Qui in Italia, presi come siamo dalla recessione, sono davvero pochi coloro che si sono accorti dell’esplosione di una nuova guerra nel Nord Kivu, regione orientale, geostrategica, della Repubblica Democratica del Congo (Ex Zaire). La scesa in campo di una nuova formazione ribelle denominata Movimento 23 marzo (“M 23”) al soldo del regime di Kigali, ha scosso profondamente la società civile congolese. Sono state organizzate pertanto manifestazioni di protesta a Goma, Butembo, Bukavu, Kindu. Da rilevare che il 12 luglio scorso, a Kinshasa, i responsabili delle confessioni religiose congolesi hanno presentato e firmato una petizione dal titolo: “Il popolo congolese esige la punizione dei crimini commessi dal Rwanda nella Repubblica Democratica del Congo”. Firmata da tutti i rappresentanti delle principali religioni presenti nel Paese, la petizione è stata indirizzata al segretario generale dell’Onu, al Consiglio di Sicurezza e ai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel documento, i leader religiosi hanno rilevato che, nel corso degli ultimi due decenni, vi sono state numerose violazioni dei diritti umani, migliaia di donne violentate e più di sei milioni di congolesi che hanno perso la vita, lasciando dietro di loro migliaia di vedove e orfani. Questi crimini, si legge nella petizione, continuano ad essere perpetrati ancora oggi dai ribelli del gruppo M23 con la complicità del Rwanda. Se da una parte è vero che il regime di Kigali teme che nel territorio congolese possa costituirsi una forza ribelle capace di colpire militarmente il Rwanda, dall’altra sono evidentissimi gli interessi economici del presidente ruandese Paul Kagame, legati soprattutto alle immense ricchezze del sottosuolo congolese. Le diaboliche operazioni commerciali di “armi” per i ribelli in cambio di “minerali” per i ruandesi costituiscono un fattore altamente destabilizzante per l’ex Zaire.
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