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Familiare e redditizia

Le 27 aziende dello Standard&Poor’s guidate dai fondatori rendono più di quelle in mano ai supermanager.Merito, forse, di una maggiore lungimiranza.

di Francesco Maggio

Questa poi, francamente, in pochi se l?aspettavano. Soprattutto dopo che da almeno quindici anni non si fa altro che parlare (almeno, certi guru della consulenza strategica) di quanto siano brave, belle e forti le aziende guidate dai manager, dai mitici ceo, gli amministratori delegati plenipotenziari con ?licenza di uccidere? pur di portare a casa utili e stock option record. E di quanto, al contrario, siano anacronistiche, desuete, destinate a soccombere le imprese che si ostinano, ahi loro, a mantenere al timone i fondatori. E invece? Invece succede che laddove la famiglia si fa sentire, tiene nelle stanze dei bottoni i fondatori, si riserva di effettuare le scelte decisive, ebbene in questi casi non solo i conti vanno a gonfie vele, ma anche la Borsa mostra di apprezzare e di premiare. E quale Borsa: Wall Street, la più famosa e importante al mondo. Lo ha calcolato la rivista americana Fortune che ha messo sotto la lente le prime 500 società che compongono il più autorevole indice di Borsa, lo Standard&Poor?s 500. E ne ha misurato la remunerazione media dei soci nel decennio 1996 – 2005. Inequivocabile il verdetto: le 27 aziende familiari dello S&P 500 rendono più di tutte le altre, il 18,5% l?anno a fronte dell?11,7%. E anche la crescita media dei profitti segue lo stesso trend: 19,6% contro 11,7%. Insomma, se ti chiami Steve Jobs (Apple) oppure Warren Bu f f e t (Be r k s h i re Hatwaway), tanto per fare un paio di nomi altisonanti, si può star (quasi) sicuri che ci sappiano fare meglio di qualche super ?masterizzato? in business administration ad Harvard o Stan-ford. Ma se ti chiami Mario Rossi e sei fondatore della Rossi spa? «Il risultato, molto verosimilmente non cambia», risponde Gioacchino Attanzio, direttore generale dell?Aidaf – Associazione italiana delle aziende familiari, «questa indagine non mi sorprende affatto. Anche in Italia le imprese guidate dai fondatori hanno di solito più successo di quelle gestite dai manager. Per una ragione molto semplice, perché sanno guardare lontano, hanno come orizzonte di riferimento il medio-lungo periodo e quindi non lesinano investimenti e, nel contempo, creano un clima aziendale particolarmente favorevole». «I dipendenti », spiega Attanzio, «non sono costi da abbattere ma risorse da valorizzare, la responsabilità sociale d?impresa non è marketing ma sincera ?restituzione? almeno di un po? di privilegi alla comunità». E come la mettiamo, però, con i problemi di successione? «Questo è il vero nodo cruciale », risponde Attanzio, «non c?è dubbio che oggi la questione del passaggio di consegne del timone sia quella più sentita dalle aziende familiari. Né la soluzione si improvvisa perché il fondatore di un?impresa, soprattutto se di successo, si sente un po? immortale e non trasferisce facilmente sapere e potere. Ma credo che proprio la diffusione della csr, possa agevolare il passaggio di consegne. Se l?azienda si apre sempre di più agli stakeholder, certe dinamiche ?partecipative? verranno sempre di più percepite come naturali».


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