Non profit

Export di armi, ecco come cambia la legge 185

Vita ha analizzato i punti critici della nuova legge insieme a Emilio Emmolo, ricercatore di Archivio Disarmo.

di Benedetta Verrini

222 sì, 115 no, 20 astenuti. Il 3 giugno l?aula della Camera ha dato il sì definitivo al disegno di legge 1927-B, contenente ratifica all?Accordo di Farnborough e significative modifiche alla legge 185/90. Si è conclusa così, dopo 18 mesi, una lunga battaglia per difendere i controlli e la trasparenza nel settore del commercio delle armi. Grazie all?impegno della Campagna in difesa della 185, migliaia di persone hanno fatto pressione sul Parlamento perché la norma non venisse svuotata. In attesa della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, Vita ha analizzato i punti critici della nuova legge insieme a Emilio Emmolo, ricercatore di Archivio Disarmo. Vediamo cosa cambierà. La legge è stata modificata. Ora tutto dipende da come verrà implementata e applicata. Per questo si può ben dire che il lavoro della Campagna comincia oggi». è con questa premessa che Emilio Emmolo inizia a parlare della riforma alla legge 185. Perché al testo di legge approvato (13 articoli in tutto: i primi due relativi alla ratifica dell?Accordo di Farnborough, gli altri dedicati alla 185/1990) seguirà un nuovo regolamento di attuazione. «Sulla base di questo» continua Emmolo, «e di come sarà la prossima relazione al Parlamento, potremo valutare il funzionamento della nuova legge. E monitorare a quanti progetti di co-produzione industriale è stata applicata». Ma cosa cambia, almeno sulla carta? Uno dei punti più critici riguarda la licenza globale di progetto, creata per «alleggerire» tutte le procedure di controllo sulla produzione di armi. «Di fatto, cambiano le procedure di autorizzazione» spiega. «Se in passato l?esportazione di ciascun pezzo (mitraglietta, ala di aereo, ogni singolo bullone) doveva essere sottoposta a specifica autorizzazione, ora con la licenza globale di progetto sarà sufficiente una sola autorizzazione per un certo numero di pezzi, scambiati con un Paese partner e poi eventualmente esportati verso Paesi terzi». Questo è uno degli aspetti che preoccupano maggiormente le organizzazioni impegnate nella Campagna, anche perché non è dato sapere l?identità di questi Paesi terzi: fanno parte di una «lista bianca», compilata dai partner di Farnborough, che non viene resa pubblica. Ma c?è di più: il ddl, come è noto, è andato ben oltre la ratifica e ha esteso il meccanismo della licenza globale di progetto a tutti i Paesi Nato e Ue (art. 7). Le organizzazioni della Campagna hanno fatto notare che per questi Paesi e le loro industrie, non aderenti all?Accordo di Farnborough, gli accordi relativi alla lista bianca e alle destinazioni «lecite» non valevano e la licenza globale di progetto si sarebbe potuta trasformare in una delega in bianco. Per questo, la versione definitiva della legge risulta un po? migliorata, perché ha reintrodotto la responsabilità dello Stato italiano nella definizione delle destinazioni lecite anche per le coproduzioni con Stati non parte del trattato (art. 7: «Tali accordi devono inoltre prevedere disposizioni analoghe a quelle di cui all?articolo 13 dell?Accordo quadro»). Riguardo ai meccanismi di trasparenza e all?impianto della relazione, il testo definitivo è uscito comunque «meno peggio» di come avrebbe potuto. Grazie a emendamenti introdotti al Senato è stata salvaguardata la trasparenza bancaria (i senatori hanno eliminato l?art. 11, con cui si voleva abolire il meccanismo di autorizzazione alle transazioni bancarie). Sempre al Senato è stato introdotto un secondo emendamento volto a riportare nella relazione annuale al Parlamento anche l?elenco dei programmi sottoposti a licenza globale di progetto con l?indicazione dei Paesi e delle imprese italiane partecipanti «nonché le autorizzazioni concesse dai Paesi partner relative a programmi a partecipazione italiana e sottoposti al regime della licenza globale di progetto». L?obbligo dei Paesi partner di comunicare il rilascio dell?autorizzazione all?esportazione rappresenta uno strumento per avere informazioni sulla destinazione finale degli armamenti. Il limite di questa norma, però, sta nel fatto che non tutti i Paesi rilasciano autorizzazione all?esportazione. Ci sono ampi margini per cui, alla fine, l?ultimo compratore riesca a rimanere nell?ombra. L?ultimo discusso passaggio riguarda il divieto di esportare a Paesi che si siano resi responsabili solo di «gravi» violazioni ai diritti umani. In questo caso, purtroppo, le pressioni della società civile non hanno portato a modifiche migliorative (a parte un ordine del giorno interpretativo approvato sempre durante il passaggio al Senato). «L?aggiunta dell?aggettivo ?gravi? viene motivata con la necessità di adeguarsi ai criteri del Codice di condotta dell?Unione Europea, approvato nel 1998, che prevede proprio la specifica della gravità delle violazioni» spiega Emmolo, «ma il Codice di condotta, vale la pena di ricordarlo, costituisce solo un insieme di regole ?minime? per gli Stati, sempre modificabili in meglio. E soprattutto, il Codice di condotta non è vincolante. Migliorarlo e renderlo obbligatorio costituisce oggi uno degli obiettivi più stringenti della Campagna».

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