Volontariato

Export. 55 ong lanciano l’allarme. Armi, Europa zero in condotta

Ancora troppe le esportazioni europee verso Paesi poveri o sotto embargo. Come la Cina, che è il terzo miglior cliente dell’industria italiana.

di Benedetta Verrini

Venti miliardi di dollari di armi verso Paesi in via di sviluppo sono state esportate dall?Unione Europea dal 1994 al 2001. Motori tedeschi montati su blindati cinesi, in barba all?embargo. Elicotteri assemblati da un consorzio franco-indiano e poi esportati in Nepal, dove sono usati contro la popolazione civile. Armi di piccolo taglio austriache vendute a destinazioni illecite via Malesia. è il quadro poco tranquillizzante del commercio europeo d?armi tracciato nel rapporto Assumere il controllo: l?opportunità di migliorare il Codice di condotta dell?Unione europea sui trasferimenti di armi. Il documento è stato redatto da 55 ong europee per segnalare come, nonostante il Codice di condotta del 1998 sia ormai preso come il migliore standard possibile (a una sua «continua e puntuale osservanza» si è richiamata anche una recente mozione bipartisan sull?Africa approvata dai deputati italiani), la sua rete di controlli non è abbastanza severa da evitare che le armi finiscano nelle mani sbagliate. Proprio di questa emergenza si è parlato nel corso della Conferenza internazionale, organizzata dalla presidenza olandese, il mese scorso. Un appuntamento che ha chiamato a raccolta non solo il mondo del non governativo, ma anche rappresentanti del Parlamento europeo e membri dei governi di 18 diversi Paesi. Grande assente, nonostante le numerose ?pendenze? aperte, il governo italiano. Secondo le osservazioni delle ong, l?Italia continua a barcamenarsi negli spazi ?vuoti? tra legge 185/1990 (così come è stata riformata) e Codice di condotta, così da effettuare esportazioni al limite del lecito: basti ricordare le armi vendute alla Cina (nella relazione del 2003 figura al terzo posto tra i Paesi acquirenti), alla Siria, al Pakistan e ad altri Paesi con problemi di destabilizzazione, di sicurezza, di violazione dei diritti. Al centro del dibattito, in effetti, c?è soprattutto la Cina. «Va ricordato che, nonostante l?embargo, i Paesi Ue in questi anni hanno continuato a vendere armi a Pechino. Oltre a Francia, Gran Bretagna, Germania e Spagna, anche l?Italia non ha osservato l?embargo», spiega Emilio Emmolo, responsabile del Coordinamento trasferimenti di armi della sezione italiana di Amnesty international. «Negli ultimi dieci anni, come ha ricordato anche l?osservatorio sul commercio delle armi dell?Ires Toscana, le nostre esportazioni belliche in Cina ammontano a circa 200 milioni di euro». Sulla revisione del Codice ha speso molto impegno la presidenza olandese, che però scade il prossimo 31 dicembre e ad essa seguirà una presidenza meno ?sensibile? al tema, quella lussemburghese. La preoccupazione delle ong è che venga meno la volontà politica di apportare le modifiche necessarie per ottenere realmente dei cambiamenti. «Le nostre proposte vanno sostanzialmente lungo due direttive», spiega Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana per il disarmo (ControllArmi). «La prima è il rafforzamento del Codice sia dal punto di vista strettamente giuridico, rendendolo vincolante, sia da quello dei criteri e delle procedure. La seconda è invece un?azione perché l?Italia adotti finalmente una legge per il controllo sui mediatori d?armi». La Ue ha infatti già espresso una posizione comune sul tema, che vincola tutti gli Stati a dotarsi di una legge, ma «ad oggi non esiste neppure una proposta nel Parlamento italiano», sottolinea Vignarca. «Stiamo lavorando per una campagna da lanciare nel gennaio prossimo, che porti alla stesura di un testo forte e ragionato per il controllo dell?attività di tutti gli intermediari, compresi quelli finanziari. E che si doti del principio dell?extraterritorialità, in particolare per quanto riguarda il caso in cui siano cittadini stranieri a operare le mediazioni o in cui le armi non passino sul suolo italiano».


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