Se c’è una cosa che mi irrita particolarmente in estate, oltre alle zanzare, è il “bla bla bla” che ruota attorno al “problema dei problemi”: la prova costume. I media iniziano già dopo Pasqua, quando abbiamo ancora in bocca il sapore della colomba e del cioccolato, a farci sentire in colpa, rimarcando il fatto che siamo stati troppo pigri e non ci siamo iscritti in palestra neanche quest’anno. Poi ti ricoprono di diete-lampo e ti rincuorano dicendoti che anche Valeria Marini o la vippetta di turno è stata colpita dalla perfida cellulite.
Beata, ma devo ammettere che tutto questo bla bla bla non mi ha mai toccato più di tanto. E la stessa indifferenza riguarda tante amiche di seconda generazione che ho interpellato sul tema. In primis, perché poche di noi trascorrono le vacanze sulle spiagge e sotto il sole del Bel Paese, e tante tornano nei loro Paesi d’origine per riabbracciare i propri cari. Poi, come mi spiegava la mia amica Samiha, il problema della prova costume lei lo ha sconfitto… portando il velo. Non si pone più il problema del bikini, del costume intero o del burkini, una sorta di casto costume ammesso dall’Islam. Ma indossa pantaloni e camicia e fa il bagno quando in spiaggia c’è poca gente, in modo da non «infastidire nessuno», dice lei, e non sentirsi con gli occhi altrui puntati addosso.
Mi è capitato spesso in Egitto e in Tunisia, ma anche in Liguria, di vedere donne velate uscire dai flutti come delle Veneri di Milo, completamente inzuppate d’acqua: il risultato era quello di attirare ancora di più l’attenzione dei presenti, anche perché i vestiti bagnati addosso fanno risaltare ancora di più le forme che le donne osservanti cercavano di celare con strati e strati di abiti e veli. Risultato? L’effetto “vedo-non vedo” e il maldestro tentativo di “s-velare” giocando con la fantasia le forme nascoste diventa, soprattutto in Italia, un passatempo intrigante per chi sta sotto l’ombrellone.
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