Cultura
Facebook, Zuckerberg e la creazione dell’algoritmo per la comunità globale
Il fondatore del celebre social network ha proposto un suo manifesto per “unire l’umanità”. Abbiamo chiesto un’analisi al filosofo Franco Bolelli
Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg ha postato ieri sera un lungo “manifesto” dal titolo Building Global Community con cui delinea le sfide attuali, la sua visione del mondo e le misure a cui Facebook può contribuire per “unire l’umanità”.
In molti la hanno definita un aperto impegno politico e addirittura un primo passo verso una futura candidatura alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Nessuno però si è soffermato molto sul contenuto del post. Vita.it ha chiesto di analizzarlo al filosofo Franco Bolelli.
Professore, ha letto il Manifesto di Mark Zuckerberg?
Certamente
Vorremmo che ci accompagnasse passo passo lungo questo post…
Benissimo
Iniziamo dal principio. Il titolo è già chiaro ma a chiarire la direzione ci pensa la domanda d’esordio di Zuckerberg, “Stiamo costruendo il mondo che ci piace?” cui aggiunge che “le nostre migliori opportunità sono globali”. Dunque o global o morti?
L’incipit a mio avviso è giusto. Condivido assolutamente la sua visione. Da convinto sostenitore della globalizzazione so che è lì che si stiamo andando, che ci piaccia o no. Quello che stiamo vedendo, dalla Guerra dei Balcani, passando per il fondamentalismo islamico, è la reazione di un mondo di fronte alla prospettiva di perdere o dover reinventare le proprie identità. Così si aggrappa, anche aggressivamente, alla propria realtà. Sono convinto sia un processo irreversibile e necessario. Ovviamente rimane il problema del come questo processo è stato condotto. È una trasformazione totalmente da creare.
E la dimensione locale, territoriale, anche nel senso culturale del termine che fine fa?
Una volta si diceva glocal: un rapporto tra locale e globale che va totalmente creato. D’altra parte è un processo che è la prima volta che si presenta nella storia umana. Mi sembra che Zuckerberg vada nella direzione giusta, se non altro perché si pone il problema della difesa della comunità. Sono convinto che oggi i riferimenti non siano gli stati o le istituzioni sovranazionali che sono create dall’alto e burocratiche. Oggi il polo d’attrazione sono le grandi città. Milano è un esempio spettacolare, che viaggia ad un’altra velocità rispetto al Paese. Una comunità è tanto più forte quanto riesce ad essere aperta.
Scrive ancora Zuckemberg: “La mia speranza è di costruire nel lungo termine una infrastruttura sociale per unire l’umanità. Una comunità inclusiva, informata, sicura, impegnata dal punto di vista civico. Tutte le soluzioni non arriveranno solo da Facebook, ma noi potremo giocare un ruolo”. Una comunità inclusiva globale basata su una Spa? Le sembra credibile?
Tira leggermente l’acqua al suo mulino. Ma io dico perché no? A me se qualcuno conduce brillantemente i suoi affari mentre fa il bene della società non pare un problema. Se fai enormi profitti ma migliori la qualità della mia vita ti sostengo. Capisco l’obiezione, sia chiaro, ma mi interessa di più la mission di fondo. Nella loro ci vedo degli elementi positivi. Il fatto che ogni giorno milioni di persone scrivono le proprie idee o la possibilità di incontrare persone lontanissime o ancora creare comunità mobili che si formano e si sformano. Tutto questo mi piace.
A patto che si tenga ben distinto e separato ciò che è sociale da ciò che è social…
Assolutamente. Questo è chiaro. Il sociale va a toccare anche una forma di velocità diversa. Tutto ciò che è mediazione – politica, cultura, società – è più lento dell’innovazione. Il vero guaio della politica non è la corruzione ma il drastico ritardo rispetto ai processi di mutamento. Dovendo tenere insieme gruppi, cose ed esigenze diverse viaggia ad una velocità diversa. Social è chiaramente più facile del sociale.
Non la spaventa l’idea di un mondo e una società basate su un algoritmo cui sono demandate le scelte?
Detta così fa paura. Questo lo dovremo vedere, non lo so. In questo momento non capisco cosa vuol dire. Un mondo che si muove sugli algoritmi mi fa venire una perplessità immediata. Però non ce la siamo ancora giocata. Non so che possibilità di funzione unificante gli algoritmi possano avere.
Bè però almeno guardando a quello che è oggi Facebook non sembra essere uno scenario promettente…
Io penso il contrario. Io sono assolutamente un fan di Fb. Non solo perché unisce, permette di scambiare idee ed è un acceleratore straordinario. Oggi puoi, con 200 buoni contatti, avere il polso di quello che succede nel mondo. Quindi è una fonte di informazione straordinaria. E poi c’è la faccenda della faccia, che a me interessa molto. Ha fatto aumentare in maniera enorme l’esigenza dell’autenticità. Prima di Fb in rete tutto era basato sulla finzione. Faccio un esempio stupido: sei anni fa ho fatto uscire un libro con Jovanotti. Abbiamo fatto la pagina del libro e sono naturalmente arrivati i fan di Lorenzo in massa. Solo che poi sono migrati in larga parte sulla mia pagina. Non perché io si migliore o più simpatico ma solo perché quella dedicata era troppo vaga e personale. Questo secondo me ha un valore enorme.
Lei parlava della possibilità che Fb dà alle persone di esprimere le proprie idee. Basta poco però per accorgersi che per esprimere delle idee bisogna anche saper pensare. Non è un caso che Eco avesse un’opinione di questa estrema libertà d’espressione un po’ diversa dalla sua…
I social sono uno strumento pazzesco per il 20% dell’umanità cui ha dato un aiuto enorme per migliorare. Sull’altro 80% incominciano i dubbi. Però quel 20% rappresenta un miliardo di persone. Non ci sono più le piccole avanguardie come in passato.
“L’accuratezza delle notizie è molto importante e una questione molto seria”, ha scritto Zuckerberg, “ma stiamo attenti perché è molto labile la linea tra bufale, satira e le opinioni, e la libertà di opinione è fondamentale”. Sembra anche che per evitare il proliferare di fake news voglia privilegiare i contenuti con un alto minutaggio di lettura. Un errore se si pensa che chi legge di più in rete sono i complottisti di ogni risma…
Bisogna vedere com’è adottato. Anche io sono rimasto perplesso. È chiaro che il criterio quantitativo non è quello giusto. Credo che il problema di Fb debba essere per forza qualitativo. O alzano la qualità oppure collassa tutto. Quello che dice nel manifesto è insufficiente.
Ma le sembra plausibile la costruzione di una comunità in cui un algoritmo di proprietà privata decide cosa è lecito e cosa no, cosa è un’opinione e cosa una notizia?
Credo che sia una dinamica interessante nella quale questa storia degli algoritmi e la capacità degli uomini di reagire agli stessi creerà un cambiamento. Credo molto ai sistemi di autoregolazione degli umani e nella nostra capacità di dirottare un cambiamento per il meglio.
Sempre allo stesso riguardo Zuckerberg scrive che «Cominceremo ad occuparci dei messaggi di odio e violenza. Su alcuni aspetti faremo già delle implementazioni nel 2017, ma per altri non sarà possibile per molti anni»…
L’odio e la violenza si possono disincentivare ma si possono né negare né cancellare. Sono congeniti alla relazione tra esseri umani. È chiaro che su Fb sono stati tirato fuori in modo più eclatante.
Bene arriviamo allora al punto: ma perché allora investire tutte queste risorse e energie per migliorare la comunità virtuale di Facebook quando potremmo farlo nelle comunità reali che di riflesso migliorerebbero anche Facebook?
Questo è chiave. Io però non vedo le due cose in contraddizione. Non vedo una cosa a scapito dell’altra. È chiaro che lui vede il potenziale, anche economico, per sé. Ma credo che di mettere le mani nella società non bisogni neanche chiederglielo. Fb è un mondo parallelo, che influenza ed è influenzato dalla realtà. Il punto è se è possibile la creazione di comunità anche attraverso la rete. Secondo me in parte. Non possono essere esaustivi delle relazioni i social. Però le cambiano.
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