Confesso di aver comprato Capitano e gentiluomo di Javier Zanetti (Rizzoli) perché sono un moderato tifoso interista, e d’estate si può anche leggere un libro scritto da un calciatore. Ma questa “autobiografia” della bandiera dell’Inter è soprattutto un invito a collaborare alla Fondazione Pupi, ossia alla fondazione benefica che il campione argentino, assieme a sua moglie, ha realizzato a Buenos Aires, per aiutare i bambini poveri nei quartieri più poveri della metropoli sudamericana. Javier racconta con semplicità ed entusiasmo quanto è riuscito a costruire in umanità, fino ad arrivare a essere genitore adottivo di centocinquanta piccoli argentini. Il suo impegno nasce in realtà dalla memoria, dal ricordo della sua infanzia, in una famiglia dignitosa ma non ricca, nell’Argentina della dittatura. I primi calci al pallone, poi la delusione quando venne allontanato dalla squadra perché “troppo piccolo”, poi la favola incredibile del successo, della nazionale che era stata di Maradona, e poi ancora l’interesse dell’Inter per lui, il piccolo Javier. A 36 anni Zanetti è considerato davvero un esempio (raro) di correttezza in campo e fuori: mai una lite con gli avversari, una sola espulsione in tutta la carriera, e forse per sbaglio. Felice della sua famiglia, una vita divisa fra il calcio e l’impegno umanitario. Mi piace parlarne oggi che inizia il campionato più isterico del mondo, dominato troppo spesso dall’odio tribale delle tifoserie becere, alimentate da giornalisti senza scrupoli e da calciatori (o allenatori, o dirigenti) che usano le parole come lanciafiamme. Sarebbe bello se quest’anno i tifosi adottassero solo i calciatori virtuosi, che non sono pochi, ma non fanno notizia, non fanno clamore. In fondo Zanetti, senza accorgersene, è un Robin Hood che restituisce ai poveri una parte della ricchezza prelevata ai ricchi. Lo fa senza presunzione, perché si ricorda bene da dove ha iniziato, perché quei bambini non li ha mai dimenticati.
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