Uno dei fenomeni che in questi anni ha maggiormente penalizzato l’Africa è stato quello delle violenze perpetrate dai “signori della guerra”, personaggi a dir poco malavitosi che hanno commesso ogni genere di atrocità contro gente innocente. In questa prospettiva, è certamente importante la condanna a 14 anni di detenzione, da parte della Corte penale internazionale (Cpi) dell’Aja, nei confronti di Thomas Lubanga, leader della milizia Hema Union des Patriotes Congolaises. Si tratta infatti del primo imputato catturato, a seguito di un mandato internazionale emesso dall’Aja, per aver reclutato e utilizzato, nel corso del sanguinoso conflitto congolese, ragazzi d’età inferiore ai 15 anni. Le responsabilità di Lubanga riguardano in particolare la coscrizione di minori nella regione dell’Ituti, dove hanno perso la vita almeno 60mila civili. Per Lubanga l’accusa, dopo la sentenza di colpevolezza pronunciata dalla stessa Corte all’unanimità il 14 marzo scorso, aveva chiesto l’ergastolo, o almeno 30 anni di carcere. Ma oggi gli stessi giudici, a maggioranza, hanno deciso diversamente. Perché l’imputato avrebbe mantenuto un atteggiamento collaborativo durante tutta la durata del processo nonostante le pressioni costanti e ingiustificate esercitate dall’accusa. Le circostanze aggravanti invocate in fase dibattimentale non sono dunque state provate al di là di ogni ragionevole dubbio, a cominciare da quelle relative a presunte violenze sessuali. E’ chiaro che nell’oceano delle malvagità congolesi perpetrate dal 2 agosto del 1998, quando cioè esplose la guerra, si tratta di un “pesce piccolo”, visto lo scarso peso politico rivestito dal movimento di Lubanga nella Repubblica Democratica del Congo. Si tratta, comunque, di un passo importante per perseguire tutti i responsabili dei crimini di guerra perpetrati nel suo Paese e in altre parti del mondo. Ritengo, comunque, che la sua condanna, in riferimento alla pena detentiva, sia stata troppo “light”. Dunque, nell’immaginario collettivo congolese, il verdetto dell’Aja potrebbe non avere l’effetto dissuasivo sperato. Certamente, sarebbe illusorio ritenere e ingenuo pretendere che l’istituzione della Corte dell’Aja possa, ipso facto, determinare un miglioramento della situazione dei diritti umani nel mondo, ma sarebbe davvero grave, guardando al futuro, se i rapporti di forza tra Stati o all’interno di un singolo Paese condizionassero inesorabilmente la giustizia internazionale. A quattordici anni dalla firma del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale, avvenuta a Roma il luglio 1998, occorre sempre più vigilare perché questo strumento sia davvero utile per reprimere le gravi violazioni del diritto internazionale, dei diritti umani ed in particolare dei minori che continuano a verificarsi nel nostro povero mondo.
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