Come per i blockbuster made in Usa ci vuole il sequel. Dopo il libro scandalo di Caprotti il dibattito tra coop di consumo e concorrenti for profit prosegue, seppur su altri temi e con altri toni. E’ il caso di questo articolo di Massimo Mucchetti uscito sul Corriere di domenica 14 febbraio. Tesi interessante e soprattutto ben sostenuta da dati di fonte Mediobanca. In sintesi le coop di consumo risultano economicamente meno performanti in confronto al loro principale competitor Esselunga e l’equilibrio dei loro bilanci deriva, in parte non residuale, dalla finanza interna ovvero il prestito da soci. Uno strumento che, come si sa, viene messo sul banco degli imputati dai critici della cooperazione. L’autore ne fa una questione di efficienza e per sostenere la sua posizione porta il caso dell’inglese John Lewis Partership (che come modello sembra però assomigliare più a una coop di lavoro che di consumo). Sarà davvero così? Per rispondere viene sondato soprattutto lo scambio mutualistico tra i soci e i rapporti con gli stakeholder primari (lavoratori). E in effetti, parlando sempre in soldoni, sembra che a livello di prezzi dei prodotti e costo delle retribuzioni ci siano margini di inefficienza da recuperare. Al computo si dovrebbero però aggiungere anche misure di efficacia dell’azione cooperativa, in particolare quelle riguardanti il principio del “concern for community” che nell’articolo viene un pò maltrattato con generici riferimenti a “impegno per il Sud” e per il “Terzo Mondo”. Ma qui siamo nel campo dell’accountability sociale. Chissà se nei dati Mediobanca…
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