Welfare
Ex detenuti, nasce l’Agenzia per il collocamento
Partono in cinque regioni le attività dell'Anrel
Un vero e proprio ente di collocamento finanziato dal ministero della Giustizia, ma gestito autonomamente dal non profit. Con la Fondazione Di Vincenzo come capofila e la collaborazione di Caritas, Acli e Coldiretti. Obiettivo: abbattere la recidiva. Come dimostra l’esperimento di Caltagirone Una vera e propria agenzia di collocamento per trovare lavoro ai carcerati in vista del loro ritorno nella società. È un caso destinato a fare scuola quello dell’Anrel, l’Agenzia nazionale reinserimento e lavoro ex detenuti. Ente nato dall’accordo tra ministero della Giustizia e Fondazione Di Vincenzo che, contando su un finanziamento di 6 milioni di euro per i primi tre anni, è pronto ad entrare in azione a partire da quest’anno. Con un bacino d’utenza più che corposo: «Stiamo parlando del 53% della popolazione carceraria, ovvero i reclusi delle cinque regioni in cui partirà il progetto: Campania, Lazio, Veneto, Lombardia e Sicilia, dove è già attiva l’esperienza pilota del Polo d’eccellenza Sturzo», sottolinea Salvatore Martinez, presidente della Fondazione Di Vincenzo e del movimento Rns – Rinnovamento nello Spirito Santo.
«Il valore aggiunto di Anrel è che la sua gestione è completamente in mano al non profit, ma senza oneri per lo Stato», spiega il presidente della fondazione, «oltre a noi sono infatti parte integrante del progetto Caritas italiana, Acli e Coldiretti». Con compiti diversi: «La prima si dedica all’accompagnamento umano del detenuto e della sua famiglia, gli altri due enti curano invece il lato professionale, la formazione e l’avvio al lavoro». Una rete già rodata, che sta alla base del successo del Polo di Caltagirone, nato nel 2003 con a disposizione 52 ettari tra uliveti, alberi di agrumi, mandorli e coltivazioni di grano. Qui 30 detenuti stanno completando il percorso (altri 13 invece lo hanno già terminato). Coordinati da Salvatore Cafà, responsabile del settore agricolo, e Gaetano Brigadeci, curatore delle attività artigianali di ceramica e lavorazione del ferro, il centro ospita i detenuti lavoratori, ma anche le loro famiglie. Spiega Cafà: «È un modello che funziona anche perché con la presenza dei parenti la persona ha una spinta in più a reinserirsi nella società in modo legale».
Un’azione a 360 gradi che vuole contrastare «i tre grandi problemi delle carceri del XXI secolo: il sovraffollamento, che toglie diritti ai reclusi, la pratica del rimpatrio forzato dei detenuti immigrati, che li lascia senza protezione in un Paese d’origine che spesso non conoscono, ma soprattutto la mancanza di impiego all’uscita dal carcere, un trauma devastante per chi prima di delinquere un impiego l’aveva», conclude Nikkel.
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