Politica

Falsi in bilancio. Attenti alle imitazioni.

L’esperto Giovanni Allegretti, docente università di Firenze avverte: dietro le dichiarazioni di intenti dei comuni italiani si cela solo il desiderio di farsi pubblicità.

di Redazione

Col crescere, nel nostro Paese, della moda e del mito di Porto Alegre, un inflazionismo linguistico va svuotando di senso il concetto di bilancio partecipativo. Molte amministrazioni locali ne parlano, varie sostengono di farlo già (ma hanno solo flebili e sporadiche consultazioni con associazioni o comitati) o di essere sul punto di attivarlo. Per lo più si tratta di mero marketing urbano, di una distorsione frutto di vari equivoci (se non di malafede), il primo dei quali è credere che il problema sia mettere l?accento sul bilancio piuttosto che sulla partecipazione. Far deliberare i cittadini su piani di investimento (impegnandosi a seguirne le indicazioni in tempi brevi) ha forte valore simbolico, mostrando la volontà della politica locale di rinunciare ad alcune prerogative a pro di una ridemocratizzazione della democrazia, e di condividere con i cittadini i fini del governo urbano prima che l?ottimizzazione dei mezzi. Dove è applicato, il bilancio partecipativo ha portato efficienza gestionale, riduzione di sprechi e crescita di popolarità per le giunte promotrici; ma è più un effetto collaterale che l?obiettivo delle riforme fatte. I risultati conseguiti sono stati più ampi di quelli perseguiti (democratizzazione istituzionale, inversione delle priorità, giustizia distributiva) ma restano distinti. Da noi interessa più cogliere i guadagni che valutare i costi dell?attivazione del bilancio partecipativo. Si vorrebbe la botte piena e la moglie ubriaca: guadagnare in trasparenza, efficienza, popolarità e immagine ma non sobbarcarsi fatiche e rinunce. Si vogliono risultati rapidi e visibili dimenticando che ogni processo partecipativo comporta tempi dilatati, diffidenza iniziale e fatica per funzionare: richiede cioè una strategia della pazienza, e bassi profili piuttosto che pubblicità gridate. La frenesia bilancista che attraversa l?Italia alla vigilia del World social forum pare più una voglia di rifarsi un?immagine che una volontà reale di aprire i territori locali alla cogestione dei cittadini. È una concorrenza tra molti per garantirsi primati o diritti d?autore su processi ?di nome? che attraggono attenzione e, dove applicati finora, risultati visibili. L?equivoco di base è che da noi ci si rivolge al cittadino-elettore per riconquistarne il voto, mentre altrove i bilanci partecipativi hanno scommesso sul cittadino-abitante (in prima fila i migranti, i bambini, i poveri) puntando a dare voce ai dimenticati e a riequilibrare le distorsioni evidenti nelle scelte neoliberiste dei governi nazionali. Il bilancio partecipativo è ottimo, ma solo se ogni attore (amministratori, cittadini, ong, associazioni) farà un esame autocritico delle proprie motivazioni, svolgendo un ruolo di servizio alla collettività e non usandolo per emergere come singoli o come gruppi di pressione; perché per funzionare richiede nuova moralità politica e nuovo ?senso della cittadinanza?. Per ripartire dagli abitanti e dalle periferie ci sono modi e strumenti diversi; ad alcuni, già scritti nelle nostre leggi e procedure amministrative, vanno ridati i contenuti democratici. Ovvio che è più facile vendere un prodotto appetibile ed esotico che non riempire di senso (con fatica e umiltà) ciò che già esiste e dà solo un lustro da ?gregario?. Speriamo che col Forum di Porto Alegre il percorso emulativo delle nostre amministrazioni tenda a farsi più autentico. Info: L’università di FIrenze ha messo a punto la Carta del nuovo Municipio. Si richiede a: labins@unifi.it


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