Politica

Famiglia, un ministerosull’altare della crisi

post governo Il Dipartimento rischia di essere smantellato

di Redazione

Smantellato in corso d’opera. Come certe autostrade che finiscono nei prati o le “grandi opere” mai portate a compimento: è il destino, tutto italico, che rischia di avere il dipartimento delle Politiche per la famiglia.
Inaugurato in pompa magna nel 2006 dal governo Prodi, che con una precisa scelta politica ha dedicato al settore, affidandolo a Rosy Bindi, una struttura dipartimentale della presidenza del Consiglio dei ministri, il “ministero” della Famiglia rischia ora di saltare perché è rimasto una struttura di missione, non ancora convertita, sul piano tecnico, in un vero e proprio dipartimento.
La caduta del governo ha interrotto il processo. Ministro e funzionari (40 persone fra dirigenti e amministrativi, tutti selezionati ad hoc da altri ministeri) si avviano ora al regime di ordinaria amministrazione fino alle elezioni. E poi, stop. L’insediamento del nuovo governo determinerà la caduta di tutte le posizioni lavorative e delle attività in corso.
Per di più il dibattito sui costi della politica ha determinato una disposizione, nella Finanziaria del 2008, che impone una netta riorganizzazione dei ministeri e comporterà la confluenza (ma non si comprende in quali termini e con quale continuità delle politiche) del settore Famiglia in un nuovo schema organizzativo.
Nessun problema, si potrebbe pensare. A parte il ridimensionamento “politico” del tema (un conto è avere un ministero della Famiglia, un altro conto è una direzione generale incardinata al Welfare), è la forza di intervento che sarà smantellata. In un anno e mezzo di lavoro, in effetti, la squadra della Bindi di progetti ne ha realizzati. Anche grazie al Fondo nazionale dedicato, sono state destinate risorse per 4 miliardi e mezzo di euro. E poi c’è stata la Conferenza nazionale sulla famiglia, l’istituzione e il riordino degli Osservatori di settore, il lavoro legislativo sul testo unico della maternità per facilitare la conciliazione tra tempi di lavoro e vita e per equiparare alcune posizioni (genitori adottivi e genitori naturali), l’attività diplomatica in tema di adozioni internazionali che ha permesso la conclusione di accordi con Cina e Russia.
L’incardinamento presso la presidenza del Consiglio ha facilitato il lavoro: una migliore capacità di dialogo e coordinamento con gli altri ministeri e un’indubbia maggiore “autorevolezza” del ministro (rispetto a un sottosegretario).
Ma se la conservazione o lo smantellamento di un ministero dedicato alla famiglia può essere una scelta politica, certamente dovrebbe essere una scelta di responsabilità, da parte del governo che verrà, quella di assicurare la continuità delle politiche e dei programmi intrapresi (l’incertezza sulle attività della Commissione adozioni internazionali, finita la presidenza Bindi, è solo un esempio). Altrimenti, davvero, il ministero della Famiglia sarà l’ennesimo cantiere mai concluso della storia italiana.

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