L’esperienza della nevicata di questi giorni, le polemiche sul ruolo di Malpensa, le incertezze sui finanziamenti all’Expo mi convincono sempre più che una metropoli come Milano non può pensare il proprio presente e progettare il futuro senza tenere conto del punto di osservazione di quella larga parte di popolazione che vive in modo consapevole la solidarietà, il volontariato, i bisogni effettivi delle persone più in difficoltà.
Per questo motivo sono contento che la Provincia di Milano mi abbia chiesto di organizzare i contenuti di una giornata di riflessione, martedì 13 gennaio, sull’Expo. Sarà una prima occasione, a inizio di anno, per verificare in concreto che cosa può significare un cambiamento di atteggiamento culturale rispetto agli investimenti infrastrutturali. Non c’è sviluppo equo senza sostenibilità, senza accessibilità per tutti, senza attenzione alla coerenza fra i contenuti di un evento e qualità della vita.
Expo parlerà di alimentazione nel mondo, e noi sappiamo che la denutrizione e la miseria sono la principale causa di disabilità nei paesi poveri. Expo farà convergere nell’area metropolitana lombarda milioni di operatori e di visitatori, non tutti atletici e giovani, molti anziani o dalla mobilità limitata, o dalle esigenze alimentari particolari, o con problemi di vista, di udito, di relazione.
Giudicheranno quello che offriremo non solo per la bellezza di un grattacielo, ma soprattutto per la qualità complessiva dell’ambiente urbano, delle connessioni, delle opportunità di rete, culturali, sociali. Questa metropoli può esprimere competenze eccellenti nel campo dell’accoglienza per tutti, della progettazione universale, della comunicazione inclusiva. E l’Expo può diventare, se lo si vuole, un terreno privilegiato di sperimentazione del nuovo, di un nuovo stile di vita e di progresso economico e sociale.
E’ dunque importante che non si ragioni solo in termini di investimenti monetari, di soldi, di progetti “vetrina”, quando le nostre metropolitane, i nostri aeroporti, le stazioni, gli alberghi, le strade, i luoghi pubblici non sono accoglienti, non sono interconnessi, non sono amichevoli verso chi arriva da lontano o verso chi si sposta ogni giorno per le più svariate ragioni.
Ho trascorso alcuni giorni in casa, vivendo in sedia a rotelle, perché una nevicata mi ha di fatto costretto a vivere bloccato. Ho pensato a Stoccolma, a Berlino, a Oslo, e mi sono domandato come fanno i disabili di quei Paesi. E’ evidente che le difficoltà esistono ovunque, ma ho la sensazione che qui stiamo perdendo colpi, ci stiamo allontanando da un minimo standard di qualità urbana e dunque umana.
Proviamo a ripartire da qui.
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