Welfare

Fame, per il Global Hunger Index di Cesvi è la disuguaglianza il problema

Presentati i dati del report a Bergamo in occasione dell’imminente G7 Agricoltura. «Il rapporto. Fame disegna i contorni di un sistema che continua a penalizzare chi è ai margini e di un’emergenza ancora lontana da risposte risolutive», ha spiegato Daniela Bernacchi, CEO&General Manager di Cesvi

di Sara Bragonzi

L’indice Globale della fame del 2017 è del 27% più basso rispetto a quello del 2000 ma resta comunque grave. Su 119 Paesi misurati in 52 i livelli di fame e di insicurezza alimentare restano allarmanti, con grandi le differenze tra le diverse nazioni e persino all’interno degli stessi paesi.

È stata scelta Bergamo quest’anno come sede della presentazione internazionale del dodicesimo rapporto annuale del Global Hunger Index, curato dalla Ong Cesvi, membro del network internazionale Alliance2015. Il lancio del report, inserito nella “Settimana dell’AgriCultura e del Diritto al cibo” organizzata dal Comune di Bergamo, ha di fatto “aperto” il G7 Agricoltura, in programma nelle giornate del 14 e del 15 ottobre, come ha dichiarato Maurizio Martina, Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali in apertura della presentazione.

«L’Indice Globale della Fame disegna i contorni di un sistema che continua a penalizzare chi è ai margini e di un’emergenza ancora lontana da risposte risolutive – ha affermato Daniela Bernacchi, CEO&General Manager Cesvi – Il GHI è la cornice dentro la quale non può che rinnovarsi l’impegno di chi come noi mette in campo azioni contro la fame con tutti gli strumenti della cooperazione. Da oltre trent’anni, Cesvi fa della lotta alla fame il cuore del suo lavoro. Oggi, siamo attivi in 23 Paesi e nei contesti più critici, dove la fame mette a rischio la vita di migliaia di persone come ad esempio in Somalia colpita da una delle peggiori carestie della storia e uno dei paesi dai quali si origina parte del flusso migratorio. L’Indice Globale della Fame – ha aggiunto Bernacchi – mostra con grande chiarezza che il problema fame non è solo un problema degli ultimi ma è un dramma che appartiene a tutti e soprattutto, una sfida comune alla quale ognuno è chiamato a dare il suo contributo».

Non è la scarsità di cibo in sé il problema ma piuttosto le profonde e persistenti disuguaglianze nella sua distribuzione, che al momento ostacolano la lotta alla fame e alla denutrizione nel mondo e al raggiungimento quindi dell’obiettivo “Fame Zero”, fissato dalle Nazioni Unite per il 2030.

815 milioni di persone soffrono la fame e oltre 2 miliardi di una qualche forma di malnutrizione, mentre un terzo della popolazione mondiale è in sovrappeso o obesa e più di un terzo della produzione alimentare globale viene buttata o sprecata. La distribuzione irregolare della fame e della malnutrizione affonda le radici nella disparità sociale, politica ed economica e si concentra nelle aree rese più vulnerabili da povertà, conflitti, catastrofi naturali e carestie, dove le popolazioni sono già più esposte e svantaggiate.

Durante la presentazione una voce potente direttamente dall’Africa è stata quella di Abdulai Bun Wai , coordinatore nazionale di ALLAT (Action for Large Scale Land Acquisition) un network di 15 ONG e Organizzazioni Comunitarie di Base che si battono per il diritto alla terra, a supporto dei piccoli agricoltori nella rivendicazione dei propri diritti in Sierra Leone, un paese dove il 60% della popolazione soffre per mancanza di cibo e un terzo dei bambini ha problemi di sviluppo fisico e mentale a causa della denutrizione. Ed è proprio a favore dei piccoli agricoltori che arriva la sua richiesta ai paesi dell’Unione Europea di fare pressione sul suo governo perché faccia investimenti responsabili che aiutino i piccoli produttori ad aumentare la propria efficienza, perché in Sierra Leone hanno la terra e le risorse per produrre il proprio cibo, ma sono spesso vittime dell’accaparramento delle terre.


Abdulai Bun Wai , coordinatore nazionale di ALLAT

L’analisi su base regionale contenuta nel rapporto 2017 evidenzia che a soffrire maggiormente la fame sono le popolazioni di Asia meridionale e Africa subsahariana. Resta drammatica la situazione della Repubblica Centrafricana, unico Paese con un livello di fame classificato come estremamente allarmante e che non ha evidenziato finora alcun progresso.

Nel complesso l’Indice della Fame traccia una tendenza di segno positivo: la percentuale di popolazione denutrita è al 13%, rispetto al 18,2% del 2000; il 27,8% dei bambini sotto i cinque anni soffre di arresto della crescita rispetto al 37,7% del 2000; il deperimento affligge il 9,5% dei minori di cinque anni, rispetto al 9,9% iniziale e il tasso di mortalità sotto i cinque anni è al 4,7% rispetto all’8,2% originario.

Il rapporto del 2017 non include dati di 13 Paesi non calcolabili a causa di gravi problemi politici e sociali, ma stime internazionali evidenziano situazioni estremamente preoccupanti ad esempio in Libia dove i conflitti armati e l’instabilità politica pregiudicano la sicurezza alimentare di circa 250.000 sfollati interni, e in Siria martoriata da 7 anni di guerra civile con effetti devastanti sull'alimentazione per oltre la metà della popolazione. In Sud Sudan è stata dichiarata quest’anno una grave carestia e in Somalia colpita da una grave siccità, si trova ora sull’orlo di una carestia con 3 milioni di persone (su 11 milioni in totale) in situazione di crisi o di insicurezza alimentare.



Variazioni della fame dal 2000 al 2017

La fame e la disuguaglianza sono strettamente interconnesse. Tre quarti dei poveri del mondo vive in aree rurali, dove la fame è tendenzialmente più forte. La povertà, che è una delle manifestazioni più evidenti di disuguaglianza, è forse la più legata alla fame. Ma la fame è anche una questione di potere: è la tesi che sta alla base del saggio di Naomi Hossein, ricercatrice presso l’Institute of Development Studies, contenuto nell’edizione 2017 dell’Indice Globale della Fame. La distribuzione irregolare della fame e della malnutrizione in tutte le sue forme affonda le radici nella disparità di potere sociale, politico ed economico. Le crisi alimentari più recenti hanno colpito fasce di popolazione estremamente vulnerabili e già afflitte da fame e malnutrizione, esposte a violenze, cambiamento climatico e aumento dei prezzi alimentari. E se alla disuguaglianza alimentare si unisce anche la disuguaglianza di genere ecco che donne e bambine rappresentano il 60% degli affamati del mondo.

L’Indice contiene nove raccomandazioni per ridurre la fame globale, perché né la fame né le disuguaglianze sono inevitabili: entrambe sono radicate in relazioni di potere disuguali, corroborate da leggi, politiche e pratiche consolidate.

Le nove raccomandazioni formulate all’interno dell’Indice Globale della Fame 2017 mirano a riequilibrare la distribuzione dei poteri e alleviare, di conseguenza, la fame tra i soggetti più vulnerabili:

  • Promuovere una governance democratica dei sistemi alimentari nazionali, in cui anche i gruppi sottorappresentati, come i piccoli agricoltori, siano parte attiva nelle decisioni riguardanti politiche e leggi che pesano sui loro mezzi di sussistenza;
  • Ampliare la partecipazione ai dibattiti internazionali sulle politiche alimentari, vale a dire invitare ai tavoli decisionali le organizzazioni e i movimenti popolari impegnati nella lotta alla fame.
  • Garantire diritti e spazi alla società civile. I governi devono informare la popolazione su progetti e iniziative che riguardano il diritto al cibo.
  • Garantire norme in materia di Affari e Commercio a tutela dei soggetti più vulnerabili e che mettono al riparo la sovranità e la sicurezza alimentare della popolazione.
  • Analizzare il potere per migliorare le politiche. Per contrastare la fame i governi nazionali devono riconoscere le discriminazioni di genere che mettono a rischio soprattutto la vita di donne e bambine.
  • Aumentare il supporto ai piccoli produttori alimentari, incluse le donne, assicurandogli l’accesso a servizi pubblici, finanziari ed educativi.
  • Promuovere l’uguaglianza attraverso educazione e sicurezza sociale. Per ridurre il livello di fame i governi devono assicurare l’accesso all’istruzione e fornire alla popolazione un’assistenza sanitaria.
  • Mettere in luce le responsabilità dei governi attraverso dati puntuali. Per tenere sotto controllo costante il livello di fame e quindi monitorare i progressi in vista dell’Obiettivo Zero Fame, i governi nazionali devono impegnarsi a fornire dati che siano affidabili e aggiornati.
  • Investire sugli obiettivi di Sviluppo Sostenibile e su chi è rimasto indietro. I donatori dovrebbero rispettare gli obiettivi stabiliti a livello internazionale, contribuendo con lo 0,7% del Reddito Nazionale Lordo (RNL) all’APS (Aiuto Pubblico allo Sviluppo) con lo 0,15-0,2% del RNL ai paesi meno sviluppati.

L’Indice Globale della Fame 2017 è pubblicato congiuntamente da International Food Policy Research (IFPRI), Concern Worldwide e Welthungerhilfe, oltre a registrrea lo stato della fame a livello globale segnala le zone dov’è più urgente intervenire.

Il report è scaricabile qui


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