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Fallimenti adottivi. Chi ha buttato via Soledad e Jos

Un bambino su dieci è rifiutato dai genitori adottivi. Lo rivela un libro choc sulle storie dei tanti ragazzi “restituiti”. Spesso alle soglie dell’adolescenza

di Benedetta Verrini

Soledad e José avevano 9 e 7 anni quando vennero adottati dalla classica famiglia perfetta: una coppia benestante con due figlie naturali, che li andò a prendere a Santo Domingo. Tutto sembrava procedere bene ma, dopo sei anni di calma apparente, Soledad fu allontanata da casa e messa in istituto. Gli operatori la trovarono in condizioni pessime: i suoi indumenti erano stati consegnati dalla famiglia dentro a un sacco della spazzatura. Non le era stato permesso di proseguire gli studi dopo le elementari, perché considerata «incapace di apprendere». Poco tempo dopo, José fece la stessa fine.

Se la famiglia tradisce
La famiglia perfetta lo considerava «ineducabile e ingrato» e rifiutò il tentativo di riconciliazione proposto dal tribunale. Oggi Soledad, ferita da un dolore irreparabile, è diventata maggiorenne e vive in una comunità alloggio. Anche José è maggiorenne: ha terminato una scuola professionale e coltiva il sogno di tornare nel suo Paese d?origine.
Mario invece era originario del Brasile e venne adottato a 12 anni da una coppia anziana, senza figli. Inserito in quinta elementare, anche se parlava a stento l?italiano, faticava a fare i compiti e a seguire le regole. Se condo i genitori doveva «imparare a fare da solo». Nel giro di poco il bambino iniziò ad allontanarsi sempre più spesso da casa. La scuola segnalò ai servizi il suo disagio e qualche sospetto maltrattamento. L?affidamento preadottivo venne interrotto dopo otto mesi e Mario fu accolto in una casa famiglia.
Tre bambini traditi, tre storie di fallimenti adottivi: un fenomeno con pesanti costi emotivi e sociali che, anche in Italia, assume dimensioni preoccupanti e in parte sommerse. Lo testimonia una ricerca, condotta su un campione limitato, realizzata da Iolanda Galli e Francesco Viero, psicoterapeuti, consulenti del tribunale per i minorenni di Venezia e autori di un libro destinato a fare scalpore: Fallimenti adottivi. Prevenzione e riparazione (ed. Armando 2001). Durante un?indagine conoscitiva eseguita nell?autunno del 2000 presso 45 strutture residenziali per minori del Veneto, la Galli e Viero hanno rilevato che la percentuale di bambini provenienti da un fallimento adottivo era del 12,3%. In un?altra regione, la Campania, la stessa indagine su un campione di dieci case famiglia ha riportato una percentuale dell?11,5.
Numeri ben superiori alle stime ufficiali, che oscillano tra l?1 e l?1,8%: «Se il fallimento avviene dopo l?anno di affidamento, cioè dopo che l?adozione si è giuridicamente perfezionata, il minore allontanato dalla coppia non viene più considerato come ?adottivo?, ma come figlio legittimo», spiega Galli. Per questo, il numero dei minori ?restituiti? (sempre più stranieri, vista la frequenza delle adozioni internazionali) resta sommerso.
Viene da chiedersi quale possa essere la media nazionale rispetto ai 28.148 minori ospiti in strutture residenziali (secondo l?ultimo rapporto Istat), anche perché «i costi del fallimento adottivo sono enormi, sia in termini sociali che individuali», spiega Viero, che è specializzato in neuropsichiatria infantile. «Un bambino o un adolescente rifiutato tende a regredire sul piano psicologico, a sviluppare forme di depressione infantile. Spesso non ha più risorse per affrontare una seconda adozione».
Il momento più critico, secondo i due esperti, è l?adolescenza «dove si verificano più spesso i fallimenti», continua Viero, «perché la coppia non è preparata alle burrasche dell?età e non riesce a elaborare gli atteggiamenti di rifiuto che il minore mette in atto nel tentativo di trovare la sua identità».
Ma non è possibile fare prevenzione? «Nel lavoro di studio che le équipe dei servizi attivano sui coniugi, si cerca di capire quali sono le motivazioni all?adozione e gli indicatori di rischio», dice Galli, «quali il rapporto di coppia, l?immagine del bambino ideale che si sono costruiti. Poi si cerca di renderli consapevoli delle loro capacità. Nonostante questo, alcuni sviluppano un senso di onnipotenza verso l?adozione, dicono: ?A noi questo non succederà?. E anche se la relazione dei servizi è negativa e il Tribunale non concede l?idoneità ad adottare, certe coppie ricorrono alla Corte d?appello. In quel caso, 90 volte su 100, i giudici accolgono il ricorso perché non sempre entrano nel merito dell?equilibrio di coppia».

Manca il sostegno
Quello che accade dopo, è raccontato nelle 180 pagine del libro: coppie ?perfette? che arrivano al maltrattamento, o che dopo il fallimento si separano. Peggio, che dopo il fallimento riadottano, e falliscono di nuovo. «Mentre si fa passare il messaggio che qualsiasi coppia è adatta all?adozione, si nega al bambino una tutela fondamentale, quella di poter elaborare il proprio trauma dell?abbandono senza rischiare di essere riabbandonato», dice la Galli.
Oltre a una formazione più accurata, si può intervenire anche dopo l?adozione. «Le famiglie adottive vivono una condizione di maggiore fragilità e complessità rispetto a quelle naturali», conclude Viero. «Pertanto, sembra indispensabile, e anche la legge 476 del 1998 lo prevede, che siano individuati percorsi di sostegno specifici».
Info: Per chi vuole confrontarsi:
Ciai, tel. 02.540041, Famiglie per l?accoglienza, tel. 02.70006152

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