Formazione

Famiglia

Intervista a Eugenia Roccella. Strano destino per la parola famiglia ... c'è anche chi vorrebbe cancellarla dal vocabolario ...

di Sara De Carli

L?imprinting, si sa, lascia il segno. Ma come insegna Sepulveda, nella favola della gabbianella e il gatto, si può superarlo. Il Family Day è nato a febbraio dalle parole di monsignor Rino Fisichella, subito dopo la presentazione del ddl governativo sui Dico: un imprinting forte, quello di mamma Chiesa. Ma le 23 associazioni che lo organizzano hanno scelto di affrancarsene, nella convinzione che quella per la famiglia fondata sul matrimonio e contro i Dico non è una battaglia (solo) cattolica. Insieme a Savino Pezzotta, Eugenia Roccella è la donna che è stata scelta come portavoce. La sua storia di femminista iscritta al Partito radicale è simbolo della trasversalità della manifestazione e delle sue ragioni.

VITA: Anche per lei la macchina organizzativa avrà fatto quello che Andrea Olivero, presidente Acli, ha definito «un antipatico ma necessario screening della vita privata». Come si è sentita?
EUGENIA ROCCELLA: Nessuno me lo ha detto esplicitamente, ma immagino di sì. Però lo screening non è perché il coordinamento è moralista. È un fatto difensivo, perché se ci fosse qualcuno con la minima contraddizione esistenziale pioverebbero subito le accuse di incoerenza e il gioco delle pulci lo farebbe qualcun altro. Ci tengo a dirlo: non siamo noi i moralisti, sono gli altri.

VITA: La sua famiglia com?è?
ROCCELLA: Tragicamente esemplare, da questo punto di vista. Io mi sono sposata giovanissima, a 22 anni – 21 e mezzo, suggerisce mio marito – e siamo sposati da 31 anni. Ho due figli, un maschio di 24 anni e una femmina di 14. Avrei voluto più figli, ma sono figlia unica e ho avuto molti anziani da accudire. Mia madre è stata in coma, ne è uscita ma ci sono voluti un paio di anni di assistenza assoluta; mio padre ha avuto un tumore al sangue. Questa situazione ormai capita a molte famiglie. E se per la cura dei figli si crea una solidarietà orizzontale, per cui una mamma va a prendere a scuola tuo figlio e tu tieni il suo a giocare un pomeriggio, con gli anziani e i disabili questo non accade. Fare rete non è possibile, perché l?assistenza è totalizzante, necessita di continuità, aiuto medico e infermieristico. Io ho cercato di non ospedalizzare i miei genitori, però per farlo non c?è nessun aiuto.

VITA: Avrebbe voluto più figli: le statistiche dicono che le italiane vorrebbero due figli e ne fanno solo uno.
ROCCELLA: Il desiderio di maternità è inalterato da trent?anni, però la natalità crolla. Vuol dire che c?è un problema. Tutti parlano di libera scelta, ma oggi la scelta che non è libera è quella di essere madre.

VITA: Un ribaltamento delle pari opportunità…
ROCCELLA: Sì. Non sto demonizzando l?occupazione femminile, tuttaltro. Si tratta di un legittimo desiderio di realizzazione personale e in tempi di matrimoni fragili anche di una precisa scelta di responsabilità. La maternità non deve essere un sacrifico, ma una gioia privata condivisa dalla società, che ne trae una utilità pubblica. Perciò deve esserci un adeguato supporto. Da anni invece in Italia non ci sono politiche che favoriscono la famiglia né la maternità. Al massimo abbiamo avuto interventi pensati su un modello antiquato di famiglia, con il maschio che lavora e mantiene tutti. Non è così.

VITA: Qual è la misura più urgente?
ROCCELLA: L?accesso al lavoro per le donne e la compatibilità tra occupazione femminile e maternità.

VITA: Non contraddice ciò che ha detto prima?
ROCCELLA: No, si è visto che la maternità è direttamente proporzionale all?occupazione. Però favorire l?accesso al lavoro per le donne vuol dire creare una struttura meno rigida. Il mondo del lavoro oggi è pensato per l?uomo, i sindacati su questo sbagliano da anni. Ci vuole flessibilità: part time, attenzione all?entrata e all?uscita dal lavoro, tempi urbani diversi. E poi misure di equità fiscale per le famiglie. Ci sono molte proposte, parliamone, ma è assurdo che il soggetto fiscale sia l?individuo e non la famiglia. Questo diventa un problema di non pari opportunità per i figli: esistono studi che dicono che i soggetti svantaggiati in materia di pari opportunità oggi sono i figli delle famiglie numerose.

VITA: La Francia è Paese laico, ha i Pacs ma ha politiche famigliari più avanti delle nostre e un boom di natalità. Non paghiamo il fatto di fare della famiglia un tema troppo marcatamente confessionale?
ROCCELLA: Un conto sono i provvedimenti economici, un altro l?aspetto culturale. La Francia ha un numero altissimo di madri sole, divorzi, figli nati fuori dal matrimonio. L?Italia invece ha un alto tasso di stabilità famigliare: noi dobbiamo chiederci se è un bene o un male che la famiglia sia stabile. E se è un bene dobbiamo fare politiche conseguenti. Non credo che un?immagine classica della famiglia sia un?immagine confessionale: la famiglia non appartiene al mondo cattolico e lo prova il fatto che abbiano scelto me come portavoce del Family day. La famiglia è un?esperienza che unisce tutti. Ho apprezzato la nota della Cei, che afferma che l?esperienza che unifica tutti gli esseri umani è quella di essere figli.

VITA: Però uno è figlio anche fuori dalla famiglia.
ROCCELLA: Certo, ma tanto per cominciare essere figli uol dire che si è figli di un uomo e una donna. Questo è un primo elemento. Non si tratta di famiglia tradizionale, ma di famiglia tout court: ce n?è una sola di famiglia.

VITA: Ma perché non dare aiuti a chi ha figli e non alla famiglia in sé? Sappiamo che negli asilo nido i figli delle coppie di fatto entrano più facilmente di quelli di coppie sposate: c?è una difesa di principio della famiglia e poi le conseguenze pratiche sono a suo sfavore.
ROCCELLA: Va bene, ma non dobbiamo far entrare l?elefante per cacciar via il topolino! Troviamo un altro modo. Per esempio basterebbe fare abbastanza asili nido per tutti. La verità è che la battaglia sui Dico non mira al riconoscimento culturale dell?omosessualità ma alla manipolazione della nascita, a ridisegnare l?umano a livello tecno-scientifico e le relazioni fondamentali che hanno fatto l?esperienza umana. Se fosse una battaglia per l?allargamento dei diritti sarebbe facile mettersi d?accordo.

VITA: In questo tentativo, una difesa laica della famiglia su quali argomenti punta?
ROCCELLA: Sul senso comune e sull?esperienza. C?è un senso comune diffuso, radicato, che viene ignorato dalle élite, che contrappongono al senso comune il luogo comune. Il senso comune ha un valore filosofico: è la base dell?opinione pubblica, è ciò che accomuna tutti e quindi consente lo scambio di opinioni. Il luogo comune è quello che dice che è progressista parlare di famiglie al plurale, riconoscere le unioni di fatto, dire che le famiglie sono formate dall?affettività e non dal procreare e che quindi bisogna – come vuole l?onorevole Luxuria – che lo Stato riconosca la capacità affettiva della coppia omosessuale. Lo Stato invece non ha nessun interesse a riconoscere la capacità affettiva di chicchessia, perché si tratta di qualcosa di squisitamente privato. Il senso comune invece dice che la famiglia è un impegno pubblico che si crea attorno alla procreazione.

VITA: Non è un po? appiattire la donna a madre?
ROCCELLA: Il femminismo ha una bibbia, un libro di Adrienne Rich, Nato di donna: dice che ciò che accomuna gli esseri umani è l?essere figli. Il femminismo ha sempre valorizzato il dato corporeo, l?essere nati da donna.

VITA: Cosa le dà più fastidio nel dibattito?
ROCCELLA: L?opposizione fra laici e cattolici. È insensata e inesistente.

VITA: E l?obiezione che la mette in difficoltà?
ROCCELLA: Niente, mi sembra tutto giocato su luoghi comuni invecchiati. I Paesi che sono additati come modello hanno già cominciato a riflettere sulla crisi: basta guardare l?Inghilterra, dove parecchi studi legano la disgregazione sociale al riconoscimento della coppie di fatto. Però da noi nessuno ne parla. O la Norvegia e la Svezia: il riconoscimento delle coppie di fatto ha aumentato le madri sole, che sono sul 50-60%. Questo significa un indebolimento della presenza del padre e del suo ruolo educativo: ditemi se non è un impoverimento. È chiaro che poi deve intervenire lo Stato sociale. L?Europa ci dice che il riconoscimento giuridico delle coppie di fatto comporta costi sociali ed economici pesanti, elemento che nessuno ha inserito nel dibattito italiano. Le dico un?altra cosa: in Italia le unioni di fatto sono pochissime, tra il 4 e il 6%. Allora non si tratta di riconoscere un fenomeno già diffuso, ma di incoraggiarlo. Se riconosco un?unione che dà diritti simili a quelli del matrimonio ma chiede meno impegni, è chiaro che creo una forma concorrenziale e che sto puntando su questa. Perché?

VITA: Perché?
ROCCELLA: C?è una distanza fra le élite e il senso comune radicato nel Paese, non so perché. C?è una voglia utopica di direzione e senso per la storia. Invece io credo che l?idea delle famiglie plurali non sia per niente progressista. In Italia non si sanno tante cose, per esempio che da tutti i documenti internazionali sono scomparse le parole sessuate: madre, padre, donna, uomo, non c?è più famiglia ma progetto parentale. Si sta neutralizzando tutto, seguendo l?ideologia del gender. Due settimane fa in Scozia sono state presentate le nuove linee guida per il servizio sanitario: vieta di rivolgersi ai piccoli ricoverati dicendo padre o madre, ma tutor o guardian, perché i bambini adottati da una coppia omosessuale si sentono in imbarazzo. Padre e madre sono parole che devono scomparire. A me invece sembra importante che i figli dei miei figli dicano ancora mamma e papà, è un bagaglio di esperienza umana prezioso, che ha radici profondissime, che vanno al di là della storia, nella biologia e nel simbolismo. E non parliamo del piano tecnoscientifico. È un dibattito si che si intreccia con quello sulla famiglia, ma da noi non ce n?è traccia.


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