Famiglia

Famiglia/ In casa sino a 34 anni, un record mondiale

«In Italia si punta sempre alla famiglia povera e bisognosa, all’idea di un carico da sollevare. È un’ottica arretrata». Invece, spiega il direttore dell’Osservatorio nazionale...

di Maurizio Regosa

L?Italia Paese delle proposte spezzatino. In materie di politiche famigliari la situazione evidenziata dall?Indagine conoscitiva sulle condizioni sociali delle famiglie in Italia, voluta dalla Commissione Affari sociali della Camera, è a dir poco incresciosa: è persino impossibile tenere il conto delle iniziative del governo bloccate dalla Corte Costituzionale nel corso delle tre ultime legislature. Alla presentazione dell?Indagine era presente anche Pierpaolo Donati, direttore dell?Osservatorio nazionale sulla famiglia, uno dei massimi esperti italiani in materia. Il quale nota un paradosso, emblematico della confusione in cui l?Italia si trova: «L?Indagine stessa non riesce a indicare le priorità. C?è un lungo elenco di cose da fare, ma non una gerarchia».

Vita: Professore, iniziamo dall?analisi dei problemi. Dall?Indagine emerge una ?questione femminile?. È d?accordo?
Pierpaolo Donati: Sì, ma ha una doppia faccia. Il tasso di occupazione femminile è al 45%, ben al di sotto del 60% fissato dalla Strategia di Lisbona per il 2010. Ma mettere sul mercato del lavoro il 15% in più delle donne significa caricare sulle famiglie un peso ancora più grosso dell?attuale. Senza contare che le donne possono entrare nel mondo del lavoro se esistono servizi, flessibilità di orari, welfare aziendali. In Italia da una parte c?è una forte pressione perché le donne entrino nel mercato del lavoro, ma dall?altra il Paese è incapace di provvedere i servizi che lo permettono. Ma c?è un problema più sostanziale?

Vita: E cioè?
Donati: È così giusto che si punti a portare tutte le donne sempre e solo sul mercato del lavoro anziché nel lavoro familiare, in una società con un tasso di fecondità dell?1,3%? Credo vada cercato un nuovo equilibrio fra lavoro e lavoro familiare di cura e professione.

Vita: C?è poi la ?questione giovanile??
Donati: Il 40% dei ?giovani? fra 25 e 34 anni abita nella famiglia d?origine. È la percentuale più elevata del mondo. Da noi l?età media del matrimonio continua ad alzarsi, le donne si sposano a poco meno di 30 anni e gli uomini a poco meno di 32. Queste generazioni rimangono in un limbo, in un tempo passato fra divertimento, hobby, interessi, magari volontariato. Alla lunga si squilibra il sistema demografico, perché ogni generazione se ne salta una; il che concretizza quella che gli studiosi chiamano «tendenza suicidogena di un Paese». È prioritario intervenire a favore delle giovani coppie, che devono essere messe in condizione di formare famiglia nella prima giovinezza.

Vita: Come bisognerebbe muoversi?
Donati: Intanto prevedere un raggio molto più ampio di assegni di ogni genere: di natalità, di maternità, congedi, permessi, di cura per le donne che vogliono rimanere a casa nel primo o nel secondo anno di vita del bambino, sostegno al reddito per part time, asili nido… Bisogna investire con un piano organico che preveda aiuti per la casa e per tutto ciò che serve a metter su famiglia.

Vita: Il bonus bebè di mille euro è servito?
Donati: È stato apprezzato, anche da chi ha un reddito medio. La definirei una misura positiva, il problema è che è stata occasionale. La nostra spesa sociale per le famiglie è la metà di quella europea ed è un terzo di quella francese. Bisogna destinare le risorse in questa direzione.

Vita: In Francia gli assegni sono dati per diversi anni?
Donati: Si dà quello che si può, evidentemente. Questo assegno dovrebbe essere esteso anche agli immigrati, dato negli anni e con una progressività che tenga conto del numero dei figli. È così che si fa una politica familiare. Aggiungo che il bonus è stato significativo come segnale positivo di riconoscenza e accoglienza.

Vita: E il simbolico è molto importante?
Donati: Non c?è dubbio. Voglio anche aggiungere qualcosa sulla redistribuzione delle risorse. La preoccupazione prevalente è redistribuire le risorse fra chi ha di meno e chi ha di più in termini di fasce sociali. Bisognerebbe sviluppare anche la redistribuzione orizzontale tra famiglie che hanno figli e che non ne hanno, fra chi ha molti e chi pochi figli, dentro le medesime fasce di reddito. Tutto è calcolato per dare a chi ha meno reddito, ma il problema è anche la redistribuzione interna alla stessa fascia: 20mila euro senza figli non equivalgono a 20mila euro con quattro figli.

Vita: E dunque?
Donati: La famiglia è ancora considerata in quanto è povera e bisognosa, invece che in quanto risorsa da valorizzare. L?idea è quella di sollevare i carichi famigliari, che la famiglia è solo un peso, da alleggerire perché gli individui siano più liberi. Un?ottica profondamente sbagliata, arretrata e deficitaria in tutti i Paesi. L?idea deve essere quella di un investimento sulla famiglia come relazione di solidarietà e di reciprocità non solo all?interno del nucleo familiare ma nelle reti parentali, nelle reti sociali e associative fra famiglie. Bisogna pensare questa spesa sociale come creativa e produttiva di circuiti di scambio fra le generazioni, tra le famiglie. Spendere di più ma soprattutto spendere meglio, badando alla qualità degli interventi. Qui si deve muovere la società civile. Perché la famiglia non è un affare privato come si vuol fare credere, ma un insostituibile capitale sociale.

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