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Fake-ong, lobbisti e Pr d’assalto, ecco l’astroturfing made in Ue

Il Registro europeo per la Trasparenza censisce oltre 12mila fra ong, associazioni, lobbies e gruppi di interesse vari, per un giro d'affari complessivo di due miliardi di euro all'anno. Fra quanti rappresentano diritti o interessi legittimi, si annidano anche realtà di facciata o borderline che praticano appunto la tecnica marketing di creare un falso consenso dal basso, l'astroturfing. Parlano gli esperti del Corporate Europe Observatory

di Irene Giuntella

Non solo Big Tech, lobbies industriali, energetiche o chimiche. Bruxelles è invasa anche da associazioni, ong, consultancies e organizzazioni di Paesi terzi che si occupano di temi sociali, tra questi anche diritti umani, migrazione.

Negli ultimi tempi non è difficile incappare in uffici a Bruxelles che hanno le loro sedi principali, non solo in altri Paesi, ma proprio in altri continenti. Alcune organizzazioni di Paesi terzi partecipano anche a progetti europei, è il caso spesso di agenzie di comunicazione che vincono bandi europei, anche per la comunicazione di istituzioni Ue e di progetti europei, o di uffici europei di think tank o network accademici americani ad esempio che si occupano anche di temi sociali.

In generale, “nel Registro Ue per la trasparenza ci sono almeno 12mila entità registrate, ma ovviamente alcune società di lobby/consulenza hanno diverse persone che lavorano per loro”, commenta a VITA Hans Van Scharen , ricercatore di Corporate Europe Observatory-Ceo.

Il ricercatore di Ceo ne stima 30mila di lobbisti che lavorano a Bruxelles, con un budget annuale totale di 2 miliardi, “ci sono anche molte società di Paesi non Ue rappresentate a Bruxelles, ma non abbiamo dati precisi al riguardo”, aggiunge.

Per Corporate Europe Observatory, le lobbies industriali sono in numero decisamente maggiore rispetto alle ong e associazioni non profit. Ma c’è da dire che “dall'entrata in vigore delle nuove norme sul registro Ue per la trasparenza nel 2021, le ong non sono più obbligate a compilare molti dati finanziari, che potrebbero essere problematici o costituire una scappatoia”, ha spiegato il ricercatore. In questo modo è certamente difficile risalire ai finanziamenti, da quali realtà le ong che non forniscono dati sono finanziate o che tipo di donazioni ricevono e quindi anche tutte le cause per cui fanno attività di lobby e le loro dimensioni. Se si aggiunge questa “scappatoia” al fatto che le lobbies di Paesi terzi, seppure dal 2021 dovrebbero essere registrate, non hanno sanzioni o meccanismi di controllo se non si segnano al registro per la Trasparenza Ue, e qui la falla nelle regole Ue sembra evidente nel lasciare aperti a possibili infiltrazioni criminali, come nelle cronache di questi giorni sul Qatargate, la vicenda di corruzione che sta coinvolgendo deputati (del gruppo Socialisti & Democratici, ndr) del Parlamento europeo e il loro assistenti, vicenda che sembra essere solo all’inizio.

«Le ong sono soggette alle stesse regole dei normali lobbisti aziendali. Ma mentre per un lobbista d'affari – di un'azienda o di un'associazione industriale – sarà difficile nascondere le proprie origini e i propri interessi, la creazione di una ong per rappresentare interessi d'affari (il cosiddetto astroturfing: una tecnica di marketing scorretta per far sembrare spontaneo un messaggio o consenso, spesso utilizzata da persone retribuite con metodi non trasparenti ) o di un Paese straniero, può permettere di nascondere le proprie origini. L'attuale registro fa poco per rimediare a questa situazione. I casi di astroturfing, ad esempio, o di gruppi di facciata, non vengono mai scoperti dai funzionari che gestiscono il registro, a quanto ricordo”, spiega anche un altro ricercatore di Ceo, Kenneth Haar.

Secondo la piattaforma Integrity Watch che raccoglie i dati delle organizzazioni che si iscrivono al Registro Ue per la Trasparenza, nel dicembre 2022 sono presenti almeno 2.324 che sono ong, piattaforme, network e simili. Sempre tra queste, 799 tengono incontri di alto livello con la Commissione europea. Cercando ad esempio i temi trattati dalle lobbies a Bruxelles, i diritti umani figurano 3.943 volte tra gli scopi, contenuti di dossier e incontri con rappresentanti delle istituzioni Ue, 648 sulla migrazione e 108 sui visti. Se si cerca lavoro escono 4.242 risultati, 563 per lavoratori e 3.403 sui lavoratori e diritti. Tra le ong, piattaforme, network e simili, secondo la piattaforma Integrity Watch, 124 sono Usa. “Non ci sono dati sulle lobbies straniere, ma abbiamo scoperto che molte evitano di registrarsi nel registro delle lobbies. Alcune utilizzano, ad esempio, studi legali e think tank come veicoli di lobby e non vengono mai iscritte nel registro. Quindi è quasi impossibile quantificare.

Ad esempio, qualche anno fa la Ceo ha condotto un'indagine su una società di pubbliche relazioni che rappresentava l'Arabia Saudita, la quale era iscritta al Registro per la trasparenza, ma non aveva mai inserito l'Arabia Saudita tra i propri clienti nel registro. Pensiamo che questo possa accadere spesso”, commenta Haar. Questo, secondo la Ceo, anche perché nell'Ue “c'è relativamente poca trasparenza per le reti di influenza dei governi stranieri, soprattutto se si confronta con qualcosa come il Foreign Agents Registration Act degli Stati Uniti, dove i governi stranieri e le loro società di consulenza sono tenuti per legge a pubblicare tutti i contratti, compresi i finanziamenti e i dettagli del lavoro svolto, e ci sono sanzioni effettive per i trasgressori (come abbiamo visto con Paul Manafort)” , spiega ancora Haar.

Il maggior numero di ong straniere nella capitale belga proviene molto probabilmente dagli Stati Uniti. Ma non solo.

“Negli ultimi sei anni abbiamo assistito a un grande aumento delle spese per le pr e le consulenze di lobby da Paesi come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Qatar, soprattutto quando i primi due erano in lotta geopolitica contro il Qatar; entrambi hanno pagato un sacco di soldi per rafforzare le loro campagne di influenza sia nell'Ue che a Washington”, riprende Haar.

Se, però, si cercano sulla piattaforma organizzazioni, di qualunque genere, iscritte al registro per la Trasparenza Ue, con sedi in Qatar, Paese coinvolto nel caso di corruzione del Parlamento Ue, o che faccia interessi per questo Paese, non ne risulta nessuna registrata. Se si cerca la parola Qatar, tra i contenuti di incontri o dossier registrati, escono 13 risultati e 22 se si cerca Qatar Airways.

Mentre, per un altro Paese che sembra rientrare nelle vicende di corruzione dei parlamentari e assistenti Ue, il Marocco, ne risultano invece sei di organizzazioni registrate: Confédération Générale des Entreprises du Maroc con un budget da 100mila euro per fare lobby; Fédération des Industries de Transformation et de Valorisation des Produits de la Pêche con un budget da 10mila euro per lobby; la Chambre de Commerce Belgo Luxembourgeoise au Maroc con 10mila euro di spese per lobby; la Association professionnelle des fabricants d'huiles au Maroc Triturateurs-Raffineurs della quale non risultano spese per l’attività di lobby; la Etablissement Autonome de Contrôle et de Coordination des Exportations, le cui spese non sono disponibili, l’organizzazione Cites et Gouvernements Locaux Unis d’Afrique con zero spese registrate. Secondo un rapporto di Corporate Europe Observatory del 2017, “la presenza e i livelli di attività delle ong e dei sindacati a Bruxelles sono cresciuti costantemente negli ultimi anni, ma il campo di gioco in cui si svolgono le battaglie di lobby tra le grandi imprese e questi gruppi è ancora estremamente diseguale”. I gruppi della società civile “hanno subito anche una continua controffensiva da parte delle lobbies delle grandi imprese, che sostengono che le ong hanno troppo potere”. Questo ad esempio è avvenuto dopo delle mobilitazioni popolari di massa guidate dagli attivisti sulla questione della politica commerciale dell'Ue e in particolare dell’Accordo transatlantico per il commercio e gli investimenti – Ttip.

“La consapevolezza da parte dei lobbisti aziendali dell'impatto potenziale di tali campagne li ha portati a cercare di screditare le ong a Bruxelles e persino a condurre una campagna per depotenziarle”, scrive ancora Corporate Europe Observatory.

Inoltre, una ricerca di LobbyFacts.eu (gennaio 2017) mostra che le aziende e i loro gruppi di pressione hanno il 60% in più di lobbisti accreditati al Parlamento europeo rispetto alla società civile (3mila contro 1.900 lobbisti accreditati).

Anche lo squilibrio nella capacità di spesa è enorme, in particolare su questioni come la regolamentazione finanziaria. Uno studio della Corporate Europe Observatory del 2014 ha rilevato che il settore finanziario spende oltre 120 milioni di euro all'anno per l'attività di lobby nell'Ue, 30 volte di più delle Ong e dei sindacati messi insieme. Ma “un numero maggiore di lobbisti e di denaro non significa che le grandi imprese vincano sempre, ma è chiaro che questo dà alle lobby aziendali un forte vantaggio e spesso si traduce in un'eccessiva influenza dell'industria su molte politiche”, si legge nel rapporto di Ceo.

Ci sono, poi, secondo un rapporto della Ceo del 2015, diverse società di pubbliche relazioni europee che lavorano per “ripulire” l’immagine di diversi regimi nel mondo. Nella relazione, “si fa luce su come i dittatori e i regimi repressivi paghino le società di pubbliche relazioni e i lobbisti europei per promuovere la loro agenda e mascherare le loro terribili azioni in materia di diritti umani”, scriveva la Ceo.

Tra i casi studio riportati da Corporate Europe Observatory: la storia degli spin doctor (Levick) che hanno ripulito l'immagine del presidente nigeriano Goodluck Jonathan e la sua catastrofica gestione di Boko Haram in vista delle elezioni di allora; uno sguardo alle varie società di pubbliche relazioni (ad esempio Gplus) che diffondono la posizione della Russia (e della società statale del gas Gazprom) sul conflitto in Ucraina a Bruxelles; un nuovo think tank dell'Asia centrale a Bruxelles, che in sostanza è un gruppo di facciata pagato dalla dittatura del Kazakistan; le società di pubbliche relazioni, i gruppi di facciata (The European Azerbaijan Society) che cercano di rendere migliore agli occhi europei “la dittatura sempre più repressiva dell'Azerbaigian”; una società di Bruxelles che si “modella sui lobbisti di Washington e che difende gli interessi – e i beni – del corrotto ex regime ucraino”; la società di pubbliche relazioni BGR Gabara, con sede a Londra e Bruxelles, che rappresenta il governo del Bangladesh per gestire la sua immagine internazionale mentre condanna a morte diversi esponenti di spicco dei partiti islamici di opposizione in un processo viziato di crimini di guerra; accusato dalla Corte penale internazionale di crimini contro l'umanità, il candidato alla presidenza del Kenya, Uhuru Kenyatta, ha assunto una società di pubbliche relazioni per screditare la Corte Penale Internazionale – Cpi durante la sua campagna elettorale.

"Far sparire le persone nella notte, torturare i dissidenti, diffamare gli oppositori, usare il lavoro degli schiavi e uccidere i manifestanti può essere un lavoro quotidiano per dittatori e criminali di guerra. Ma il fatto che paghino società di pubbliche relazioni e lobbisti europei per ripulire i loro crimini, senza alcun tipo di responsabilità, è un'accusa vergognosa alla democrazia nell'Ue", aveva dichiarato la giornalista freelance Katharine Ainger, incaricata dal Ceo di scrivere il rapporto a suo tempo. Casi e considerazioni che sembrano ancora più attuali oggi, anche se a Bruxelles si assiste ora ad un passaggio ulteriore, non si tratta più solo di lobby a contratto di regimi, ma di Paesi che “comprano” deputati e dipendenti delle istituzioni europee per insabbiare le violazioni dei diritti umani. Nel 2015, Ceo insisteva “il rapporto mostra anche come rappresentare governi responsabili di crimini di guerra o di gravi abusi dei diritti umani sia in contraddizione con i vari codici di condotta e le linee guida sulla responsabilità sociale delle imprese che molte società di pubbliche relazioni e lobbisti hanno sottoscritto”.

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