Volontariato
Exodus, oltre 200mila euro di danni. Don Mazzi, ritorno nella casa di fango
Per la quinta volta la cascina della comunità è stata travolta dalle acque del Lambro. Ma questa piena è la più grave. E ora per ripartire chiedono laiuto a tutti.
Era inquieto don Mazzi, perché tra i tanti disastri, il Lambro, esondato a fine novembre, aveva portato via anche la Madonnina della comunità. «Era qua, proprio dietro la rete, che ci proteggeva. L?abbiamo cercata per giorni e giorni. Poi il 10 dicembre l?abbiamo ritrovata, 60 metri più in là, sotto un cespuglio. Ora la facciamo restaurare. Sai è la nostra, di Madonnina».
E’ la quinta volta, dal 1989, anno in cui la cascina di don Mazzi è stata inaugurata, che subisce la furia delle acque, o meglio dell?acqua del Lambro. Nel 1992, quando l?inondazione fu terribile quasi quanto questa, decisero di alzare, senza alcun tipo di permesso e quindi in maniera del tutto illegale ma necessaria, un argine, giusto dietro il pergolato. Questa volta ha ceduto tutto: argine, reti, pergolato, rose e Madonnina. Ora si contano i danni. E la lista è lunga, dolorosamente lunga. Per una settimana 27 ragazzi sono stati trasferiti altrove, prima a Verona e poi a Monza, con tutti i problemi sanitari e burocratici che è facile immaginare. Ora che sono tornati hanno visto che la loro parte è stata la più danneggiata dalla furia delle acque. Il fango ha invaso le stanze della comunità, i laboratori di pelletteria e informatica, il teatro, la sala riunioni.
Cifre è difficile farne anche se siamo nell?ordine di qualche centinaio di migliaia di euro. Ma i danni più gravi sono alle strutture murarie e alle porte antipanico, che si sono imbevute di umidità e che si sono tutte gonfiate. «A volte mi chiedo«, si sfoga don Antonio, «se anche noi siamo cittadini di Milano oppure vagabondi accettati all?estremità del parco con il tacito ordine di non rompere e di raccogliere la gente più disperata. Se a questo mondo ci sono matti, tossici, alcolizzati e battone, la colpa è certamente mia. Perciò anche le conseguenze».
Il suo gregge
Don Antonio, visto a casa sua, nella sede della comunità Exodus nel parco Lambro di Milano, ha l?aspetto, il daffare e un po? la mestizia di quei preti di campagna che vanno per le spicce, non hanno tempo da perdere ché c?è la campana da suonare, la messa da dire, il gregge da proteggere. Nessuno glielo ha mai spiegato bene, ma la sua cascina è sistemata in quella che è una vera golena, dove vengono accolte le acque del Lambro per impedire che invadano la città. Ma ora facendosi più frequenti le piene, il problema diventa drammatico. «Mi hanno spiegato che la responsabilità è del magistrato dell?Autorità delle acque (ex magistrato del Po), che ha sede a Parma e non so nemmeno chi sia. Qui non s?è visto», spiega don Mazzi. Ma l?ultima emergenza ha fatto scattare l?allarme anche alla Regione Lombardia che ha promesso di farsi carico del problema.
Anche il Ceas
Del resto nella stessa area è situata anche un?altra comunità, il Ceas – Centro ambrosiano di solidarietà. Anche lì si contano i danni, ancora più gravi per il fatto che la struttura che ospita la comunità è dotata anche di cantine. Quali sono le soluzioni possibili? I collaboratori di don Mazzi, come i loro colleghi del Ceas, sono in attesa di risposte. Probabilmente si tratta di scavare un canale scolmatore che tenga le cascine al riparo dalle piene ed eviti che il Lambro esondi verso zone abitate. Ma la parola ora è ai tecnici della Regione. Intanto a Exodus la vita lentamente riprende. Anche se piange il cuore vedere il bel roseto azzerato e tutta la recinzione divelta. «Per solidarietà ci hanno mandato sacchi di sabbia e caffè», commenta con asprezza don Mazzi. Che guarda verso Milano, là, all?orizzonte, e scuote la testa. «Milano non è più Milano?»
Qui Ripabattoni. La Casa famiglia è già riaperta
A Ripabottoni c?era una casa famiglia per anziani e malati che il terremoto ha reso inagibile. Allora noi, come Caritas, abbiamo pensato di intervenire subito e una parte degli aiuti che ci sono arrivati attraverso le donazioni dei privati l?abbiamo convogliata subito per aiutare loro. La Protezione civile ha requisito un albergo e li ha messi lì dentro, gli ospiti della casa famiglia, che sono 31, e noi pensiamo al loro sostentamento. Poi si sono aggiunte le famiglie e altri sfollati: così ora, a Ripabottoni, forniamo assistenza, vitto e alloggio a un numero che varia dalle 70 alle 100 persone. In particolare, mancava una cucina e allora ci abbiamo pensato noi, noi della Caritas . Abbiate fiducia, qui c?è gente seria, che lavora, che non vuole né tollera sperperi». Chiara Santomiero, 37 anni, viso mite e grandi occhiali tondi, oggi è in forza alla diocesi di Termoli e Larino, nella doppia veste di ufficio stampa della Caritas e del vescovo, quel Tommaso Valentinetti che, suo malgrado, è ormai diventato un personaggio. La Caritas, nei primi giorni dell?emergenza, ha inviato sul luogo Paolo Brivio, suo capo ufficio stampa, ad affiancare la mole gigantesca di lavoro che don Enzo Ronzitti, responsabile della Caritas locale, si è trovato ad affrontare, ma non sono mancate visite e sostegno dei vertici, dal direttore don Vittorio Nozza allo stesso presidente della Cei, Camillo Ruini, più volte in Molise. «Daremo conto di ogni euro che ci è arrivato e di come lo spenderemo», spiega con serenità Chiara, «anche se ad oggi non sapremmo fare né un bilancio totale delle donazioni né degli interventi. Una cosa è certa, però: privilegeremo le strutture collettive e sociali come nel caso di Ripabottoni. Lo Stato faccia il suo dovere. Noi faremo il nostro».
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