a tenere desta la memoria di suo fratello e i miei figli convivono con questo senso di orgoglio che io stessa provavo da piccola. L’anno scorso hanno partecipato insieme ai loro compagni alle manifestazioni del 9 maggio, quando celebriamo l’anniversario dell’uccisione di Peppino, ed è stato un elemento di novità nella loro vita. Stanno crescendo con e dentro Casa Memoria, dove c’è veramente una bella aria, che spero contribuisca alla loro personale formazione di cittadini futuri, consapevoli del proprio passato».
In apertura Luisa Impastato (foto di Lucia Bianchi)
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